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Maldini intervistato da Fedez a Muschio Selvaggio:
"La mia storia? E' partita con mio papà, che è stato un grande calciatore e rende la mia storia ancora più particolare. Mio papà è stato il primo calciatore del Milan a vincere la Champions nel '63 con una squadra italiana. Sono molto legato al Milan e Milano e all'ambiente rossonero".
Quanto ha pesato l'aspettativa?
"Tanto, i miei genitori mi hanno dato tutto quello che ho bagaglio mio, educazione in primis. Mio papà mi ha instradato verso un'idea di professionismo anni '60, io sono nato nel '68 e sono di un'altra epoca. Ho dovuto cercare la sua idea ai tempi moderni. Io ho iniziato a 16 anni da professionista ma volevo vivere la mia vita. Credo sia stato un passo importante di emancipazione staccandomi da questa idee, poi l'ho fatto abituare ad una nuova idea di professionismo. Mio papà giocava la domenica alle tre, lunedì libero e poi ritiro fino alla partita dopo, ed era troppo".
Le voci sulla raccomandazione, poi scendevi in campo...
"Mi è pesato, e purtroppo anche sui miei figli. Loro hanno avuto dopa pressione, ma a me è pesato. Mi è pesato quando avevo 11, 12, 13 e 14 anni. Avevo un obiettivo e una passione, ma a quell'età pensi a divertirti. Avere tutte quelle aspettativa mi ha tolto la parte un po' più divertente. Ci sono due modi per affrontare ciò: prendere troppo peso e avere aspettative che non riesci a mantenere, oppure lottare e far vedere quanto vali. E' presto a quell'età lì perché c'è sempre divertimento nel calcio. L'idea del papà che ha un bambino che gioca a calcio e dice "mio figlio è un campione" mette tanta aspettativa e a volte sono anche false. Di quelli che iniziano nelle giovanili del Milan, solo l'1% riesce ad arrivare in alto".
A 17 anni il primo gol in Serie A. Che emozione è stata?
"Mio primo gol in Serie A l'ho fatto a 17 anni, a Como. Mi ricordo tantissimi episodi di più della metà partite in cui ho giocato. Non sapevo cosa fare, era il primo gol. Ero un po' stordito per il primo minuto e mezzo. Poi abbiamo anche vinto quella partita, quindi tanta carica e speri di arrivare al risultato finale. Mi ricordo anche che Berlusconi mi regalò un orologio con la dedica. La dedica era molto semplice ma bella".
Poi la convocazione in Under 21 con il papà...
Mio padre mi ha convocato in Under 21, ma ero già stato convocato con Vialli e Mancini che era andata in semifinale. Ero stato convocato per la semifinale di ritorno e la finale. Il mio percorso era già tracciato, ma non ha evitato commenti. Avevo 18 anni ed era un po' prematuro, ma già da lì ho iniziato a fregarmene".
Bisognava essere forti psicologicamente?
"La mentalità e la disciplina è fondamentale. Quando hai talento sei portato a non avere tanta disciplina, e questa cosa ti porta a fare meno e negli anni ti marca e ti porta a rendere di meno. Lo dico sempre ai ragazzi: anche nella carriere del miglior giocatore di sempre esistono alti e bassi, quindi bisogna sempre avere disciplina. Ho avuto tantissimi alti e bassi e i tuoi familiari sanno benissimo quali sono le turbolenze che hai nei momenti difficili".
Come hai fatto tu?
"Nel mio caso credo che nell'essere nato nella mia famiglia, di aver giocato nella città in cui sono nato con a disposizione la famiglia. Se a 18 anni inizi a girare, fai fatica a mettere radici o qualcuno che ti dica le cose reali. Sia nel caso che tu vada bene o meno, perdi il contatto con la realtà".
La testa è tutto?
"Importante se abbinata al talento, alla gioia del gioco e alla disciplina. Prima di Sacchi non eravamo così precisi, contava la disciplina in area, la volontà. Salvi o fai un gol per un decimo di secondo, quella cosa che è costante e la fai tua ti aiuta. Tra un grandissimo calciatore e uno buono, non c'è un 10% di differenze, che la fanno i particolari":
Quali sono le differenze tra Sacchi, Ancelotti e Capello?
"Nel carattere: Sacchi non ha giocato a calcio. Non dico avesse timore, ma magari aveva una maniera d'approccio diversa rispetto a quella di un grande ex calciatore. E' stato molto difficile anche perché è cambiato il metodo di lavoro: con Sacchi ci ha ammazzato. C'erano meno conoscenze rispetto ad oggi perché poi sono arrivati i preparatori ateltici. Io credo di essere andato in overtraining per metà della mia carriera. L'importante è non mescolare troppi lavori. Io andavo a casa ed ero fidanzata con Adriana, ma non ce la facevo a mangiare fuori (ride, ndr). Ancelotti l'ho avuta nella parte migliore della mia vita, quando hai 30 anni gestisci le emozioni in maniera diversa e godi dei momenti di tensione. La cosa che più mi manca è quel misto di eccitazione e paura che c'e quando si arriva allo stadio nelle grandi partite. Prima dici "*****...", poi speri di riprovarla. Dopo i 30 anni vivi le cose in maniera più logica e tranquilla. Capello mi ha preso e mi ha detto: "Sai di essere il migliore al mondo?" e da lì ho preso la responsabilità del migliore del mondo e mi ha fatto crescere molto".
Che ricordi hai di Maradona?
"Lui e Ronaldo il brasilano sono i più forti. Io non ho giocato contro Messi, grazie a Dio. Cr7 è un grande bomber, ma ha meno magia degli altri due. Io ero veloce e forte fisicamente, ma loro erano ancora più veloci. Diego poi era simpaticissimo: quando l'hanno nominato nella Home of fame, mi sono vergognato per avergli dato tante di quelle botte e gli chiesi scusa".
Su Italia-Corea, che ricordi hai?
"Ho chiuso in bellezza (ride, ndr). Prima che iniziasse mi ero reso conto che qualcosa non andava. Nel 2002 non c'era la stretta di mano, lo facevano solo i capitani. Tommasi aveva comunque l'abitudine di farlo ed è andato anche dall'arbitro, che si è rifiutato. Poi anche noi abbiamo sbagliato noi, però... Anche l'atteggiamento faceva tanto. Non ci volevano far entrare allo stadio, abbiamo fatto rissa per entrare nello spogliatoio. Quando è finita bisognava essere freddi e poi c'era tanta amarezza. Lippi nel 2006 mi chiese di andare al Mondiale, ma non me la sentivo di tornare. Avevo già detto di no nel 2004 a Trapattoni".
Cosa hai pensato nel 2006?
"Mi spiace non aver vinto, ma dopo quattro mondiali giocati, tutto quello che hai vinto col club... l'invidia non esiste. Nel 2002 c'è stato un cambio di generazione. Nel 2006 sono andato a festeggiare con la macchina".
La tua filosofia è come quella di Jordan?
"E' un po' così: se sei vincente hai comunque perso tanto. Ho perso tre finali di Champions, una finale Mondiale e Europeo. Ho avuto la fortuna di giocare in grandi squadre e grandi nazionali, ma grazie a dio ho avuto la possibilità di giocare sempre per qualcosa di importante".
Non ci sono più le bandiere...
"Adesso è molto più difficile, gli italiani non andavano quasi mai all'estero ed era più facile rimanere all'interno del proprio paese. La cosa importante è essere ambizioso: se sei ambizioso e trovi tutto quello che hai bisogno per arrivare al tuo traguardo nella squadra in cui nato è facile. Ma se fossi nato in un altro club che non aveva le mie stesse ambizioni...".
Hai ricevuto offerte da United, Real e Arsenal da calciatore?
"Sono vere le voci, ma nulla di concreto. Anche il Chelsea mi aveva cercato tramite Vialli. Se ho mai pensato di lasciare il Milan? Sarei dovuto essere molto convinto io di andare via e il club di lasciarmi andare via. Non è mai successo. Ci sono stati anni duri, tipo a metà anni 90 quando siamo arrivati decimi e undicesimi, ci sono state delle contestazioni. Il club mi ha sempre voluto tenere e quindi certi pensieri non ci sono stati".
Come mai ci sono sempre meno bandiere?
"A me non è mai mancato niente. L'importanza di giocare in uno sport di squadra insegna che conta quello che hai e non da dove vieni. Fin di piccolo degli orari, degli obiettivi, è un insegnamento continuo. Io non giudico chi sceglie una squadra solo per una questione economico. Ci sono anche ragazzi di 16-17 che grazie al calcio devono aiutare la famiglia, è una cosa pesante e non semplice".
Ti ricordi l'episodio con Chiellini in un Milan-Juventus della stagione 2008-2009 quando gli hai messo le mani al collo?
"In occasione di un corner mi aveva dato una gomitata, io mi ero già rotto il naso più volte e quindi volevo evitare di romperlo di nuovo e quindi mi sono arrabbiato parecchio. Poi è arrivato Buffon e mi ha detto di calmarmi. Sono cose che capitano, però dovete sapere che in allenamento è anche peggio, capita di perdere anche la pazienza. Mi ricordo poi un altro episidio, in un trofeo Berlusconi in cui ho tirato una testata a Casiraghi, mio compagno di squadra in nazionale. Che vergogna quella volta. In quella partita avevo anche segnato e alla fine ero stato eletto miglior giocatore della partita nonostante l'espulsione. Io lo rifiuto perchè mi vergognavo. Casiraghi tra l'altro il giorno dopo si doveva sposare e lo ha fatto con l'occhio nero".
Avevi creato anche un brand con Vieri...
"E' una cosa nata per caso. Ci siamo trovati a casa mia e abbiamo creato questo brand. E' stata una cosa divertente. Ora siamo ancora soci, ma ormai non ce ne occupiamo più".
E' più importante il talento o l'ossessione nello sport?
"Il talento aiuta. Tutti sono preparati fisicamente e tatticamente, ma l'ossessione e la disciplina fanno la differenza. Ci sono giocatori che hanno abbassato la loro forza fisica e la mentalità a causa di un infortunio magari e non essere più quelli di prima".
CONTINUA QUI IN BASSO
"La mia storia? E' partita con mio papà, che è stato un grande calciatore e rende la mia storia ancora più particolare. Mio papà è stato il primo calciatore del Milan a vincere la Champions nel '63 con una squadra italiana. Sono molto legato al Milan e Milano e all'ambiente rossonero".
Quanto ha pesato l'aspettativa?
"Tanto, i miei genitori mi hanno dato tutto quello che ho bagaglio mio, educazione in primis. Mio papà mi ha instradato verso un'idea di professionismo anni '60, io sono nato nel '68 e sono di un'altra epoca. Ho dovuto cercare la sua idea ai tempi moderni. Io ho iniziato a 16 anni da professionista ma volevo vivere la mia vita. Credo sia stato un passo importante di emancipazione staccandomi da questa idee, poi l'ho fatto abituare ad una nuova idea di professionismo. Mio papà giocava la domenica alle tre, lunedì libero e poi ritiro fino alla partita dopo, ed era troppo".
Le voci sulla raccomandazione, poi scendevi in campo...
"Mi è pesato, e purtroppo anche sui miei figli. Loro hanno avuto dopa pressione, ma a me è pesato. Mi è pesato quando avevo 11, 12, 13 e 14 anni. Avevo un obiettivo e una passione, ma a quell'età pensi a divertirti. Avere tutte quelle aspettativa mi ha tolto la parte un po' più divertente. Ci sono due modi per affrontare ciò: prendere troppo peso e avere aspettative che non riesci a mantenere, oppure lottare e far vedere quanto vali. E' presto a quell'età lì perché c'è sempre divertimento nel calcio. L'idea del papà che ha un bambino che gioca a calcio e dice "mio figlio è un campione" mette tanta aspettativa e a volte sono anche false. Di quelli che iniziano nelle giovanili del Milan, solo l'1% riesce ad arrivare in alto".
A 17 anni il primo gol in Serie A. Che emozione è stata?
"Mio primo gol in Serie A l'ho fatto a 17 anni, a Como. Mi ricordo tantissimi episodi di più della metà partite in cui ho giocato. Non sapevo cosa fare, era il primo gol. Ero un po' stordito per il primo minuto e mezzo. Poi abbiamo anche vinto quella partita, quindi tanta carica e speri di arrivare al risultato finale. Mi ricordo anche che Berlusconi mi regalò un orologio con la dedica. La dedica era molto semplice ma bella".
Poi la convocazione in Under 21 con il papà...
Mio padre mi ha convocato in Under 21, ma ero già stato convocato con Vialli e Mancini che era andata in semifinale. Ero stato convocato per la semifinale di ritorno e la finale. Il mio percorso era già tracciato, ma non ha evitato commenti. Avevo 18 anni ed era un po' prematuro, ma già da lì ho iniziato a fregarmene".
Bisognava essere forti psicologicamente?
"La mentalità e la disciplina è fondamentale. Quando hai talento sei portato a non avere tanta disciplina, e questa cosa ti porta a fare meno e negli anni ti marca e ti porta a rendere di meno. Lo dico sempre ai ragazzi: anche nella carriere del miglior giocatore di sempre esistono alti e bassi, quindi bisogna sempre avere disciplina. Ho avuto tantissimi alti e bassi e i tuoi familiari sanno benissimo quali sono le turbolenze che hai nei momenti difficili".
Come hai fatto tu?
"Nel mio caso credo che nell'essere nato nella mia famiglia, di aver giocato nella città in cui sono nato con a disposizione la famiglia. Se a 18 anni inizi a girare, fai fatica a mettere radici o qualcuno che ti dica le cose reali. Sia nel caso che tu vada bene o meno, perdi il contatto con la realtà".
La testa è tutto?
"Importante se abbinata al talento, alla gioia del gioco e alla disciplina. Prima di Sacchi non eravamo così precisi, contava la disciplina in area, la volontà. Salvi o fai un gol per un decimo di secondo, quella cosa che è costante e la fai tua ti aiuta. Tra un grandissimo calciatore e uno buono, non c'è un 10% di differenze, che la fanno i particolari":
Quali sono le differenze tra Sacchi, Ancelotti e Capello?
"Nel carattere: Sacchi non ha giocato a calcio. Non dico avesse timore, ma magari aveva una maniera d'approccio diversa rispetto a quella di un grande ex calciatore. E' stato molto difficile anche perché è cambiato il metodo di lavoro: con Sacchi ci ha ammazzato. C'erano meno conoscenze rispetto ad oggi perché poi sono arrivati i preparatori ateltici. Io credo di essere andato in overtraining per metà della mia carriera. L'importante è non mescolare troppi lavori. Io andavo a casa ed ero fidanzata con Adriana, ma non ce la facevo a mangiare fuori (ride, ndr). Ancelotti l'ho avuta nella parte migliore della mia vita, quando hai 30 anni gestisci le emozioni in maniera diversa e godi dei momenti di tensione. La cosa che più mi manca è quel misto di eccitazione e paura che c'e quando si arriva allo stadio nelle grandi partite. Prima dici "*****...", poi speri di riprovarla. Dopo i 30 anni vivi le cose in maniera più logica e tranquilla. Capello mi ha preso e mi ha detto: "Sai di essere il migliore al mondo?" e da lì ho preso la responsabilità del migliore del mondo e mi ha fatto crescere molto".
Che ricordi hai di Maradona?
"Lui e Ronaldo il brasilano sono i più forti. Io non ho giocato contro Messi, grazie a Dio. Cr7 è un grande bomber, ma ha meno magia degli altri due. Io ero veloce e forte fisicamente, ma loro erano ancora più veloci. Diego poi era simpaticissimo: quando l'hanno nominato nella Home of fame, mi sono vergognato per avergli dato tante di quelle botte e gli chiesi scusa".
Su Italia-Corea, che ricordi hai?
"Ho chiuso in bellezza (ride, ndr). Prima che iniziasse mi ero reso conto che qualcosa non andava. Nel 2002 non c'era la stretta di mano, lo facevano solo i capitani. Tommasi aveva comunque l'abitudine di farlo ed è andato anche dall'arbitro, che si è rifiutato. Poi anche noi abbiamo sbagliato noi, però... Anche l'atteggiamento faceva tanto. Non ci volevano far entrare allo stadio, abbiamo fatto rissa per entrare nello spogliatoio. Quando è finita bisognava essere freddi e poi c'era tanta amarezza. Lippi nel 2006 mi chiese di andare al Mondiale, ma non me la sentivo di tornare. Avevo già detto di no nel 2004 a Trapattoni".
Cosa hai pensato nel 2006?
"Mi spiace non aver vinto, ma dopo quattro mondiali giocati, tutto quello che hai vinto col club... l'invidia non esiste. Nel 2002 c'è stato un cambio di generazione. Nel 2006 sono andato a festeggiare con la macchina".
La tua filosofia è come quella di Jordan?
"E' un po' così: se sei vincente hai comunque perso tanto. Ho perso tre finali di Champions, una finale Mondiale e Europeo. Ho avuto la fortuna di giocare in grandi squadre e grandi nazionali, ma grazie a dio ho avuto la possibilità di giocare sempre per qualcosa di importante".
Non ci sono più le bandiere...
"Adesso è molto più difficile, gli italiani non andavano quasi mai all'estero ed era più facile rimanere all'interno del proprio paese. La cosa importante è essere ambizioso: se sei ambizioso e trovi tutto quello che hai bisogno per arrivare al tuo traguardo nella squadra in cui nato è facile. Ma se fossi nato in un altro club che non aveva le mie stesse ambizioni...".
Hai ricevuto offerte da United, Real e Arsenal da calciatore?
"Sono vere le voci, ma nulla di concreto. Anche il Chelsea mi aveva cercato tramite Vialli. Se ho mai pensato di lasciare il Milan? Sarei dovuto essere molto convinto io di andare via e il club di lasciarmi andare via. Non è mai successo. Ci sono stati anni duri, tipo a metà anni 90 quando siamo arrivati decimi e undicesimi, ci sono state delle contestazioni. Il club mi ha sempre voluto tenere e quindi certi pensieri non ci sono stati".
Come mai ci sono sempre meno bandiere?
"A me non è mai mancato niente. L'importanza di giocare in uno sport di squadra insegna che conta quello che hai e non da dove vieni. Fin di piccolo degli orari, degli obiettivi, è un insegnamento continuo. Io non giudico chi sceglie una squadra solo per una questione economico. Ci sono anche ragazzi di 16-17 che grazie al calcio devono aiutare la famiglia, è una cosa pesante e non semplice".
Ti ricordi l'episodio con Chiellini in un Milan-Juventus della stagione 2008-2009 quando gli hai messo le mani al collo?
"In occasione di un corner mi aveva dato una gomitata, io mi ero già rotto il naso più volte e quindi volevo evitare di romperlo di nuovo e quindi mi sono arrabbiato parecchio. Poi è arrivato Buffon e mi ha detto di calmarmi. Sono cose che capitano, però dovete sapere che in allenamento è anche peggio, capita di perdere anche la pazienza. Mi ricordo poi un altro episidio, in un trofeo Berlusconi in cui ho tirato una testata a Casiraghi, mio compagno di squadra in nazionale. Che vergogna quella volta. In quella partita avevo anche segnato e alla fine ero stato eletto miglior giocatore della partita nonostante l'espulsione. Io lo rifiuto perchè mi vergognavo. Casiraghi tra l'altro il giorno dopo si doveva sposare e lo ha fatto con l'occhio nero".
Avevi creato anche un brand con Vieri...
"E' una cosa nata per caso. Ci siamo trovati a casa mia e abbiamo creato questo brand. E' stata una cosa divertente. Ora siamo ancora soci, ma ormai non ce ne occupiamo più".
E' più importante il talento o l'ossessione nello sport?
"Il talento aiuta. Tutti sono preparati fisicamente e tatticamente, ma l'ossessione e la disciplina fanno la differenza. Ci sono giocatori che hanno abbassato la loro forza fisica e la mentalità a causa di un infortunio magari e non essere più quelli di prima".
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