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Qua si entra in discorsi che scivolano un pó anche su filosofia e fede. Diciamo che bisognerebbe stabilire se esiste un ingrediente che si chiama, diciamo, “anima” e che non puó essere inserito in nessun algoritmo.uno dei più grandi misteri di questo mondo, qualcuno dice sia la madre di tutte le domande sull’universo.
Con implicazioni scientifiche, filosofiche e religiose.
A riguardo, per rimanere sul versante della scienza, c’è un libro bellissimo (e complicato), che sebbene un po’ datato è ancora tra i riferimenti principali, del premio nobel per la fisica Roger Penrose. Si intitola “La mente nuova dell’imperatore”.
Essenzialmente è un’opera in cui Penrose, basandosi su ragionamenti matematici e di fisica teorica, esprime scetticismo riguardo al fatto che la AI possa mai diventare cosciente. Quello che confuta è l’assunto secondo cui la coscienza sia un fenomeno emergente dalla complessità di un algoritmo.
Molti infatti danno per scontato che sia la complessità delle reti neuronali a creare la cosiddetta coscienza, ma è un assunto tutt’altro che scontato. Anzi.
Ma se lo scopo é creare una specie evolutiva, in grado di prendere coscienza, evolvere e prendere decisioni in base ad un trade-off di costi benefici (per se stessa), in grado di superare il test di Touring, direi che quel fattore é un fattore “secondario”.