Gattuso a 360 gradi, sul calcio che è cambiato, su Ancelotti su Pirlo..

Tifo'o

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Intervistato da As, l'attuale tecnico del Valencia parla del calcio come è cambiato dai tempi da giocatore al Milan fino ad ora e la povertà di non avere più giocatori alla Pirlo

LA SUA IDEA DI CALCIO - "A 27 o 28 anni stavo giocando col Milan contro una squadra spagnola. Noi correvamo e basta e giocavamo il pallone solo in verticale. E ho pensato: perché? Poi sono andato a parlare con Guardiola. Sinceramente per alcuni mesi non ho capito niente. Alla fine, ho capito che mi piacciono i giocatori funzionali, pensatori, che sanno quando devono andare a pressare. Mi piace tenere il pallone con qualità, non solo per tenerlo, ma per guardare avanti. Ora vedo il calcio in modo completamente diverso rispetto a quando giocavo. Se vedi le partite del mio Milan o del mio Napoli, non pressavamo in avanti. Al Valencia è il primo anno che presso in avanti. L’anno scorso ho parlato molto col mio staff. Abbiamo visto che in Europa si gioca uno vs uno. Noi non lo facciamo. Noi pressiamo in avanti e questo lo stiamo facendo bene."

PIRLO - "Andrea aveva una cosa che oggi si fatica a vedere: la profondità. Oggi, per attaccare la profondità lo si fa calciando il pallone. A Pirlo Dio ha dato alcune qualità incredibili. Aveva quattro occhi. La posizione in campo, come muoversi senza palla, lo smarcamento… oggi a molte squadre stanno mancando molte di queste cose. Ho parlato con lui. la nostra mentalità era di giocare in verticale e a lui non piaceva giocare con passaggi corti. Era un calcio diverso."

QUIQUE SETIEN – "Lo rispetto molto. Vedevo il suo Las Palmas e mi piaceva, mi piacevano i suoi allenamenti. Però dovevo capirlo bene, perché nella mia testa non era ancora molto chiaro. Io ero al Pisa, un disastro di club, senza padrone né niente, e poi sono andato alle giovanili del Milan. Mi mancava la costruzione dal basso. Non ero andato al Milan per allenare la prima squadra. anno dopo anno, abbiamo cambiato squadra per migliorare il nostro stile e giocarlo in maniera perfetta. La mia storia come allenatore però è diversa. Io ero campione del mondo e avevo vinto la Champions, ma non era sufficiente per essere allenatore. Per questo ho ricominciato da zero. Avevo conoscenza del calcio ma non ero pronto."

LO STILE GATTUSO - "Mi sono preparato guardando il calcio di qualunque categoria. Sono stato a molte partite di Championship, Serie B e Serie C. L’altro giorno mi è piaciuto moltissimo vedere il Villarreal a Guijuelo, in un campo dove non si poteva giocare. Mi ha dato un’emozione incredibile. Quando parlo di stile può sembrare che non rispetti il modo di giocare degli altri. Al contrario, si può vincere con stili completamente diversi. Hai visto i Mondiali. Molte squadre si difendevano, coprendo bene il campo, non pressavano alto e giocavano in contropiede. Io ho ben chiaro lo stile che mi piace, però quando vedo una partita in un campo brutto e bisogna stringere i denti, anche quello mi piace. Quando vedo una partita, guardo la linea di difesa per 15 minuti, poi mi concentro su quella di centrocampo, poi sull’attacco. Non mi piace guardare le partite tanto per guardare."

MEGLIO LA VITA DA GIOCATORE O DA ALLENATORE?
- "Da giocatore, chiaro. Per come vivo ora il calcio, non hai una vita. Devo ringraziare mia moglie perché non so come possa stare ancora con me. Quando ho cominciato, chiamavo Ancelotti e gli chiedevo: 'Ma come fai?'. Per me è difficile, inizio alle 5 di mattina e vado a casa alle 7 di sera. Poi, quando sono a casa in bagno, vado a urinare e se mi viene in mente qualcosa me lo segno su un pezzo di carta. Lo vivo così. Devo cambiare, perché non si può stare 18 o 19 ore al giorno pensando al calcio."

GATTUSO NEL CALCIO DI OGGI -
"Non lo so. A seconda di come vedo il calcio, a volte mi comprerei e altre volte no. Correvo molto ed ero molto forte tatticamente, ma di sicuro nel calcio moderno qualcosa mi mancherebbe. Avevo carattere, però per come mi piace giocare il carattere non basta ed è comunque una cosa che si può migliorare. Non vedevo un giocatore che mi assomigliasse da tempo, però lo ho visto ai Mondiali: Amrabat. Mi ha emozionato molto, sembrava me a 27 anni."

CAMBIATO NEGLI ANNI? - "Non so. Sono un allenatore che vuole molto bene alla squadra e allo staff tecnico. Se non ho un vermiciattolo nello stomaco non mi sento bene. Devo emozionarmi. Il calcio mi deve emozionare. Quando mi vedo in tv non mi piaccio. Mi muovo, parlo sempre, però non posso farlo diversamente. Ho provato a cambiare ma non ci riesco. Mi piace vivere la partita, esserci dentro, parlare col guardalinee, coi giocatori. Il meglio di me lo do in allenamento, però poi torno a essere un disastro, perché lo analizzo per 5 ore riguardando il video. Però nell’ora e mezza in cui siamo in campo mi sento vivo."

GLI INIZI - "Era il mio sogno giocare a calcio. A 12 anni me ne sono andato di casa per questo. Se mi fosse andata male non sarei tornato. Sarebbero stati tutti lì per ammazzarmi. Non penso a cosa avrei potuto essere se non fossi diventato calciatore. Ho fatto più di quello che potevo. Per me è un privilegio giocare a calcio e se mi avessero pagato 10 volte meno avrei giocato lo stesso. Quando sei abituato a stare in casa, con tua mamma che ti preparava tutto, tuo papà, le tue sorelle (una di loro è morta due anni fa). Dormivo in un appartamento di 15 metri, con la luce accesa aspettando che si facesse giorno per andare a scuola. Stare da solo non è facile per un bambino. Però se dovessi rifarlo, lo rifarei."

IL PRIMO CONTRATTO - "Non volevo andare a Glasgow. Avevo giocato due partite in Serie B e avevo ottenuto la promozione col Perugia, dove avevo giocato 8 partite senza contratto. Poi ho giocato l’Europeo u18 con l’Italia, un giorno viene mio padre e mi dice che è venuto al paese un rappresentante dei Rangers. Io non volevo andarmene, ma quando ho finito di parlare mio padre mi ha detto; 'io questa cifra (sul contratto, ndr) non so nemeno scriverla, dovrei vivere quattro vite per guadagnarla'. Quando ho insistito, mi ha risposto: 'ti do una sberla se non ne approfitti'. Le pacche fanno parte del mio carattere. È un segnale che voglio bene alla persona che è con me."

IL METODO GATTUSO - "Come sono arrivato sul tetto del mondo? Col lavoro. Credendo tutto il giorno a quello che si fa. Quando sono andato a Glasgow non sapevo una parola di inglese. Dopo due settimane, sembravo più scozzese io di un giocatore scozzese. Con il mio stile, lavoravo tre o quattro volte al giorno. andavo un’ora in palestra, poi calciavo contro il muro per due ore. Mi sono costruito con la mentalità. Ho dedicato la mia vita al calcio."

CON CHI HA IMPARATO DI PIU? - "Con tutti. Io non sapevo di essere un leader. Quello che facevo lo facevo in modo naturale. Non dovevo fare del teatro. Quando qualcuno era in difficoltà lo aiutavo. Stavo quattro o cinque ore in più al campo. Sapevo che dovevo seguire il mio stile, che era lavorare e lavorare. Pensare al calcio per 24 ore."

COM’È CAMBIATO IL CALCIO – "è cambiato tutto. Un giocatore oggi ha molte informazioni. Ai livelli più alti hai tutto. Sai se il rivale è destro, mancino… è cambiato anche per gli allenatori. Ora un allenatore controlla 65 o 70 persone, prima solo 30 o 35. Oggi, se credi molto nei dati, hai tutto. Se fai le cose per bene, ti infortuni poco. I giocatori sono più professionali di come eravamo noi. Si curano di più, controllano l’alimentazione, i carichi… quando parli coi giocatori devi sapere i perché, se non li sai ti ammazzano."

ENTRARE NELLA TESTA DEI GIOCATORI - "Per me Ancelotti è il miglior allenatore del mondo in questo. È di tre o quattro generazioni indietro e ha sempre la chiave per entrare nella testa dei giocatori. sembra facile ma non lo è. Quando parlo con un ragazzo di 20 anni non devo pensare nella mia carriera o in quello che facevo. Devo pensare a come posso entrare nella testa di quel ragazzo. Quando ho iniziato, nei primi 4 anni, non lo avevo chiaro perché pensavo che tutti dovessero fare lo stesso di me, con la mia viglia e la mia mentalità. Però bisogna sapere chi hai davanti. Un esempio: ho un figlio e una figlia. Mia figlia è una donna forte, con un carattere simile al mio. Mio figlio è completamente diverso. Non posso parlare a entrambi allo stesso modo. Uguale coi giocatori. Per questo, al di là di tattiche e altre cose, il miglior allenatore del mondo è Carlo. È incredibile come sia entrato nella testa dei giocatori di quattro generazioni diverse."

‘A FULL’ - "A un giocatore non perdonerei che non rispetti il suo lavoro. Quando parlo con loro gli dico che abbiamo una responsabilità e se cu sono due o tre giocatori che non lo fanno, l’allenamento va male. Non ho mai sospeso un allenamento per due o tre ore. Quando fischio l’inizio voglio vedere che la squadra va al massimo. Altrimenti meglio andare in doccia. Non ho paura della morte. Preferisco essere un leone e non un gatto come mi hanno chiesto nella mia prima conferenza stampa qui. È meglio vivere a full che come un molle. Non conto fino a 10. Mi piace vivere e non pensare in quello che succederà. Oggi è oggi, domani è domani. Non mi freno. Quando mi vedo in tv non mi piace, ma quando ho l’adrenalina, il fuoco, vado. Non sono una persona che pensa che c’è una camera che mi sta mettendo a fuoco. Sono io. È normale che dovrei controllarmi siccome sono allenatore, però… vado."

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Andris

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Gattuso:

"Amrabat commovente, mi ha ricordato un certo Ringhio...

Non so se oggi vorrei uno come Gattuso in una mia squadra"
 
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Intervistato da As, l'attuale tecnico del Valencia parla del calcio come è cambiato dai tempi da giocatore al Milan fino ad ora e la povertà di non avere più giocatori alla Pirlo

LA SUA IDEA DI CALCIO - "A 27 o 28 anni stavo giocando col Milan contro una squadra spagnola. Noi correvamo e basta e giocavamo il pallone solo in verticale. E ho pensato: perché? Poi sono andato a parlare con Guardiola. Sinceramente per alcuni mesi non ho capito niente. Alla fine, ho capito che mi piacciono i giocatori funzionali, pensatori, che sanno quando devono andare a pressare. Mi piace tenere il pallone con qualità, non solo per tenerlo, ma per guardare avanti. Ora vedo il calcio in modo completamente diverso rispetto a quando giocavo. Se vedi le partite del mio Milan o del mio Napoli, non pressavamo in avanti. Al Valencia è il primo anno che presso in avanti. L’anno scorso ho parlato molto col mio staff. Abbiamo visto che in Europa si gioca uno vs uno. Noi non lo facciamo. Noi pressiamo in avanti e questo lo stiamo facendo bene."
io non c'ho capito gran che sinceramente.
 
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Intervistato da As, l'attuale tecnico del Valencia parla del calcio come è cambiato dai tempi da giocatore al Milan fino ad ora e la povertà di non avere più giocatori alla Pirlo

LA SUA IDEA DI CALCIO
- "A 27 o 28 anni stavo giocando col Milan contro una squadra spagnola. Noi correvamo e basta e giocavamo il pallone solo in verticale. E ho pensato: perché? Poi sono andato a parlare con Guardiola. Sinceramente per alcuni mesi non ho capito niente. Alla fine, ho capito che mi piacciono i giocatori funzionali, pensatori, che sanno quando devono andare a pressare. Mi piace tenere il pallone con qualità, non solo per tenerlo, ma per guardare avanti. Ora vedo il calcio in modo completamente diverso rispetto a quando giocavo. Se vedi le partite del mio Milan o del mio Napoli, non pressavamo in avanti. Al Valencia è il primo anno che presso in avanti. L’anno scorso ho parlato molto col mio staff. Abbiamo visto che in Europa si gioca uno vs uno. Noi non lo facciamo. Noi pressiamo in avanti e questo lo stiamo facendo bene."

Sarà per questo motivo che quando allenava il Milan si divertiva a sprecare tempo per tenere il pallone 1-2 minuti con passaggini e passaggetti tra portiere e difensori........
 

TheKombo

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Intervistato da As, l'attuale tecnico del Valencia parla del calcio come è cambiato dai tempi da giocatore al Milan fino ad ora e la povertà di non avere più giocatori alla Pirlo

LA SUA IDEA DI CALCIO - "A 27 o 28 anni stavo giocando col Milan contro una squadra spagnola. Noi correvamo e basta e giocavamo il pallone solo in verticale. E ho pensato: perché? Poi sono andato a parlare con Guardiola. Sinceramente per alcuni mesi non ho capito niente. Alla fine, ho capito che mi piacciono i giocatori funzionali, pensatori, che sanno quando devono andare a pressare. Mi piace tenere il pallone con qualità, non solo per tenerlo, ma per guardare avanti. Ora vedo il calcio in modo completamente diverso rispetto a quando giocavo. Se vedi le partite del mio Milan o del mio Napoli, non pressavamo in avanti. Al Valencia è il primo anno che presso in avanti. L’anno scorso ho parlato molto col mio staff. Abbiamo visto che in Europa si gioca uno vs uno. Noi non lo facciamo. Noi pressiamo in avanti e questo lo stiamo facendo bene."

PIRLO - "Andrea aveva una cosa che oggi si fatica a vedere: la profondità. Oggi, per attaccare la profondità lo si fa calciando il pallone. A Pirlo Dio ha dato alcune qualità incredibili. Aveva quattro occhi. La posizione in campo, come muoversi senza palla, lo smarcamento… oggi a molte squadre stanno mancando molte di queste cose. Ho parlato con lui. la nostra mentalità era di giocare in verticale e a lui non piaceva giocare con passaggi corti. Era un calcio diverso."

QUIQUE SETIEN – "Lo rispetto molto. Vedevo il suo Las Palmas e mi piaceva, mi piacevano i suoi allenamenti. Però dovevo capirlo bene, perché nella mia testa non era ancora molto chiaro. Io ero al Pisa, un disastro di club, senza padrone né niente, e poi sono andato alle giovanili del Milan. Mi mancava la costruzione dal basso. Non ero andato al Milan per allenare la prima squadra. anno dopo anno, abbiamo cambiato squadra per migliorare il nostro stile e giocarlo in maniera perfetta. La mia storia come allenatore però è diversa. Io ero campione del mondo e avevo vinto la Champions, ma non era sufficiente per essere allenatore. Per questo ho ricominciato da zero. Avevo conoscenza del calcio ma non ero pronto."

LO STILE GATTUSO - "Mi sono preparato guardando il calcio di qualunque categoria. Sono stato a molte partite di Championship, Serie B e Serie C. L’altro giorno mi è piaciuto moltissimo vedere il Villarreal a Guijuelo, in un campo dove non si poteva giocare. Mi ha dato un’emozione incredibile. Quando parlo di stile può sembrare che non rispetti il modo di giocare degli altri. Al contrario, si può vincere con stili completamente diversi. Hai visto i Mondiali. Molte squadre si difendevano, coprendo bene il campo, non pressavano alto e giocavano in contropiede. Io ho ben chiaro lo stile che mi piace, però quando vedo una partita in un campo brutto e bisogna stringere i denti, anche quello mi piace. Quando vedo una partita, guardo la linea di difesa per 15 minuti, poi mi concentro su quella di centrocampo, poi sull’attacco. Non mi piace guardare le partite tanto per guardare."

MEGLIO LA VITA DA GIOCATORE O DA ALLENATORE?
- "Da giocatore, chiaro. Per come vivo ora il calcio, non hai una vita. Devo ringraziare mia moglie perché non so come possa stare ancora con me. Quando ho cominciato, chiamavo Ancelotti e gli chiedevo: 'Ma come fai?'. Per me è difficile, inizio alle 5 di mattina e vado a casa alle 7 di sera. Poi, quando sono a casa in bagno, vado a urinare e se mi viene in mente qualcosa me lo segno su un pezzo di carta. Lo vivo così. Devo cambiare, perché non si può stare 18 o 19 ore al giorno pensando al calcio."

GATTUSO NEL CALCIO DI OGGI -
"Non lo so. A seconda di come vedo il calcio, a volte mi comprerei e altre volte no. Correvo molto ed ero molto forte tatticamente, ma di sicuro nel calcio moderno qualcosa mi mancherebbe. Avevo carattere, però per come mi piace giocare il carattere non basta ed è comunque una cosa che si può migliorare. Non vedevo un giocatore che mi assomigliasse da tempo, però lo ho visto ai Mondiali: Amrabat. Mi ha emozionato molto, sembrava me a 27 anni."

CAMBIATO NEGLI ANNI? -
"Non so. Sono un allenatore che vuole molto bene alla squadra e allo staff tecnico. Se non ho un vermiciattolo nello stomaco non mi sento bene. Devo emozionarmi. Il calcio mi deve emozionare. Quando mi vedo in tv non mi piaccio. Mi muovo, parlo sempre, però non posso farlo diversamente. Ho provato a cambiare ma non ci riesco. Mi piace vivere la partita, esserci dentro, parlare col guardalinee, coi giocatori. Il meglio di me lo do in allenamento, però poi torno a essere un disastro, perché lo analizzo per 5 ore riguardando il video. Però nell’ora e mezza in cui siamo in campo mi sento vivo."

GLI INIZI - "Era il mio sogno giocare a calcio. A 12 anni me ne sono andato di casa per questo. Se mi fosse andata male non sarei tornato. Sarebbero stati tutti lì per ammazzarmi. Non penso a cosa avrei potuto essere se non fossi diventato calciatore. Ho fatto più di quello che potevo. Per me è un privilegio giocare a calcio e se mi avessero pagato 10 volte meno avrei giocato lo stesso. Quando sei abituato a stare in casa, con tua mamma che ti preparava tutto, tuo papà, le tue sorelle (una di loro è morta due anni fa). Dormivo in un appartamento di 15 metri, con la luce accesa aspettando che si facesse giorno per andare a scuola. Stare da solo non è facile per un bambino. Però se dovessi rifarlo, lo rifarei."

IL PRIMO CONTRATTO
- "Non volevo andare a Glasgow. Avevo giocato due partite in Serie B e avevo ottenuto la promozione col Perugia, dove avevo giocato 8 partite senza contratto. Poi ho giocato l’Europeo u18 con l’Italia, un giorno viene mio padre e mi dice che è venuto al paese un rappresentante dei Rangers. Io non volevo andarmene, ma quando ho finito di parlare mio padre mi ha detto; 'io questa cifra (sul contratto, ndr) non so nemeno scriverla, dovrei vivere quattro vite per guadagnarla'. Quando ho insistito, mi ha risposto: 'ti do una sberla se non ne approfitti'. Le pacche fanno parte del mio carattere. È un segnale che voglio bene alla persona che è con me."

IL METODO GATTUSO - "Come sono arrivato sul tetto del mondo? Col lavoro. Credendo tutto il giorno a quello che si fa. Quando sono andato a Glasgow non sapevo una parola di inglese. Dopo due settimane, sembravo più scozzese io di un giocatore scozzese. Con il mio stile, lavoravo tre o quattro volte al giorno. andavo un’ora in palestra, poi calciavo contro il muro per due ore. Mi sono costruito con la mentalità. Ho dedicato la mia vita al calcio."

CON CHI HA IMPARATO DI PIU? - "Con tutti. Io non sapevo di essere un leader. Quello che facevo lo facevo in modo naturale. Non dovevo fare del teatro. Quando qualcuno era in difficoltà lo aiutavo. Stavo quattro o cinque ore in più al campo. Sapevo che dovevo seguire il mio stile, che era lavorare e lavorare. Pensare al calcio per 24 ore."

COM’È CAMBIATO IL CALCIO – "è cambiato tutto. Un giocatore oggi ha molte informazioni. Ai livelli più alti hai tutto. Sai se il rivale è destro, mancino… è cambiato anche per gli allenatori. Ora un allenatore controlla 65 o 70 persone, prima solo 30 o 35. Oggi, se credi molto nei dati, hai tutto. Se fai le cose per bene, ti infortuni poco. I giocatori sono più professionali di come eravamo noi. Si curano di più, controllano l’alimentazione, i carichi… quando parli coi giocatori devi sapere i perché, se non li sai ti ammazzano."

ENTRARE NELLA TESTA DEI GIOCATORI - "Per me Ancelotti è il miglior allenatore del mondo in questo. È di tre o quattro generazioni indietro e ha sempre la chiave per entrare nella testa dei giocatori. sembra facile ma non lo è. Quando parlo con un ragazzo di 20 anni non devo pensare nella mia carriera o in quello che facevo. Devo pensare a come posso entrare nella testa di quel ragazzo. Quando ho iniziato, nei primi 4 anni, non lo avevo chiaro perché pensavo che tutti dovessero fare lo stesso di me, con la mia viglia e la mia mentalità. Però bisogna sapere chi hai davanti. Un esempio: ho un figlio e una figlia. Mia figlia è una donna forte, con un carattere simile al mio. Mio figlio è completamente diverso. Non posso parlare a entrambi allo stesso modo. Uguale coi giocatori. Per questo, al di là di tattiche e altre cose, il miglior allenatore del mondo è Carlo. È incredibile come sia entrato nella testa dei giocatori di quattro generazioni diverse."

‘A FULL’ - "A un giocatore non perdonerei che non rispetti il suo lavoro. Quando parlo con loro gli dico che abbiamo una responsabilità e se cu sono due o tre giocatori che non lo fanno, l’allenamento va male. Non ho mai sospeso un allenamento per due o tre ore. Quando fischio l’inizio voglio vedere che la squadra va al massimo. Altrimenti meglio andare in doccia. Non ho paura della morte. Preferisco essere un leone e non un gatto come mi hanno chiesto nella mia prima conferenza stampa qui. È meglio vivere a full che come un molle. Non conto fino a 10. Mi piace vivere e non pensare in quello che succederà. Oggi è oggi, domani è domani. Non mi freno. Quando mi vedo in tv non mi piace, ma quando ho l’adrenalina, il fuoco, vado. Non sono una persona che pensa che c’è una camera che mi sta mettendo a fuoco. Sono io. È normale che dovrei controllarmi siccome sono allenatore, però… vado."
A Rino si vuole bene a prescindere, ma un allenatore oltre a valori morali, motivazioni, ecc. deve avere anche un identità tattica e competenze che lui ad oggi ancora non ha
 
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