Ci sono le vie di mezzo fra economia di mercato e di piano. Ci sono i periodi di crisi in cui si deroga al principio generale, si resetta tutto e si riparte.
Né l'URSS né l'Italia Fascista hanno avuto sempre la medesima politica economica.
Entrambi i sistemi hanno pregi e difetti.
Alla fine sono visioni ed organizzazioni umane.
Un certo tipo di economia improntata fortemente dalla presenza dello Stato, che sviluppa una industria pesante e monopolista da alcuni viene individuata come propedeutica alla guerra.
Non voglio entrare nella terapia dell'imperialismo e via discorrendo, ma alla fine è spesso una questione di controlli e di derive verso inefficienza e ladrocini.
Quando hai un industria a forte presenza dello Stato ti devi beccare anche i Boiardi.
Bravi-incapaci, onesti-corrotti. E tutte le gerarchie di mezzo.
Il segretario del partito comunista cinese locale, che insistentemente spinge per fare una joint venture con azienda italiana con un piccolo know-how, (joint venture con maggioranza delle partecipazioni a nome suo, sede di produzione Cina), lo fa per sé, lo fa per il partito o lo fa per la Cina?
Poi ti seguo anche nel tuo discorso.
Ma quelle aziende che all'ombra dello Stato liberale giolittiano facevano extraprofitti in guerra, qualcuno le denunciava come pescicani di guerra, ma poi fece il salto della quaglia e si mise al loro servizio, non sono tutti fatti umani?
Un conto è la teoria, la filosofia, ma se poi mi trovo l'immancabile furbetto italico un sistema vale l'altro?
O uno si rende preferibile per la maggior presenza di antidoti, contrappesi, contendibilità etc etc?
Attenzione, io non sono affatto per il Capitalismo di Stato stile cinese, anzi: sebbene sia tecnicamente più sostenibile, lo trovo la forma più becera di Capitalismo. E sono del tutto terrorizzato dall'idea del diventare come la Cina, le cui imprese sono ammassi di società partecipate, in cui volente o nolente lo Stato ci mette bocca, anche se non a livello di pianificazione economica stile URSS, ringraziando il Cielo.
Da un punto di vista strettamente filosofico, io sono per la Terza Posizione: socializzazione dell'economia. La proprietà e l'iniziativa privata sono sacre e vanno tutelate, ma va tutelata anche la dignità del lavoratore. E lo Stato in questo contesto deve fare da garante degli equilibri.
Quindi divisione della proprietà dei mezzi di produzione al 50% per l'imprenditore, che mette il capitale "liquido", e per i lavoratori, che mettono il capitale umano, nell'azienda.
Lo Stato interviene solo quando l’equilibrio viene intaccato, ed ha il potere di nazionalizzate l’impresa e rivenderlax qualora l’imprenditore remi contro gli interessi nazionali.
Ma attenzione: io sono pragmatico, quindi anche se si scegliesse una via Capitalista Occidentale, con l'impresa privata i cui mezzi di produzione sono al 100% dell'imprenditore, mi andrebbe comunque bene, ma a patto che lo Stato sia garante del fatto che l'economia debba sempre favorire l'interesse nazionale e il diritto dei lavoratori, e sia un mezzo di salvaguardia nel caso in cui le imprese abbiano problemi.
Non a caso sono favorevole a CDP, che è di fatto una nuova IRI.
Quindi Capitalismo deregolamentato stile USA e desiderato da Bruxelles, anche no. Capitalismo "socialdemocratico" (chiamiamolo così) assolutamente sì.
Che poi il problema italiano sia la corruzione a tutti i livelli, che porta all'abuso di tali strutture e dei sussidi, è evidente, ma questo è il male con cui dobbiamo combattere, e che dovrebbe essere il punto principale di ogni Partito. Ma dato che questa gente è palesemente parte della causa del problema, è inutile anche solo stare a sperare in una loro soluzione.