Non auspico un ritorno di Berlusconi.
Però non era lui a non voler spendere, era Fininvest.
In uno scenario in cui lui tornasse, lo farebbe col patrimonio personale senza coinvolgere Fininvest.
Tuttavia, con il settlement agreement può venire anche Bill Gates ma non cambierebbe quasi nulla. Ci si autofinanzierebbe sperando intanto che inizi seriamente un progetto stadio (per il quale a oggi c'è il nulla assoluto).
In questo scenario, Berlusconi si ritroverebbe la tavola apparecchiata per un Milan obbligatoriamente low-cost: un ital-Milan.
Violazioni del FPF stile PSG da parte del futuro proprietario (che sia Berlusconi o qualcun altro) o annullamento del FPF entro pochissimi anni (possibile solo in caso di accesi reclami e avvisaglie di Super Lega da parte delle big d'Europa) sono variabili troppo flebili per essere prese in considerazione.
Il Milan, Aron, oggi è una stretta inaccessibile. Troppo alti i costi di acquisizione: tra cessione di quota di controllo, accollo del debito a breve (che inevitabilmente non può essere in quota ma per l'intero, perché chi cede in diversa ipotesi non sarebbe interessato), il 51 per cento del club richiede non meno di 700 milioni di euro. La quota non è svalutata da aprile ad oggi, perché vi è continuità aziendale, il club ha iniziato a ricapitalizzarsi e ripatrimonializzarsi, e se il previsionale, come è legittimo immaginare, riporta una espansione di ricavi, il proprietario non svende, anzi. Troppo lontano il punto di ritorno degli investimenti: il piano industriale di Fassone, in costanza di investimenti (voluntary agreement), prevedeva la formazione di utili a quattro anni, ed il raddoppio del fatturato (600 milioni) entro cinque anni. Chi compra ora, in settlement agreement, deve apportare non mezzi propri, esclusi dall'accordo transattivo, ma capitale industriale in conto ricavi, ovvero sponsorizzazioni, commerciale, immobiliare stadio, quest'ultimo solo attingibile da mezzi propri, esclusi dal FPF. Altrimenti, è un'anatra zoppa, che rischia di buttare via il patrimonio su un meccanismo che non gira, un brodo di coltura di costi improduttivi, che a medio termine annuncia il default degli obblighi verso terzi. Insomma, un investimento di non meno di 1,5-2 miliardi di euro a tre anni, per rimettere in carreggiata il club verso l'autofinanziamento. Costi un po' alti, per un ottandueenne con mere finalità di propaganda politica, con eredi collettivamente disinteressati a proseguire nel club, avendone incentivato, appena un paio di anni fa, la totale dismissione.
