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Enrico Currò, giornalista di Repubblica, durissimo con Yonghong Li, con Berlusconi e con Fassone per l'operazione Milan definita "assurda".
Ecco l'editoriale redatto su Repubblica in edicola oggi 11 luglio
La presentazione della nuova maglia col nome di Çalhanoglu scritto sbagliato è il classico lapsus freudiano: il Milan di Fassone, l’amministratore delegato del nuovo corso, non ne ha azzeccata una, a parte Gattuso, pescato dal ds Mirabelli e rimasto l’unico saldo punto di riferimento.
La favola più grande, smascherata da Repubblica in largo anticipo, è che un misterioso gruppo di cinesi abbia buttato via mezzo miliardo tra caparre, prestiti onerosissimi e aumenti di capitale: operazione assurda e autolesionistica. La seconda favola - anche questa smascherata da Repubblica - è che il club avesse le carte in regola con l’Uefa: la sentenza piena di cifre sbugiarda il piano di Fassone, con i mitici nuovi introiti dalla Cina per 129 milioni. La terza favola è che il mondo pullulasse di finanzieri pronti a sobbarcarsi il mostruoso debito di Li col fondo Elliott. Repubblica si è addentrata nella selva oscura e il club si è indignato: guai a chi non si fida del manovratore. Intanto i potenziali acquirenti – dal broker degli Emirati agli emissari dell’oligarca russo, dagli americani yankee e oriundi fino a Sela Sports, braccio sportivo della famiglia saudita, ultima proposta arrivata fuori tempo massimo – hanno bussato invano alla porta londinese della strana finanza del Milan: un pezzo in Cina, uno in Lussemburgo e un altro nelle banche d’affari della City. Forse perché l’epilogo era già scritto, da quando Berlusconi, recuperando per Fininvest 740 preziosi milioni, giurò di avere lasciato il Milan in ottime mani. Mani senza soldi per l’obiettivo di Gattuso, uno tra Morata, Benzema e Immobile. Ma in fondo il più bravo a raccontare favole, Fassone non si offenda, è sempre stato uno solo: Silvio Berlusconi.
Ecco l'editoriale redatto su Repubblica in edicola oggi 11 luglio
La presentazione della nuova maglia col nome di Çalhanoglu scritto sbagliato è il classico lapsus freudiano: il Milan di Fassone, l’amministratore delegato del nuovo corso, non ne ha azzeccata una, a parte Gattuso, pescato dal ds Mirabelli e rimasto l’unico saldo punto di riferimento.
La favola più grande, smascherata da Repubblica in largo anticipo, è che un misterioso gruppo di cinesi abbia buttato via mezzo miliardo tra caparre, prestiti onerosissimi e aumenti di capitale: operazione assurda e autolesionistica. La seconda favola - anche questa smascherata da Repubblica - è che il club avesse le carte in regola con l’Uefa: la sentenza piena di cifre sbugiarda il piano di Fassone, con i mitici nuovi introiti dalla Cina per 129 milioni. La terza favola è che il mondo pullulasse di finanzieri pronti a sobbarcarsi il mostruoso debito di Li col fondo Elliott. Repubblica si è addentrata nella selva oscura e il club si è indignato: guai a chi non si fida del manovratore. Intanto i potenziali acquirenti – dal broker degli Emirati agli emissari dell’oligarca russo, dagli americani yankee e oriundi fino a Sela Sports, braccio sportivo della famiglia saudita, ultima proposta arrivata fuori tempo massimo – hanno bussato invano alla porta londinese della strana finanza del Milan: un pezzo in Cina, uno in Lussemburgo e un altro nelle banche d’affari della City. Forse perché l’epilogo era già scritto, da quando Berlusconi, recuperando per Fininvest 740 preziosi milioni, giurò di avere lasciato il Milan in ottime mani. Mani senza soldi per l’obiettivo di Gattuso, uno tra Morata, Benzema e Immobile. Ma in fondo il più bravo a raccontare favole, Fassone non si offenda, è sempre stato uno solo: Silvio Berlusconi.