Paolo Maldini, attraverso un comunicato ufficiale, ha affermato di aver deciso di non accettare la proposta di Sino-Europe e di Fassone. L'ex capitano ha ribadito di non aver affrontato alcun discorso economico e di non voler fare l'AD in quanto conosce i suoi limiti. Tuttavia, a precisa domanda fatta a Fassone su chi avrebbe deciso in caso di disaccordo tra lui e Mirabelli, il capitano si è sentito rispondere dal nuovo AD: "decido io".
Maldini non condivide questa impostazione, secondo lui simile al doppio AD che tanto ha fatto male negli ultimi anni. Lui afferma di volersi occupare dell'area tecnica ma lascia intendere di volerlo fare in modo autonomo.
Nel ribadire che i cinesi sono liberi di scegliere i loro collaboratori, afferma che anche lui avrebbe fatto lo stesso.
Ma la sua integrità morale gli impedisce di accettare qualcosa di cui non è convinto.
Quindi Maldini non tornerà al Milan. E' ufficiale.
Ragionamento tortuoso, quello di Maldini. Nei club di calcio normali, non quelli dominati da un plenipotenziario alla Galliani, l'amministratore delegato di una società per azioni presiede ad almeno tre strutture verticali dell'amministrazione: quella finanziaria, quella commerciale, e quella sportiva, alla cui direzione sono preposti rispettivamente un direttore finanziario, uno commerciale ed uno tecnico. Le deliberazioni dei tre uffici vengono condivise con l'amministratore delegato, che riporta la volontà della proprietà e dinanzi a questa risponde esclusivamente dell'operato delle varie direzioni. Ciò in linea generale per i club a proprietà dominante, a maggior ragione in quella plurisoggettiva, quando non addirittura parcellizzata o diffusa, come si annuncia quella futura del Milan, ove non vi sarà (non dovrebbe esservi) un socio dominante rispetto ad un altro, che coarti l'operato dell'AD da lui nominato. In club con questa struttura, la volontà sociale si fonda sulla condivisione di un piano industriale e sull'affidamento di questo all'AD come lead manager, con precise responsabilità e discrezionalità, la cui volontà è prevalente su quella di ogni altro organo sociale. Tale è (sarà) Fassone nel Milan, per precisa volontà dei nuovi soci. Come possa collimare con questo profilo quello, vagheggiato da Maldini, di un direttore tecnico che gestisce in piena autonomia il budget di mercato, senza rispondere del suo operato all'AD, rimane un fatto difficile da interpretare. Pensavamo che la battaglia di Paolo fosse quella di guadagnare alla sua importante funzione di direttore tecnico spazi di manovra e di discrezionalità quanto a scelte strategiche, politiche di mercato, budget gestibile, non quella di ipotizzare una rivoluzione copernicana di modelli di amministrazione del club che non potrebbero essere diversi da quelli che sono. Delusione e dispiacere, dunque, per quella che poteva essere la grande occasione di rentree di Maldini nel grande calcio. Ma per costui si conferma un destino di signorile distacco dalla trita quotidianità di un mondo che gli ha donato felicità e ricchezza, ma a cui ha sempre riservato un estetico ed aristocratico sentimento di rifiuto. Rispetto, ma si deve andare avanti senza di lui.