Cassano:"Gattuso non ha colpe. La squadra è mediocre".

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Antonio Cassano sul Milan:"Gattuso si sta prendendo responsabilità che non ha. Il Milan ha una rosa mediocre, nessuno dei giocatori del Milan di oggi avrebbe giocato ai miei tempi in rossonero. Il Milan è una delle squadre con più storia al mondo e deve puntare a vincere, non ai piazzamenti".
 

rot-schwarz

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Antonio Cassano sul Milan:"Gattuso si sta prendendo responsabilità che non ha. Il Milan ha una rosa mediocre, nessuno dei giocatori del Milan di oggi avrebbe giocato ai miei tempi in rossonero. Il Milan è una delle squadre con più storia al mondo e deve puntare a vincere, non ai piazzamenti".

ha ragione, abbiamo in panchina un mediocre, la dirigenza e' mediocre e abbiamo una squadra mediocre che gioca in un campionato mediocre
 

Mr. Canà

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Antonio Cassano sul Milan:"Gattuso si sta prendendo responsabilità che non ha. Il Milan ha una rosa mediocre, nessuno dei giocatori del Milan di oggi avrebbe giocato ai miei tempi in rossonero. Il Milan è una delle squadre con più storia al mondo e deve puntare a vincere, non ai piazzamenti".

Sconcertante che debba essere Cassano a ricordarci questo. Però poteva dirlo anche quando Berlusconi e Galliani stavano smobilitando, vendendo anche l'argenteria della nonna, condannandoci alla mediocrità in cui ora siamo immersi fino al collo.
 
W

Wildbone

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Chiunque dica che Gattuso non ha colpe è un qualcuno da non ascoltare.
 
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Antonio Cassano sul Milan:"Gattuso si sta prendendo responsabilità che non ha. Il Milan ha una rosa mediocre, nessuno dei giocatori del Milan di oggi avrebbe giocato ai miei tempi in rossonero. Il Milan è una delle squadre con più storia al mondo e deve puntare a vincere, non ai piazzamenti".

E quasi nessuno nelle rose di Lazio e Roma avrebbe giocato ai suoi tempi, contano gli avversari che affronti ora non i confronti col passato, il quarto posto non te lo stai giocando contro il Milan degli olandesi
 

Casnop

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Antonio Cassano sul Milan:"Gattuso si sta prendendo responsabilità che non ha. Il Milan ha una rosa mediocre, nessuno dei giocatori del Milan di oggi avrebbe giocato ai miei tempi in rossonero. Il Milan è una delle squadre con più storia al mondo e deve puntare a vincere, non ai piazzamenti".
Questa squadra, sino allo scorso 17 marzo, era solidamente attestata al quarto posto e, in attesa del derby in programma in quella serata, aveva fortissime aspettative di vittoria e di raggiungimento del terzo posto a spese proprio dei cugini sconfitti. Quella sera si è perso, male. Due settimane dopo, alla vigilia della partita con la Sampdoria, Gattuso mette in scena una stranissima conferenza stampa, facendo intendere, con profondo segno di contrizione, che il suo percorso al Milan sarebbe terminato a fine stagione. Cosa sia accaduto tra la sera del 17 marzo ed il pomeriggio di quella stranissima conferenza, è intuitivo. Quello che non si spiega è il comportamento della squadra successivo a questi due momenti, ovvero la completa deflagrazione di un edificio tecnico, organizzativo, emotivo di un gruppo di giocatori che, pur tra i tanti limiti che lo caratterizzano, si era issato, non demeritando, sino al quarto posto, con legittime aspettative su quel terzo posto nei confronti di una Inter in palese difficoltà. E si rammenta una intervista di Galliani, di diversi mesi fa, anteriore comunque ai fatti di cui sopra, in cui egli diceva che non avrebbe mai pensato che Gattuso sarebbe diventato allenatore, a causa del suo carattere tendente alla depressione ed alla elaborazione quasi patologica di un totalizzante senso di colpa dopo le sconfitte, ed a prova di ciò citava il caso, emblematico, dei giorni susseguenti alla drammatica sconfitta di Istanbul, nel 2005, quando andò in via Turati, chiedendo di essere ceduto perché non avrebbe sopportato oltre a Milanello l'onta della umiliazione di quella finale perduta in malo modo, venendo poi a fatica rincuorato, e trattenuto, da Galliani stesso. Se così è, e nulla esclude che lo sia, vien da pensare che egli abbia recepito in modo traumatico la notizia dell'esonero a fine stagione da parte del club, propalata in quel modo improprio ed inatteso al mondo, e che ne abbia trasmesso il contenuto negativo e depressivo ad un gruppo di giocatori che a lui si erano legati nella impresa di essere competitivi oltre i propri oggettivi limiti, determinando il crollo dei fragili equilibri psicologici, di solidarietà di squadra e di autostima del proprio valore, con le conseguenze che ora stiamo tutti osservando. E qui, tuttavia, entrano in gioco le responsabilità, attive ed omissive, della dirigenza: l'aver licenziato un allenatore come Gattuso, con questo mood, senza sollevarlo tempestivamente dall'incarico; l'aver consentito a costui comunicazioni come quelle prima della partita con la Sampdoria, quella, bizzarra, precedente la partita di Coppa Italia con la Lazio, con i riferimenti di dubbio gusto alle cene con Mendes, e, ultima ma non l'ultima, l'inaudita conferenza stampa precedente la delicata partita con il Torino, un drammatico flusso di coscienza, degno del Finnegan's Wake, vera e propria lava incandescente a seppellire crudamente un gruppo di giocatori ormai sperduto ed intimorito dagli eventi. Le partite si possono vincere o perdere, giocare male o bene, ma non si può sentire il proprio allenatore dire 'Non riesco ad entrare nella testa dei ragazzi', 'La squadra non riesce a reagire neanche in allenamento', espressioni che, per un allenatore, e la dirigenza che gli.ha affidato la conduzione della squadra, hanno un peso oggettivamente enorme. La dirigenza, consapevole di queste circostanze, e delle premesse che le hanno originate, note ai bene informati delle caratteristiche ed abitudini del nostro allenatore, avrebbe allora dovuto anticipare l'esonero, già annunciato dopo la sconfitta con l'Inter, evitando la sedimentazione nociva di esso nell'atteggiamento del tecnico, con le nefaste conseguenze delle settimane successive. Il mite Totti, sotto questo punto di vista, con la tempestiva sostituzione di Di Francesco con Ranieri, non meno traumatica ancorché necessaria nei confronti di un tecnico che aveva pur sempre portato la Roma alle semifinali di Champions League l'anno prima, ha dato ai nostri una lezione di buon senso, attenzione, senso della squadra e protezione dei suoi primari interessi sportivi in.una fase delicata della stagione. Ne prendessero buona nota tutti, ora che si fa, per l'ennesima volta, la conta dei danni sotto le macerie. :sisi:
 

Konrad

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Questa squadra, sino allo scorso 17 marzo, era solidamente attestata al quarto posto e, in attesa del derby in programma in quella serata, aveva fortissime aspettative di vittoria e di raggiungimento del terzo posto a spese proprio dei cugini sconfitti. Quella sera si è perso, male. Due settimane dopo, alla vigilia della partita con la Sampdoria, Gattuso mette in scena una stranissima conferenza stampa, facendo intendere, con profondo segno di contrizione, che il suo percorso al Milan sarebbe terminato a fine stagione. Cosa sia accaduto tra la sera del 17 marzo ed il pomeriggio di quella stranissima conferenza, è intuitivo. Quello che non si spiega è il comportamento della squadra successivo a questi due momenti, ovvero la completa deflagrazione di un edificio tecnico, organizzativo, emotivo di un gruppo di giocatori che, pur tra i tanti limiti che lo caratterizzano, si era issato, non demeritando, sino al quarto posto, con legittime aspettative su quel terzo posto nei confronti di una Inter in palese difficoltà. E si rammenta una intervista di Galliani, di diversi mesi fa, anteriore comunque ai fatti di cui sopra, in cui egli diceva che non avrebbe mai pensato che Gattuso sarebbe diventato allenatore, a causa del suo carattere tendente alla depressione ed alla elaborazione quasi patologica di un totalizzante senso di colpa dopo le sconfitte, ed a prova di ciò citava il caso, emblematico, dei giorni susseguenti alla drammatica sconfitta di Istanbul, nel 2005, quando andò in via Turati, chiedendo di essere ceduto perché non avrebbe sopportato oltre a Milanello l'onta della umiliazione di quella finale perduta in malo modo, venendo poi a fatica rincuorato, e trattenuto, da Galliani stesso. Se così è, e nulla esclude che lo sia, vien da pensare che egli abbia recepito in modo traumatico la notizia dell'esonero a fine stagione da parte del club, propalata in quel modo improprio ed inatteso al mondo, e che ne abbia trasmesso il contenuto negativo e depressivo ad un gruppo di giocatori che a lui si erano legati nella impresa di essere competitivi oltre i propri oggettivi limiti, determinando il crollo dei fragili equilibri psicologici, di solidarietà di squadra e di autostima del proprio valore, con le conseguenze che ora stiamo tutti osservando. E qui, tuttavia, entrano in gioco le responsabilità, attive ed omissive, della dirigenza: l'aver licenziato un allenatore come Gattuso, con questo mood, senza sollevarlo tempestivamente dall'incarico; l'aver consentito a costui comunicazioni come quelle prima della partita con la Sampdoria, quella, bizzarra, precedente la partita di Coppa Italia con la Lazio, con i riferimenti di dubbio gusto alle cene con Mendes, e, ultima ma non l'ultima, l'inaudita conferenza stampa precedente la delicata partita con il Torino, un drammatico flusso di coscienza, degno del Finnegan's Wake, vera e propria lava incandescente a seppellire crudamente un gruppo di giocatori ormai sperduto ed intimorito dagli eventi. Le partite si possono vincere o perdere, giocare male o bene, ma non si può sentire il proprio allenatore dire 'Non riesco ad entrare nella testa dei ragazzi', 'La squadra non riesce a reagire neanche in allenamento', espressioni che, per un allenatore, e la dirigenza che gli.ha affidato la conduzione della squadra, hanno un peso oggettivamente enorme. La dirigenza, consapevole di queste circostanze, e delle premesse che le hanno originate, note ai bene informati delle caratteristiche ed abitudini del nostro allenatore, avrebbe allora dovuto anticipare l'esonero, già annunciato dopo la sconfitta con l'Inter, evitando la sedimentazione nociva di esso nell'atteggiamento del tecnico, con le nefaste conseguenze delle settimane successive. Il mite Totti, sotto questo punto di vista, con la tempestiva sostituzione di Di Francesco con Ranieri, non meno traumatica ancorché necessaria nei confronti di un tecnico che aveva pur sempre portato la Roma alle semifinali di Champions League l'anno prima, ha dato ai nostri una lezione di buon senso, attenzione, senso della squadra e protezione dei suoi primari interessi sportivi in.una fase delicata della stagione. Ne prendessero buona nota tutti, ora che si fa, per l'ennesima volta, la conta dei danni sotto le macerie. :sisi:

Ricostruzione lucida e incontestabile. In un Paese normale con una stampa non allineata l'avremmo letta, vista e ascoltata su ogni quotidiano e trasmissione sportivi.

Ma Gattuso non ha colpe...
 
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Il fatto che lo dicano Cassano ed il suo unico neurone fa capire che in realtà la rosa NON è scarsa
 
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Questa squadra, sino allo scorso 17 marzo, era solidamente attestata al quarto posto e, in attesa del derby in programma in quella serata, aveva fortissime aspettative di vittoria e di raggiungimento del terzo posto a spese proprio dei cugini sconfitti. Quella sera si è perso, male. Due settimane dopo, alla vigilia della partita con la Sampdoria, Gattuso mette in scena una stranissima conferenza stampa, facendo intendere, con profondo segno di contrizione, che il suo percorso al Milan sarebbe terminato a fine stagione. Cosa sia accaduto tra la sera del 17 marzo ed il pomeriggio di quella stranissima conferenza, è intuitivo. Quello che non si spiega è il comportamento della squadra successivo a questi due momenti, ovvero la completa deflagrazione di un edificio tecnico, organizzativo, emotivo di un gruppo di giocatori che, pur tra i tanti limiti che lo caratterizzano, si era issato, non demeritando, sino al quarto posto, con legittime aspettative su quel terzo posto nei confronti di una Inter in palese difficoltà. E si rammenta una intervista di Galliani, di diversi mesi fa, anteriore comunque ai fatti di cui sopra, in cui egli diceva che non avrebbe mai pensato che Gattuso sarebbe diventato allenatore, a causa del suo carattere tendente alla depressione ed alla elaborazione quasi patologica di un totalizzante senso di colpa dopo le sconfitte, ed a prova di ciò citava il caso, emblematico, dei giorni susseguenti alla drammatica sconfitta di Istanbul, nel 2005, quando andò in via Turati, chiedendo di essere ceduto perché non avrebbe sopportato oltre a Milanello l'onta della umiliazione di quella finale perduta in malo modo, venendo poi a fatica rincuorato, e trattenuto, da Galliani stesso. Se così è, e nulla esclude che lo sia, vien da pensare che egli abbia recepito in modo traumatico la notizia dell'esonero a fine stagione da parte del club, propalata in quel modo improprio ed inatteso al mondo, e che ne abbia trasmesso il contenuto negativo e depressivo ad un gruppo di giocatori che a lui si erano legati nella impresa di essere competitivi oltre i propri oggettivi limiti, determinando il crollo dei fragili equilibri psicologici, di solidarietà di squadra e di autostima del proprio valore, con le conseguenze che ora stiamo tutti osservando. E qui, tuttavia, entrano in gioco le responsabilità, attive ed omissive, della dirigenza: l'aver licenziato un allenatore come Gattuso, con questo mood, senza sollevarlo tempestivamente dall'incarico; l'aver consentito a costui comunicazioni come quelle prima della partita con la Sampdoria, quella, bizzarra, precedente la partita di Coppa Italia con la Lazio, con i riferimenti di dubbio gusto alle cene con Mendes, e, ultima ma non l'ultima, l'inaudita conferenza stampa precedente la delicata partita con il Torino, un drammatico flusso di coscienza, degno del Finnegan's Wake, vera e propria lava incandescente a seppellire crudamente un gruppo di giocatori ormai sperduto ed intimorito dagli eventi. Le partite si possono vincere o perdere, giocare male o bene, ma non si può sentire il proprio allenatore dire 'Non riesco ad entrare nella testa dei ragazzi', 'La squadra non riesce a reagire neanche in allenamento', espressioni che, per un allenatore, e la dirigenza che gli.ha affidato la conduzione della squadra, hanno un peso oggettivamente enorme. La dirigenza, consapevole di queste circostanze, e delle premesse che le hanno originate, note ai bene informati delle caratteristiche ed abitudini del nostro allenatore, avrebbe allora dovuto anticipare l'esonero, già annunciato dopo la sconfitta con l'Inter, evitando la sedimentazione nociva di esso nell'atteggiamento del tecnico, con le nefaste conseguenze delle settimane successive. Il mite Totti, sotto questo punto di vista, con la tempestiva sostituzione di Di Francesco con Ranieri, non meno traumatica ancorché necessaria nei confronti di un tecnico che aveva pur sempre portato la Roma alle semifinali di Champions League l'anno prima, ha dato ai nostri una lezione di buon senso, attenzione, senso della squadra e protezione dei suoi primari interessi sportivi in.una fase delicata della stagione. Ne prendessero buona nota tutti, ora che si fa, per l'ennesima volta, la conta dei danni sotto le macerie. :sisi:

Scusa hai fatto copia incolla da qualche parte o è tuo questo pezzo? Nel secondo caso sei un grande giornalista? Altrimenti lo diventerai!
 
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