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CorSera: sono tornati a crescere i giocatori (più 210 mila in un anno framaschi e femmine), gli spettatori hanno riempito gli stadi dopo un biennio di limitazioni e porte chiuse, le partite sono decuplicate (da 43.490 a 480.482 disputate nella stagione 2021-22, in tutte le categorie). Ma il calcio italiano resta un colabrodo: perdite complessive pari a 1,4 miliardi, persino peggio del periodo del Covid. È il peggior risultato degli ultimi 15 anni, sui conti pesa in maniera determinante il costo degli stipendi che sfiorano l’84% dei ricavi. Questo emerge dal Report Calcio 2023 realizzato dalla Figc insieme ad Arel e Pwc Italia. L’indebitamento ha superato i 5,6 miliardi, numeri che limitano la capacità d’investimento dei club. Basti pensare agli impianti: 199 i nuovi stadi inaugurati negli ultimi 16 anni in Europa, 5 da noi. Ciò nonostante il pallone resta una delle più importanti industrie del Paese con ricadute economiche per 4,5 miliardi. «Abbiamo recuperato 200 mila tesserati dai settori giovanile e scolastico — ha detto Gabriele Gravina, presidente Figc—ed è un bel segnale. Ma risulta evidente la necessità di riportare il sistema in equilibrio, mettendo sotto controllo i costi e destinando risorse per gli investimenti nei vivai e nelle infrastrutture». Con la candidatura a Euro 2032 il tempo già stringe
una situazione al limite del ridicolo e la cosa bella è che non si fa nulla di nulla. Immobilità totale. Il calcio è forse il miglior riflesso del paese a dir la verità. debiti, declino e infrastrutture da terzo mondo con una classe dirigente totalmente inetta e incapace di affrontare le sfide del futuro.