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Davide Calabria si racconta a Owl Post. Ecco le dichiarazioni del terzino
"A tutti è capitato almeno una volta di giocare una partita senza le porte, nella quale per fare gol dovevi far passare la palla tra i conetti di plastica o in mezzo agli zainetti come si faceva nel cortile della scuola. O magari tra due paia di ciabatte infilate nella sabbia come nel leggendario Marocco - Italia 10 a 3 di Aldo, Giovanni e Giacomo in "Tre uomini e una gamba". Il problema di quelle porte senza la traversa e senza la rete è che ogni volta che uno segna un gol che non sia perfettamente rasoterra parte la solita discussione:
- È alta! -
- Ma va là! È gol! -
- Traversa! -
Ovviamente anche a me è successo, e non in un'occasione qualunque, ma durante il mio provino al Milan. In porta c'era un mio carissimo amico che stava cercando, come me, di farsi notare dagli osservatori. A quei tempi i campi di alcune delle giovanili rossonere erano in zona Linate e dalla mia società di origine, quella di Adro, il mio paese, eravamo venuti in un bel gruppetto. Questo era già abbastanza strano per una società così piccola come la nostra, ma nella categoria primi calci con la Virtus Adrense avevamo addirittura vinto il campionato italiano. Comunque: arrivo a tu per tu con il portiere, amico da sempre, botta a mezza altezza, gol (che ovviamente per lui non è gol) e giù di battute che durano ancora oggi.
Lui sostiene di essere stato scartato a causa mia, ma lo fa solo per il gusto di prendermi in giro e per poter raccontare agli altri amici del gruppo di avermi lasciato segnare apposta. Quando fai un salto triplo come quello che è capitato a me e ti ritrovi nella rosa di una delle squadre più importanti del Mondo riuscire a mantenere vivi gli affetti di sempre è già un bel modo di iniziare ad affrontare il cambiamento. Ti aiuta a tenere i piedi per terra e restare il ragazzo che sei sempre stato, anche se adesso a guardarti mentre vai al lavoro vengono migliaia di persone.
Nella mia famiglia non c'era nessun appassionato di sport quand'ero piccolo e questa, secondo me, è stata una fortuna perchè in casa il clima è sempre stato sereno e costruttivo, senza che a me arrivasse nessun tipo di pressione, anzi! Crescendo e iniziando a capire un po' di più le cose della vita però mi sono reso conto di quanti sacrifici i miei genitori abbiano dovuto affrontare per permettermi di andare a giocare ogni settimana, perchè questo alla fine resta sempre e comunque un gioco. Sacrifici di cui allora magari non capivo del tutto il peso, ma ai quali oggi non riesco a non pensare, ogni weekend, prima di scendere in campo. Papà ai tempi faceva il muratore e solo dopo anni di duro lavoro è riuscito ad aprirsi un bar, e ci lavorava anche 15 ore al giorno pur di farlo funzionare. Mentre mamma faceva l'impiegata part-time in un ufficio: per cui non dev'essere sempre stato facile far quadrare tutti i conti ogni mese, come succede nella maggior parte delle famiglie. Mi hanno anche confessato che gli è capitato di discutere tra di loro per decidere se fosse il caso di continuare a portarmi ogni settimana fino a Milano, investendo così tanto tempo e così tanti soldi che magari potevano servire per altre cose nel bilancio famigliare.*
- Però - diceva mio mamma - come fai a dire ad un bambino che non potrà più mettere la maglia del Milan? -
Non me lo disse mai infatti.
Questa confessione me l'hanno fatta soltanto l'anno scorso perchè da bambino volevano proteggermi e permettermi di vivere quell'esperienza con la testa sgombra da qualunque pensiero. Ora ci capita anche di riderci sopra, quando siamo a cena tutti insieme. Mamma si sorbiva ore e ore di macchina per portarmi quattro volte a settimana alla fermata del pullman che mi avrebbe portato fino al campo; questo oltre al viaggio domenicale per la partita, che molto spesso durante le giovanili io passavo in panchina con il musone.*
Non ero uno di quelli che sembravano destinati a fare qualcosa d'importante. Per fortuna non tutto si può prevedere nella vita. Mamma che mi portava dappertutto e capiva poco di sport. Mamma che oggi fa il tifo e si appassiona a tutti gli aspetti del mio lavoro: io quelle centinaia di ore passate sui due sedili davanti della macchina non me le dimenticherò mai. Anche per questo mi piace prendermi il mio tempo per spiegare bene come funzionano le cose: perchè dietro ad ogni traguardo ci sono state tante piccole tappe, ognuna con il suo prezzo da pagare e le sue difficoltà. E di questo bisogna ricordarsi. Mi da molto fastidio vedere quei ragazzi che pretendono tutto e subito: che si esaltano per una vittoria e vorrebbero buttare tutto all'aria dopo una sconfitta. Se fai una gran partita sei il nuovo Cafù. Se sbagli non vali nulla. Molta gente, purtroppo, ragiona così e a me dispiace perchè tutti i risultati e le prestazioni sono in realtà il prodotto di un percorso lungo e faticoso, nel quale sbagliare è parte del processo. Tanti in Italia pensano che i ragazzi giovani giochino poco per colpa di quello che c'è scritto sulla carta d'identità, ma io non ho mai incontrato un mister che la guardasse per davvero. In campo va chi merita, chi è pronto, e a volte per esser pronto serve del tempo perchè nella foga di voler fare bene e di dimostrare chi è inesperto rischia di perdersi qualcosa.
"A tutti è capitato almeno una volta di giocare una partita senza le porte, nella quale per fare gol dovevi far passare la palla tra i conetti di plastica o in mezzo agli zainetti come si faceva nel cortile della scuola. O magari tra due paia di ciabatte infilate nella sabbia come nel leggendario Marocco - Italia 10 a 3 di Aldo, Giovanni e Giacomo in "Tre uomini e una gamba". Il problema di quelle porte senza la traversa e senza la rete è che ogni volta che uno segna un gol che non sia perfettamente rasoterra parte la solita discussione:
- È alta! -
- Ma va là! È gol! -
- Traversa! -
Ovviamente anche a me è successo, e non in un'occasione qualunque, ma durante il mio provino al Milan. In porta c'era un mio carissimo amico che stava cercando, come me, di farsi notare dagli osservatori. A quei tempi i campi di alcune delle giovanili rossonere erano in zona Linate e dalla mia società di origine, quella di Adro, il mio paese, eravamo venuti in un bel gruppetto. Questo era già abbastanza strano per una società così piccola come la nostra, ma nella categoria primi calci con la Virtus Adrense avevamo addirittura vinto il campionato italiano. Comunque: arrivo a tu per tu con il portiere, amico da sempre, botta a mezza altezza, gol (che ovviamente per lui non è gol) e giù di battute che durano ancora oggi.
Lui sostiene di essere stato scartato a causa mia, ma lo fa solo per il gusto di prendermi in giro e per poter raccontare agli altri amici del gruppo di avermi lasciato segnare apposta. Quando fai un salto triplo come quello che è capitato a me e ti ritrovi nella rosa di una delle squadre più importanti del Mondo riuscire a mantenere vivi gli affetti di sempre è già un bel modo di iniziare ad affrontare il cambiamento. Ti aiuta a tenere i piedi per terra e restare il ragazzo che sei sempre stato, anche se adesso a guardarti mentre vai al lavoro vengono migliaia di persone.
Nella mia famiglia non c'era nessun appassionato di sport quand'ero piccolo e questa, secondo me, è stata una fortuna perchè in casa il clima è sempre stato sereno e costruttivo, senza che a me arrivasse nessun tipo di pressione, anzi! Crescendo e iniziando a capire un po' di più le cose della vita però mi sono reso conto di quanti sacrifici i miei genitori abbiano dovuto affrontare per permettermi di andare a giocare ogni settimana, perchè questo alla fine resta sempre e comunque un gioco. Sacrifici di cui allora magari non capivo del tutto il peso, ma ai quali oggi non riesco a non pensare, ogni weekend, prima di scendere in campo. Papà ai tempi faceva il muratore e solo dopo anni di duro lavoro è riuscito ad aprirsi un bar, e ci lavorava anche 15 ore al giorno pur di farlo funzionare. Mentre mamma faceva l'impiegata part-time in un ufficio: per cui non dev'essere sempre stato facile far quadrare tutti i conti ogni mese, come succede nella maggior parte delle famiglie. Mi hanno anche confessato che gli è capitato di discutere tra di loro per decidere se fosse il caso di continuare a portarmi ogni settimana fino a Milano, investendo così tanto tempo e così tanti soldi che magari potevano servire per altre cose nel bilancio famigliare.*
- Però - diceva mio mamma - come fai a dire ad un bambino che non potrà più mettere la maglia del Milan? -
Non me lo disse mai infatti.
Questa confessione me l'hanno fatta soltanto l'anno scorso perchè da bambino volevano proteggermi e permettermi di vivere quell'esperienza con la testa sgombra da qualunque pensiero. Ora ci capita anche di riderci sopra, quando siamo a cena tutti insieme. Mamma si sorbiva ore e ore di macchina per portarmi quattro volte a settimana alla fermata del pullman che mi avrebbe portato fino al campo; questo oltre al viaggio domenicale per la partita, che molto spesso durante le giovanili io passavo in panchina con il musone.*
Non ero uno di quelli che sembravano destinati a fare qualcosa d'importante. Per fortuna non tutto si può prevedere nella vita. Mamma che mi portava dappertutto e capiva poco di sport. Mamma che oggi fa il tifo e si appassiona a tutti gli aspetti del mio lavoro: io quelle centinaia di ore passate sui due sedili davanti della macchina non me le dimenticherò mai. Anche per questo mi piace prendermi il mio tempo per spiegare bene come funzionano le cose: perchè dietro ad ogni traguardo ci sono state tante piccole tappe, ognuna con il suo prezzo da pagare e le sue difficoltà. E di questo bisogna ricordarsi. Mi da molto fastidio vedere quei ragazzi che pretendono tutto e subito: che si esaltano per una vittoria e vorrebbero buttare tutto all'aria dopo una sconfitta. Se fai una gran partita sei il nuovo Cafù. Se sbagli non vali nulla. Molta gente, purtroppo, ragiona così e a me dispiace perchè tutti i risultati e le prestazioni sono in realtà il prodotto di un percorso lungo e faticoso, nel quale sbagliare è parte del processo. Tanti in Italia pensano che i ragazzi giovani giochino poco per colpa di quello che c'è scritto sulla carta d'identità, ma io non ho mai incontrato un mister che la guardasse per davvero. In campo va chi merita, chi è pronto, e a volte per esser pronto serve del tempo perchè nella foga di voler fare bene e di dimostrare chi è inesperto rischia di perdersi qualcosa.