Tomori:"Voglio vincere tutto. La chiamata di Maldini...".

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Tomori intervistato da OneFootball:


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Diventare un calciatore professionista: “Ricordo che quando ero più giovane pensavo sempre a come si diventasse professionisti. Poi uno scout del Chelsea è venuto a parlare con mio padre alla fine di una stagione dicendogli: ‘Ho osservato tuo figlio e voglio che venga nella nostra academy'. Il primo giorno all’academy c’erano ragazzi da tutta Londra che facevano le stesse cose che facevo io. Non è stato facile. Ricordo di aver detto a mio padre, di ritorno in macchina, di non essere sicuro voler di tornare. Lui mi rispose che l’avrei fatto, perché avevo bisogno di un posto dove mettermi alla prova e migliorare”.

L’importanza della figura di sui papà: “Crescendo, mio padre mi ha spinto molto e ha sempre voluto che facessi di più. Mi capisce probabilmente più della maggior parte delle persone. Dice che tutto si basa sulla diligenza, non solo nel calcio ma anche nella vita. ‘Se lavori duramente per qualcosa, se ti applichi e la vuoi davvero, allora quello che fai avrà successo’. È qualcosa che ho sempre avuto in testa, qualcosa di tatuato nel mio cervello da qualche parte, qualcosa a cui penso sempre”.

La prima volta a Stamford Bridge con il papà: “Non avevamo mai visto una partita di calcio dal vivo. Non ricordo quanti anni avessi, forse nove o dieci. Vedemmo Didier Drogba passarci accanto durante il riscaldamento. Ci siamo guardati e abbiamo pensato: “Wow, quello è il Drogba che di solito vediamo in TV e ora possiamo vederlo in 3D”.

Il suo idolo: “Thierry Henry era il mio idolo quando giocavo da piccolo. Avevo sempre i guanti e mi tiravo i calzini fino alle ginocchia. Se faceva gol, mi assicuravo di ripetere la sua esultanza se poi segnavo anche io la domenica”.

L’esordio in Champions League: “Contro il Valencia a Stamford Bridge (2019/2020, ndr). Pensavo solo a giocare bene. Era ciò che desideravo da tanti anni. L’intera giornata a prepararmi e poi la partita è passata in un lampo”.

Il Milan e l’affetto dei tifosi: "Ricordo la prima telefonata di Paolo Maldini, in cui mi disse che che mi volevano. Ero cresciuto guardando il Milan dei tempi d’oro e i suoi giocatori. Pensavo ‘Davvero mi vuole il Milan?. Indossare il rossonero è stato surreale. San Siro, poi, è come un monumento: lo puoi vedere dalla strada mentre ci passi davanti, sembra si rivolga verso di te. I giorni delle partite, i tifosi sono lì due ore prima dell’inizio e sbattono sul pullman. Si vede il loro entusiasmo, la loro carica, si sente l’energia che emanano”.

Le differenze tra calcio inglese ed italiano: “Quando sono arrivato, ho dovuto pensare di più al mio stile di gioco. In Italia è più importante capire dove posizionarti rispetto al pallone, come passarlo. È più specifico e dipende dai movimenti della squadra. È diverso rispetto all’Inghilterra, dove a volte si gioca in base all’istinto. In Italia credo si tenda ad eliminarlo il più possibile. Lavoro su aspetti più specifici, devo assicurarmi di essere bravo sia col destro che col sinistro. Il passaggio lungo fa parte del mio gioco, essendo un centrale a volte ho bisogno di giocare la palla lunga e ci sto lavorando. Si tratta di acquisire la tecnica, di sentirmi a mio agio nel farlo con entrambi i piedi. Sto sempre attento alla mia velocità, quante volte vado in pressing o in recupero, o a quanta distanza sto coprendo. Il prossimo livello per me è essere presente in entrambe le aree, dominante in aria, a terra e nei duelli”.

Il primo gol in Champions League: “A San Siro si giocano campionato e coppe nazionali, ma quando arriva la Champions League è tutto diverso. Le luci sono un po’ più accese, si ascolta l’inno e quando tutto lo stadio canta ti viene la pelle d’oca. Ricordo che quando ho segnato contro il Liverpool, ripensandoci, mi sono reso conto di averlo fatto a San Siro, per il Milan, in Champions. Ero abituato a guardare gli altri farlo e ora ci sono io”.

Gli obiettivi futuri: “Il mio sogno nella vita, anche se può sembrare banale, è non avere rimpianti. Voglio poter dire che ho fatto tutto quello che potevo e nel modo giusto, che sono stato me stesso. Se avrò vinto un milione di trofei o ‘solo’ lo Scudetto, potrò dire di essere soddisfatto. Naturalmente il sogno è vincere la Champions, la Coppa del Mondo e di nuovo lo Scudetto… Tutti i trofei possibili col Milan, visto che sono qui”.
 
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"....... Naturalmente il sogno è vincere la Champions, la Coppa del Mondo e di nuovo lo Scudetto… Tutti i trofei possibili col Milan, visto che sono qui”.
Purtroppo NON ci sono le premesse per tutto questo, mio caro Oluwafikayomi Oluwadamilola...!
 
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Tomori intervistato da OneFootball:

Diventare un calciatore professionista: “Ricordo che quando ero più giovane pensavo sempre a come si diventasse professionisti. Poi uno scout del Chelsea è venuto a parlare con mio padre alla fine di una stagione dicendogli: ‘Ho osservato tuo figlio e voglio che venga nella nostra academy'. Il primo giorno all’academy c’erano ragazzi da tutta Londra che facevano le stesse cose che facevo io. Non è stato facile. Ricordo di aver detto a mio padre, di ritorno in macchina, di non essere sicuro voler di tornare. Lui mi rispose che l’avrei fatto, perché avevo bisogno di un posto dove mettermi alla prova e migliorare”.

L’importanza della figura di sui papà: “Crescendo, mio padre mi ha spinto molto e ha sempre voluto che facessi di più. Mi capisce probabilmente più della maggior parte delle persone. Dice che tutto si basa sulla diligenza, non solo nel calcio ma anche nella vita. ‘Se lavori duramente per qualcosa, se ti applichi e la vuoi davvero, allora quello che fai avrà successo’. È qualcosa che ho sempre avuto in testa, qualcosa di tatuato nel mio cervello da qualche parte, qualcosa a cui penso sempre”.

La prima volta a Stamford Bridge con il papà: “Non avevamo mai visto una partita di calcio dal vivo. Non ricordo quanti anni avessi, forse nove o dieci. Vedemmo Didier Drogba passarci accanto durante il riscaldamento. Ci siamo guardati e abbiamo pensato: “Wow, quello è il Drogba che di solito vediamo in TV e ora possiamo vederlo in 3D”.

Il suo idolo: “Thierry Henry era il mio idolo quando giocavo da piccolo. Avevo sempre i guanti e mi tiravo i calzini fino alle ginocchia. Se faceva gol, mi assicuravo di ripetere la sua esultanza se poi segnavo anche io la domenica”.

L’esordio in Champions League: “Contro il Valencia a Stamford Bridge (2019/2020, ndr). Pensavo solo a giocare bene. Era ciò che desideravo da tanti anni. L’intera giornata a prepararmi e poi la partita è passata in un lampo”.

Il Milan e l’affetto dei tifosi: "Ricordo la prima telefonata di Paolo Maldini, in cui mi disse che che mi volevano. Ero cresciuto guardando il Milan dei tempi d’oro e i suoi giocatori. Pensavo ‘Davvero mi vuole il Milan?. Indossare il rossonero è stato surreale. San Siro, poi, è come un monumento: lo puoi vedere dalla strada mentre ci passi davanti, sembra si rivolga verso di te. I giorni delle partite, i tifosi sono lì due ore prima dell’inizio e sbattono sul pullman. Si vede il loro entusiasmo, la loro carica, si sente l’energia che emanano”.

Le differenze tra calcio inglese ed italiano: “Quando sono arrivato, ho dovuto pensare di più al mio stile di gioco. In Italia è più importante capire dove posizionarti rispetto al pallone, come passarlo. È più specifico e dipende dai movimenti della squadra. È diverso rispetto all’Inghilterra, dove a volte si gioca in base all’istinto. In Italia credo si tenda ad eliminarlo il più possibile. Lavoro su aspetti più specifici, devo assicurarmi di essere bravo sia col destro che col sinistro. Il passaggio lungo fa parte del mio gioco, essendo un centrale a volte ho bisogno di giocare la palla lunga e ci sto lavorando. Si tratta di acquisire la tecnica, di sentirmi a mio agio nel farlo con entrambi i piedi. Sto sempre attento alla mia velocità, quante volte vado in pressing o in recupero, o a quanta distanza sto coprendo. Il prossimo livello per me è essere presente in entrambe le aree, dominante in aria, a terra e nei duelli”.

Il primo gol in Champions League: “A San Siro si giocano campionato e coppe nazionali, ma quando arriva la Champions League è tutto diverso. Le luci sono un po’ più accese, si ascolta l’inno e quando tutto lo stadio canta ti viene la pelle d’oca. Ricordo che quando ho segnato contro il Liverpool, ripensandoci, mi sono reso conto di averlo fatto a San Siro, per il Milan, in Champions. Ero abituato a guardare gli altri farlo e ora ci sono io”.

Gli obiettivi futuri: “Il mio sogno nella vita, anche se può sembrare banale, è non avere rimpianti. Voglio poter dire che ho fatto tutto quello che potevo e nel modo giusto, che sono stato me stesso. Se avrò vinto un milione di trofei o ‘solo’ lo Scudetto, potrò dire di essere soddisfatto. Naturalmente il sogno è vincere la Champions, la Coppa del Mondo e di nuovo lo Scudetto… Tutti i trofei possibili col Milan, visto che sono qui”.
ma vuole essere ceduto?
 
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Tomori intervistato da OneFootball:

Diventare un calciatore professionista: “Ricordo che quando ero più giovane pensavo sempre a come si diventasse professionisti. Poi uno scout del Chelsea è venuto a parlare con mio padre alla fine di una stagione dicendogli: ‘Ho osservato tuo figlio e voglio che venga nella nostra academy'. Il primo giorno all’academy c’erano ragazzi da tutta Londra che facevano le stesse cose che facevo io. Non è stato facile. Ricordo di aver detto a mio padre, di ritorno in macchina, di non essere sicuro voler di tornare. Lui mi rispose che l’avrei fatto, perché avevo bisogno di un posto dove mettermi alla prova e migliorare”.

L’importanza della figura di sui papà: “Crescendo, mio padre mi ha spinto molto e ha sempre voluto che facessi di più. Mi capisce probabilmente più della maggior parte delle persone. Dice che tutto si basa sulla diligenza, non solo nel calcio ma anche nella vita. ‘Se lavori duramente per qualcosa, se ti applichi e la vuoi davvero, allora quello che fai avrà successo’. È qualcosa che ho sempre avuto in testa, qualcosa di tatuato nel mio cervello da qualche parte, qualcosa a cui penso sempre”.

La prima volta a Stamford Bridge con il papà: “Non avevamo mai visto una partita di calcio dal vivo. Non ricordo quanti anni avessi, forse nove o dieci. Vedemmo Didier Drogba passarci accanto durante il riscaldamento. Ci siamo guardati e abbiamo pensato: “Wow, quello è il Drogba che di solito vediamo in TV e ora possiamo vederlo in 3D”.

Il suo idolo: “Thierry Henry era il mio idolo quando giocavo da piccolo. Avevo sempre i guanti e mi tiravo i calzini fino alle ginocchia. Se faceva gol, mi assicuravo di ripetere la sua esultanza se poi segnavo anche io la domenica”.

L’esordio in Champions League: “Contro il Valencia a Stamford Bridge (2019/2020, ndr). Pensavo solo a giocare bene. Era ciò che desideravo da tanti anni. L’intera giornata a prepararmi e poi la partita è passata in un lampo”.

Il Milan e l’affetto dei tifosi: "Ricordo la prima telefonata di Paolo Maldini, in cui mi disse che che mi volevano. Ero cresciuto guardando il Milan dei tempi d’oro e i suoi giocatori. Pensavo ‘Davvero mi vuole il Milan?. Indossare il rossonero è stato surreale. San Siro, poi, è come un monumento: lo puoi vedere dalla strada mentre ci passi davanti, sembra si rivolga verso di te. I giorni delle partite, i tifosi sono lì due ore prima dell’inizio e sbattono sul pullman. Si vede il loro entusiasmo, la loro carica, si sente l’energia che emanano”.

Le differenze tra calcio inglese ed italiano: “Quando sono arrivato, ho dovuto pensare di più al mio stile di gioco. In Italia è più importante capire dove posizionarti rispetto al pallone, come passarlo. È più specifico e dipende dai movimenti della squadra. È diverso rispetto all’Inghilterra, dove a volte si gioca in base all’istinto. In Italia credo si tenda ad eliminarlo il più possibile. Lavoro su aspetti più specifici, devo assicurarmi di essere bravo sia col destro che col sinistro. Il passaggio lungo fa parte del mio gioco, essendo un centrale a volte ho bisogno di giocare la palla lunga e ci sto lavorando. Si tratta di acquisire la tecnica, di sentirmi a mio agio nel farlo con entrambi i piedi. Sto sempre attento alla mia velocità, quante volte vado in pressing o in recupero, o a quanta distanza sto coprendo. Il prossimo livello per me è essere presente in entrambe le aree, dominante in aria, a terra e nei duelli”.

Il primo gol in Champions League: “A San Siro si giocano campionato e coppe nazionali, ma quando arriva la Champions League è tutto diverso. Le luci sono un po’ più accese, si ascolta l’inno e quando tutto lo stadio canta ti viene la pelle d’oca. Ricordo che quando ho segnato contro il Liverpool, ripensandoci, mi sono reso conto di averlo fatto a San Siro, per il Milan, in Champions. Ero abituato a guardare gli altri farlo e ora ci sono io”.

Gli obiettivi futuri: “Il mio sogno nella vita, anche se può sembrare banale, è non avere rimpianti. Voglio poter dire che ho fatto tutto quello che potevo e nel modo giusto, che sono stato me stesso. Se avrò vinto un milione di trofei o ‘solo’ lo Scudetto, potrò dire di essere soddisfatto. Naturalmente il sogno è vincere la Champions, la Coppa del Mondo e di nuovo lo Scudetto… Tutti i trofei possibili col Milan, visto che sono qui”.
In effetti ricordo Paqueta,
esordii facendo qualche numero, addirittura la bicicletta a Genova, poi venne subito limitato da Gattuso ed il tatticismo italiano.
L’istinto è importante.
 

Andris

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questa intervista significa che giocherà titolare di nuovo ?
speriamo bene, visto che di recente parlare prima non porta buone cose in campo
 

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