Già un po' di tempo fa conclusi l'Oblomov di Goncarov, preparai anche una recensione, tuttavia non ho mai avuto modo di postarla qui. Adesso che mi è ricapitato tra le mani ho deciso di dare di nuovo un'occhiata al mio resoconto ed ecco qui...
L'Oblomov è un romanzo complicato perché rappresenta l'apice di un preciso filone letterario russo, cioè il filone degli uomini superflui, un carattere che prima di incarnarsi in Oblomov passerà attraverso autori come Puskin, come Lermontov, come Turgenev, fino a Goncarov stesso, tuttavia sarà soltanto con il personaggio di Il'ja Il'ic Oblomov che si inizierà a parlare di uomini superflui, è la stessa ideazione del personaggio di Oblomov, all'interno della letteratura russa ottocentesca, ad innescare quel meccanismo di autocritica letteraria che finirà per cristallizzare definitivamente nell'immagine di uomini superflui personaggi come Eugenij Onegin, Michail Pecorin, il Rudin e il Culkaturin di Turgenev. Da Oblomov dunque nasce il cosiddetto oblomovismo, cioè l'atteggiamento degli uomini superflui ma precisamente di cosa si tratta? Cerca di dare una risposta a questo interrogativo Nikolaj Dobroljubov che nel suo saggio intitolato Che cos'è l'oblomovismo conclude che Oblomov rappresenti l'uomo russo dell'epoca, sia un figlio del suo tempo, perché chi è realmente l'oblomovista?
L'oblomovista, o anche l'uomo superfluo, fa parte della classe aristocratica della Russia ottocentesca, Oblomov è infatti un nobile decaduto, parliamo dunque di quella classe alto borghese che ancora sente e vive quel rapporto padrone-servo dal quale, però, di lì a poco dovrà sganciarsi, infatti intorno alla metà del secolo, nel '61, ci sarà la celebre riforma dell'abolizione della servitù della gleba. L'oblomovista quindi è l'uomo russo dell'alta società ma a questo punto dobbiamo domandarci in cosa consista il suo atteggiamento, il cosiddetto oblomovismo.
L'oblomovismo è la più totale apatia, indifferenza, atarassia, infatti la prima parte del romanzo, sulle 200 pagine circa, parla esclusivamente di una mattinata persa ad oziare sul proprio letto, nella propria casa, una mattinata fatta di totale inattività con la promessa però di agire il prima possibile, al più presto, sono infatti innumerevoli i progetti di Oblomov, primo fra tutti quello della sistemazione dei conti della propria tenuta di campagna, l'Oblomovka.
Ma perché questo modo di essere? Scrive Dobroljubov che l'oblomovista non riesce a dare più uno scopo alla propria vita, non riesce a trovarsi un'occupazione, perché l'oziosa vita nobiliare gli permette di scaricare ogni dovere, ogni onere sulla servitù finendo per svuotare del suo senso la vita stessa di questi borghesi.
Paolo Nori, nella sua introduzione al romanzo, avanza anche delle cause culturali, infatti la classe borghese russa della prima metà dell'ottocento essendosi affacciata per la prima volta ad occidente, durante le sanguinose guerre napoleoniche, legge, conosce, studia i filosofi tedeschi, gli illuministi francesi, inizia ad assumere una coscienza filosofica, una coscienza critica, viene a contatto con la cultura occidentale ma tutto questo non fa che inasprire il loro status sociale perché al suo ritorno in Russia cerca di esercitare una sorta di rivoluzione e di cambiamento, fallendo però inesorabilmente.
L'uomo russo si "sveglia" da qual letargo soltanto per rendersi conto di esserci stato ma non fa nulla per cambiare quello status quo, si rende conto della profonda frattura nel paese tra ricchezza e povertà, tra apparato burocratico e contadini, tra lo Zar e il popolo ma si rende anche conto di non poter fare nulla, un senso a quella Russia non lo riesce più a dare. La sua occupazione, quindi, quale può essere? Restare lì a guardare, pascersi nella sua inettitudine. Questo è l'uomo superfluo e il suo atteggiamento d'indolenza è detto oblomovismo.
La seconda parte del romanzo si sposta su un avvenimento straordinario visto il temperamento di Oblomov, cioè il suo innamoramento per Olga, una storia d'amore alla quale però verrà praticamente costretto, infatti è l'amico Stol'c che lo spinge a frequentare la ragazza come per cercare di dare una svolta, una carica di energia alla monotona vita dell'amico. L'oblomovismo tuttavia non è soltanto una forma sociale ma finisce per travolgere l'esistenza tutta di questi personaggi e alla fine trionferà, infatti Oblomov vive una storia d'amore travagliata, sofferta non per la sua intensità ma per la paura di una presunta intensità, Oblomov ha costantemente paura di abbandonarvisi completamente e Olga non riesce a sostenere questa situazione di stasi a lungo, il che porterà la storia d'amore ad un inevitabile fallimento.
Olga alla fine del romanzo si sposerà proprio con Stol'c, senza alcun rancore di Oblomov che si sistemerà, a sua volta, con Agaf'ja Matveevna, la sorella del padrone della casa presso la quale andrà a vivere. È emblematica questa figura perché Agaf'ja è una donna di poche parole, taciturna ma con un forte senso del dovere, un'etica del sacrificio non cosciente ma inconscia, inculcatagli sin da bambina probabilmente infatti Agaf'ja si occupa di tutte le faccende domestiche e si preoccupa di servire come meglio può il signor Oblomov che vive presso di loro, quasi meccanicamente, senza discutere su di sé e sulla propria condizione ma anche per lei scoccherà l'amore, tuttavia non accorgendosene.
È significativo che lei ami Oblomov ma non si dichiari, si arrochi ancora di più su se stessa quando le viene fatto notare e non riesca a parlarne nemmeno con se stessa. Agaf'ja non sa vivere, proprio come Oblomov, è una serva in poche parole, così come Oblomov è un padrone che in Agaf'ja trova la compagnia che vede e provvede a tutto ciò di cui ha bisogno, ritrovando così quella vita aristocratica nella quale era stato allevato, almeno nella forma dato che i due vivranno in povertà. È questo il trionfo dell'oblomovismo per il quale non c'è guarigione e cura, nonostante gli sforzi di Olga e Stol'c, così Oblomov non guarirà e morirà nello stesso modo in cui è nato, da padrone. È significativo il lungo sogno in cui Oblomov ricorda la sua vita fanciullesca, oziosa non diversamente dalla sua vita adulta, un modo di essere che ha appreso sin da bambino, senza nemmeno l'idea di poter essere qualcos'altro. Ecco, dunque, apparecchiato davanti a noi, da parte di Goncarov, il ritratto della Russia d'inizio XIX secolo.