Giroud: presentazione libro. Le dichiarazioni.

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Le dichiarazioni di Giroud alla presentazione del suo libro "Crederci sempre"

Sulle parti difficili raccontate, come la nascita indesiderata: "Sono stato un incidente, tanti bambini sono nati così. Per mia madre era difficile, me l'ha detto a 12-13 anni. Non pensavo, perché ho ricevuto tanto amore e quindi non credevo che avesse dovuto lottare contro se stessa per avermi. Per me era facile parlare con lei, è stato veloce. Per lei è stato duro".


Perché ora ha avuto voglia di raccontarsi: "Volevo scrivere questo libro e uno scrittore mi ha contattato e voleva scrivere un libro sulla mia carriera e sulla mia vita. Ci ho pensato. Perché è strano quando sei ancora calciatore e la tua carriera non è finita. Però ho voluto scriverlo. La scrittrice mi ha mandato un video in cui ballava quando ho vinto il premio per la biografia. Ho deciso di scrivere perché penso sia straordinario per i bambini, è bello".

Sul fratello calciatore che doveva diventare campione: "Ha giocato con Henry, Anelka e Trezeguet quando era piccolo. Siamo molto vicini perché all'inizio era il mio eroe, non idolo perché l'unico idolo è Dio, ma era un esempio per me e tutti i giovani e la gente del mio paese. Eravamo molto fieri di lui, giocava per la Nazionale e ha fatto quattro anni all'Auxerre, che era uno dei migliori centri accademico. Era difficile per lui, è andato a 14 anni. Era maturo. Io sono diverso da lui, non avevo la stessa maturità a 14 anni, anche i miei genitori mi hanno detto che non ero pronto a lasciare la famiglia. Lui era pronto e ha fatto benissimo in quei quattro anni. 40 o 50 convocazioni in Nazionale, giocando con campioni. Era una grande promessa, tutti dicevano avrebbe fatto una grande carriera. Tanti ragazzi sognano di diventare calciatore, ma tanti sogni vengono infranti. Su venti giocatori ci sono molte generazioni. Dell'86, io, sono l'unico che ha fatto carriera ad alto livello tra noi. Lui era un esempio per me da piccolo, faceva bene. Anche dopo, a vent'anni, quando il suo sogno era morto, ha fatto benissimo nella nuova attività. Ora è nutrizionista, lavora con sportivi e sono fiero di lui. Siamo molto legati".

Su Shevchenko: "Negli anni del grande Milan, anni 2000, ero un grande tifoso rossonero in Italia e anche con Van Basten ho visto tanto, anche Papin. Ero attaccante e volevo segnare e Sheva era la classe, era il mio esempio, il mio calciatore preferito. Perché poteva segnare in tutti i modi, un attaccante completo. Questo mi piaceva e anche la sua mentalità. Sempre lottare, mai mollare. Per me è un grande giocatore e una grande persona. Poi l'ho incontrato al Chelsea, al centro sportivo e avevo le stelle negli occhi. Avevo già vinto la Coppa del Mondo, ma era il mio giocatore... Tanto rispetto per lui e ho provato anche ad aiutarlo per la situazione in Ucraina ed è diventato un amico".

La paura per Alf, il cartone: "Il nome va bene, ma se lo vedo ho paura ancora oggi. I miei fratelli mi hanno preso in giro. Prima di andare a dormire mi dicevano di salutare Alf e non mi facevano dormire. Ho tanti ricordi

Sul Derby del 5 febbraio: "È cambiato tutto perché è stata un'emozione pazzesca. Davanti alla Curva, erano due gol pesanti. Se l'Inter avesse vinto avrebbe avuto sette punti di vantaggio, forse dieci. Probabilmente non ci sarebbe stata più speranza di vincere. Penso che Dio mi ha aiutato un po'. Tante cose mi fanno pensare che mi ha detto di essere in quel punto, di crederci fino alla fine per il primo gol; anche il secondo, quando mi sono girato, non posso farlo sempre perché gioco molto di spalle. Io ho spinto De Vrij prima di correre, mi hanno dato un bel pallone, era in ritardo De Vrij, mi sono girato e poi l'esplosione. Quel giorno penso che tutti i tifosi lo amano, tutti me ne parlano anche a distanza di sei mesi. Ancora oggi. È un'occasione per dimostrare la determinazione. Succede solo a chi ci crede. Questa ora è la frase del Milan perché l'ho detto io un giorno. Sono orgoglioso e spero di vivere ancora queste emozioni".

Su Pioli artefice dello Scudetto e sulla coabitazione con Ibrahimovic: "La concorrenza è un tiramisù, perché è il mio dolce preferito. Quando sono andato in ufficio da Maldini e Massara abbiamo parlato di Ibrahimovic e Pioli e per essere sincero non conoscevo molto lo stile e il modo di allenare del mister, ma una cosa sicura è che quando ho parlato con lui su FaceTime ho capito subito che avremmo lavorato bene insieme. È una persona brava, sincera e anche che sa come parlare ai giocatori. Ibrahimovic è una leggenda qui, non gli ho detto subito che ero un suo tifoso, ma che i miei amici lo erano. Mi ha regalato la maglia e ce l'ho ancora. Avevo un po' di agitazione che mi prendesse in giro. Poi gli ho detto che ero un suo tifoso, ha riso. Poi riesco a parlarci di tutto. Sono felice del nostro rapporto. Mi ha accolto bene e le cose sono state semplici".

prima chiamata FaceTime con Maldini: "Ero a Nizza con la Nazionale e il mio procuratore mi ha detto fosse meglio parlare su FaceTime e per era speciale parlare con una leggenda del Milan come Paolo. Mi è piaciuto il rapporto che ho avuto subito con lui e Massara. Ho parlato naturalmente, senza problemi. Per me è sembrato ovvio firmare per il Milan".

Sul passaggio al Milan invece che all'Inter: "Quando sono arrivato l'ho detto subito, perché me l'hanno chiesto e sono sincero. Ho risposto che quando ero al Chelsea giocavo poco ed ero il terzo attaccante. Sono andato gli ultimi tre giorni prima della fine del mercato nell'ufficio di Lampard per trovare una soluzione perché non volevo stare in quel modo. Volevo andare via e Lampard mi ha detto che se non avesse trovato un attaccante per sostituirmi sarei rimasto. Ma mi ha detto che avrei avuto le mie opportunità per dimostrare di essere pronto e per aiutare la squadra. Mi ha fatto questa promessa e mi ha dato l'opportunità di farlo. Ho fatto 8 gol nelle ultime 10 partite, grazie a Dio siamo andato in Champions e ho finito bene la stagione. Lampard non voleva che io andassi via e in quel periodo l'Inter era molto interessata. Il problema è che a un certo punto l'Inter mi ha detto che non c'erano più soldi per me e negli ultimi tre giorni ho fatto di tutto per andare via. C'era anche la Lazio, ho incontrato Tare in aeroporto, è venuto solo per incontrarmi. Volevo andare via, ero disperato. Ho detto a Lampard che sarei andato al Tottenham perché mi voleva anche Mourinho, ma non ci sono andato perché avevo giocato nell'Arsenal... Il destino poi mi ha fatto rimanere e oggi sono rossonero e non nerazzurro".

Sul paragone tra vittoria dello Scudetto e del Mondiale: "È normale perché non ho mai visto questo tipo di celebrazione. Era in proporzione al tempo che la gente ha aspettato questo Scudetto. Quando ho visto i giovani piangere in strada il giorno dopo, mi ha preso al cuore. Con la Francia era speciale perché sei sul tetto del mondo, ma la celebrazione era diversa. Siamo andati troppo veloci con il pullman e i tifosi erano un po' frustrati perché non avevano il tempo di vedere le facce. Invece quattro ore e mezza per fare da Casa Milan al Duomo: ho capito che abbiamo fatto qualcosa di grande e speciale. Anche subito dopo la partita, quando ho provato a prendere la coppa davanti ai tifosi, non sapevo che sarebbero tornati in campo. Ero fortunato di non avere il trofeo. Ci sono video divertenti".

Sull'obiettivo seconda stella: "Sì, meglio dire così che diversamente. La cosa difficile nella vita e nel calcio non è arrivare, ma rimanere. Abbiamo fatto una grande stagione, sappiamo che sarà una stagione ancora più difficile. Le altre si rinforzeranno. Mi piacciono queste sfide, sarà difficile, ma penso che abbiamo le qualità per farlo".

Sulla maglia numero 9 di Inzaghi e sul coro "Siamo noi, siamo noi che canta sempre": "Lo canto sempre in doccia, l'ho cantato tutta l'estate. I tifosi lo cantavano con me. L'ho insegnato ai miei figli. Anche "Siam venuti quassù..." Sanno tutto. Il numero 9 non pensavo fosse un tabù, non puoi essere cristiano e superstizioso. Non è il numero a farmi segnare. Volevo essere come Inzaghi, un grande attaccante".



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Sulle parti difficili raccontate, come la nascita indesiderata: "Sono stato un incidente, tanti bambini sono nati così. Per mia madre era difficile, me l'ha detto a 12-13 anni. Non pensavo, perché ho ricevuto tanto amore e quindi non credevo che avesse dovuto lottare contro se stessa per avermi. Per me era facile parlare con lei, è stato veloce. Per lei è stato duro".


Perché ora ha avuto voglia di raccontarsi: "Volevo scrivere questo libro e uno scrittore mi ha contattato e voleva scrivere un libro sulla mia carriera e sulla mia vita. Ci ho pensato. Perché è strano quando sei ancora calciatore e la tua carriera non è finita. Però ho voluto scriverlo. La scrittrice mi ha mandato un video in cui ballava quando ho vinto il premio per la biografia. Ho deciso di scrivere perché penso sia straordinario per i bambini, è bello".

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Perché ora ha avuto voglia di raccontarsi: "Volevo scrivere questo libro e uno scrittore mi ha contattato e voleva scrivere un libro sulla mia carriera e sulla mia vita. Ci ho pensato. Perché è strano quando sei ancora calciatore e la tua carriera non è finita. Però ho voluto scriverlo. La scrittrice mi ha mandato un video in cui ballava quando ho vinto il premio per la biografia. Ho deciso di scrivere perché penso sia straordinario per i bambini, è bello".

Sul fratello calciatore che doveva diventare campione: "Ha giocato con Henry, Anelka e Trezeguet quando era piccolo. Siamo molto vicini perché all'inizio era il mio eroe, non idolo perché l'unico idolo è Dio, ma era un esempio per me e tutti i giovani e la gente del mio paese. Eravamo molto fieri di lui, giocava per la Nazionale e ha fatto quattro anni all'Auxerre, che era uno dei migliori centri accademico. Era difficile per lui, è andato a 14 anni. Era maturo. Io sono diverso da lui, non avevo la stessa maturità a 14 anni, anche i miei genitori mi hanno detto che non ero pronto a lasciare la famiglia. Lui era pronto e ha fatto benissimo in quei quattro anni. 40 o 50 convocazioni in Nazionale, giocando con campioni. Era una grande promessa, tutti dicevano avrebbe fatto una grande carriera. Tanti ragazzi sognano di diventare calciatore, ma tanti sogni vengono infranti. Su venti giocatori ci sono molte generazioni. Dell'86, io, sono l'unico che ha fatto carriera ad alto livello tra noi. Lui era un esempio per me da piccolo, faceva bene. Anche dopo, a vent'anni, quando il suo sogno era morto, ha fatto benissimo nella nuova attività. Ora è nutrizionista, lavora con sportivi e sono fiero di lui. Siamo molto legati".

Su Shevchenko: "Negli anni del grande Milan, anni 2000, ero un grande tifoso rossonero in Italia e anche con Van Basten ho visto tanto, anche Papin. Ero attaccante e volevo segnare e Sheva era la classe, era il mio esempio, il mio calciatore preferito. Perché poteva segnare in tutti i modi, un attaccante completo. Questo mi piaceva e anche la sua mentalità. Sempre lottare, mai mollare. Per me è un grande giocatore e una grande persona. Poi l'ho incontrato al Chelsea, al centro sportivo e avevo le stelle negli occhi. Avevo già vinto la Coppa del Mondo, ma era il mio giocatore... Tanto rispetto per lui e ho provato anche ad aiutarlo per la situazione in Ucraina ed è diventato un amico".

La paura per Alf, il cartone: "Il nome va bene, ma se lo vedo ho paura ancora oggi. I miei fratelli mi hanno preso in giro. Prima di andare a dormire mi dicevano di salutare Alf e non mi facevano dormire. Ho tanti ricordi

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Sulle parti difficili raccontate, come la nascita indesiderata: "Sono stato un incidente, tanti bambini sono nati così. Per mia madre era difficile, me l'ha detto a 12-13 anni. Non pensavo, perché ho ricevuto tanto amore e quindi non credevo che avesse dovuto lottare contro se stessa per avermi. Per me era facile parlare con lei, è stato veloce. Per lei è stato duro".


Perché ora ha avuto voglia di raccontarsi: "Volevo scrivere questo libro e uno scrittore mi ha contattato e voleva scrivere un libro sulla mia carriera e sulla mia vita. Ci ho pensato. Perché è strano quando sei ancora calciatore e la tua carriera non è finita. Però ho voluto scriverlo. La scrittrice mi ha mandato un video in cui ballava quando ho vinto il premio per la biografia. Ho deciso di scrivere perché penso sia straordinario per i bambini, è bello".

Sul fratello calciatore che doveva diventare campione: "Ha giocato con Henry, Anelka e Trezeguet quando era piccolo. Siamo molto vicini perché all'inizio era il mio eroe, non idolo perché l'unico idolo è Dio, ma era un esempio per me e tutti i giovani e la gente del mio paese. Eravamo molto fieri di lui, giocava per la Nazionale e ha fatto quattro anni all'Auxerre, che era uno dei migliori centri accademico. Era difficile per lui, è andato a 14 anni. Era maturo. Io sono diverso da lui, non avevo la stessa maturità a 14 anni, anche i miei genitori mi hanno detto che non ero pronto a lasciare la famiglia. Lui era pronto e ha fatto benissimo in quei quattro anni. 40 o 50 convocazioni in Nazionale, giocando con campioni. Era una grande promessa, tutti dicevano avrebbe fatto una grande carriera. Tanti ragazzi sognano di diventare calciatore, ma tanti sogni vengono infranti. Su venti giocatori ci sono molte generazioni. Dell'86, io, sono l'unico che ha fatto carriera ad alto livello tra noi. Lui era un esempio per me da piccolo, faceva bene. Anche dopo, a vent'anni, quando il suo sogno era morto, ha fatto benissimo nella nuova attività. Ora è nutrizionista, lavora con sportivi e sono fiero di lui. Siamo molto legati".

Su Shevchenko: "Negli anni del grande Milan, anni 2000, ero un grande tifoso rossonero in Italia e anche con Van Basten ho visto tanto, anche Papin. Ero attaccante e volevo segnare e Sheva era la classe, era il mio esempio, il mio calciatore preferito. Perché poteva segnare in tutti i modi, un attaccante completo. Questo mi piaceva e anche la sua mentalità. Sempre lottare, mai mollare. Per me è un grande giocatore e una grande persona. Poi l'ho incontrato al Chelsea, al centro sportivo e avevo le stelle negli occhi. Avevo già vinto la Coppa del Mondo, ma era il mio giocatore... Tanto rispetto per lui e ho provato anche ad aiutarlo per la situazione in Ucraina ed è diventato un amico".

La paura per Alf, il cartone: "Il nome va bene, ma se lo vedo ho paura ancora oggi. I miei fratelli mi hanno preso in giro. Prima di andare a dormire mi dicevano di salutare Alf e non mi facevano dormire. Ho tanti ricordi

Sul Derby del 5 febbraio: "È cambiato tutto perché è stata un'emozione pazzesca. Davanti alla Curva, erano due gol pesanti. Se l'Inter avesse vinto avrebbe avuto sette punti di vantaggio, forse dieci. Probabilmente non ci sarebbe stata più speranza di vincere. Penso che Dio mi ha aiutato un po'. Tante cose mi fanno pensare che mi ha detto di essere in quel punto, di crederci fino alla fine per il primo gol; anche il secondo, quando mi sono girato, non posso farlo sempre perché gioco molto di spalle. Io ho spinto De Vrij prima di correre, mi hanno dato un bel pallone, era in ritardo De Vrij, mi sono girato e poi l'esplosione. Quel giorno penso che tutti i tifosi lo amano, tutti me ne parlano anche a distanza di sei mesi. Ancora oggi. È un'occasione per dimostrare la determinazione. Succede solo a chi ci crede. Questa ora è la frase del Milan perché l'ho detto io un giorno. Sono orgoglioso e spero di vivere ancora queste emozioni".

Su Pioli artefice dello Scudetto e sulla coabitazione con Ibrahimovic: "La concorrenza è un tiramisù, perché è il mio dolce preferito. Quando sono andato in ufficio da Maldini e Massara abbiamo parlato di Ibrahimovic e Pioli e per essere sincero non conoscevo molto lo stile e il modo di allenare del mister, ma una cosa sicura è che quando ho parlato con lui su FaceTime ho capito subito che avremmo lavorato bene insieme. È una persona brava, sincera e anche che sa come parlare ai giocatori. Ibrahimovic è una leggenda qui, non gli ho detto subito che ero un suo tifoso, ma che i miei amici lo erano. Mi ha regalato la maglia e ce l'ho ancora. Avevo un po' di agitazione che mi prendesse in giro. Poi gli ho detto che ero un suo tifoso, ha riso. Poi riesco a parlarci di tutto. Sono felice del nostro rapporto. Mi ha accolto bene e le cose sono state semplici".

prima chiamata FaceTime con Maldini: "Ero a Nizza con la Nazionale e il mio procuratore mi ha detto fosse meglio parlare su FaceTime e per era speciale parlare con una leggenda del Milan come Paolo. Mi è piaciuto il rapporto che ho avuto subito con lui e Massara. Ho parlato naturalmente, senza problemi. Per me è sembrato ovvio firmare per il Milan".

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Sulle parti difficili raccontate, come la nascita indesiderata: "Sono stato un incidente, tanti bambini sono nati così. Per mia madre era difficile, me l'ha detto a 12-13 anni. Non pensavo, perché ho ricevuto tanto amore e quindi non credevo che avesse dovuto lottare contro se stessa per avermi. Per me era facile parlare con lei, è stato veloce. Per lei è stato duro".


Perché ora ha avuto voglia di raccontarsi: "Volevo scrivere questo libro e uno scrittore mi ha contattato e voleva scrivere un libro sulla mia carriera e sulla mia vita. Ci ho pensato. Perché è strano quando sei ancora calciatore e la tua carriera non è finita. Però ho voluto scriverlo. La scrittrice mi ha mandato un video in cui ballava quando ho vinto il premio per la biografia. Ho deciso di scrivere perché penso sia straordinario per i bambini, è bello".

Sul fratello calciatore che doveva diventare campione: "Ha giocato con Henry, Anelka e Trezeguet quando era piccolo. Siamo molto vicini perché all'inizio era il mio eroe, non idolo perché l'unico idolo è Dio, ma era un esempio per me e tutti i giovani e la gente del mio paese. Eravamo molto fieri di lui, giocava per la Nazionale e ha fatto quattro anni all'Auxerre, che era uno dei migliori centri accademico. Era difficile per lui, è andato a 14 anni. Era maturo. Io sono diverso da lui, non avevo la stessa maturità a 14 anni, anche i miei genitori mi hanno detto che non ero pronto a lasciare la famiglia. Lui era pronto e ha fatto benissimo in quei quattro anni. 40 o 50 convocazioni in Nazionale, giocando con campioni. Era una grande promessa, tutti dicevano avrebbe fatto una grande carriera. Tanti ragazzi sognano di diventare calciatore, ma tanti sogni vengono infranti. Su venti giocatori ci sono molte generazioni. Dell'86, io, sono l'unico che ha fatto carriera ad alto livello tra noi. Lui era un esempio per me da piccolo, faceva bene. Anche dopo, a vent'anni, quando il suo sogno era morto, ha fatto benissimo nella nuova attività. Ora è nutrizionista, lavora con sportivi e sono fiero di lui. Siamo molto legati".

Su Shevchenko: "Negli anni del grande Milan, anni 2000, ero un grande tifoso rossonero in Italia e anche con Van Basten ho visto tanto, anche Papin. Ero attaccante e volevo segnare e Sheva era la classe, era il mio esempio, il mio calciatore preferito. Perché poteva segnare in tutti i modi, un attaccante completo. Questo mi piaceva e anche la sua mentalità. Sempre lottare, mai mollare. Per me è un grande giocatore e una grande persona. Poi l'ho incontrato al Chelsea, al centro sportivo e avevo le stelle negli occhi. Avevo già vinto la Coppa del Mondo, ma era il mio giocatore... Tanto rispetto per lui e ho provato anche ad aiutarlo per la situazione in Ucraina ed è diventato un amico".

La paura per Alf, il cartone: "Il nome va bene, ma se lo vedo ho paura ancora oggi. I miei fratelli mi hanno preso in giro. Prima di andare a dormire mi dicevano di salutare Alf e non mi facevano dormire. Ho tanti ricordi

Sul Derby del 5 febbraio: "È cambiato tutto perché è stata un'emozione pazzesca. Davanti alla Curva, erano due gol pesanti. Se l'Inter avesse vinto avrebbe avuto sette punti di vantaggio, forse dieci. Probabilmente non ci sarebbe stata più speranza di vincere. Penso che Dio mi ha aiutato un po'. Tante cose mi fanno pensare che mi ha detto di essere in quel punto, di crederci fino alla fine per il primo gol; anche il secondo, quando mi sono girato, non posso farlo sempre perché gioco molto di spalle. Io ho spinto De Vrij prima di correre, mi hanno dato un bel pallone, era in ritardo De Vrij, mi sono girato e poi l'esplosione. Quel giorno penso che tutti i tifosi lo amano, tutti me ne parlano anche a distanza di sei mesi. Ancora oggi. È un'occasione per dimostrare la determinazione. Succede solo a chi ci crede. Questa ora è la frase del Milan perché l'ho detto io un giorno. Sono orgoglioso e spero di vivere ancora queste emozioni".

Su Pioli artefice dello Scudetto e sulla coabitazione con Ibrahimovic: "La concorrenza è un tiramisù, perché è il mio dolce preferito. Quando sono andato in ufficio da Maldini e Massara abbiamo parlato di Ibrahimovic e Pioli e per essere sincero non conoscevo molto lo stile e il modo di allenare del mister, ma una cosa sicura è che quando ho parlato con lui su FaceTime ho capito subito che avremmo lavorato bene insieme. È una persona brava, sincera e anche che sa come parlare ai giocatori. Ibrahimovic è una leggenda qui, non gli ho detto subito che ero un suo tifoso, ma che i miei amici lo erano. Mi ha regalato la maglia e ce l'ho ancora. Avevo un po' di agitazione che mi prendesse in giro. Poi gli ho detto che ero un suo tifoso, ha riso. Poi riesco a parlarci di tutto. Sono felice del nostro rapporto. Mi ha accolto bene e le cose sono state semplici".

prima chiamata FaceTime con Maldini: "Ero a Nizza con la Nazionale e il mio procuratore mi ha detto fosse meglio parlare su FaceTime e per era speciale parlare con una leggenda del Milan come Paolo. Mi è piaciuto il rapporto che ho avuto subito con lui e Massara. Ho parlato naturalmente, senza problemi. Per me è sembrato ovvio firmare per il Milan".

Sul passaggio al Milan invece che all'Inter: "Quando sono arrivato l'ho detto subito, perché me l'hanno chiesto e sono sincero. Ho risposto che quando ero al Chelsea giocavo poco ed ero il terzo attaccante. Sono andato gli ultimi tre giorni prima della fine del mercato nell'ufficio di Lampard per trovare una soluzione perché non volevo stare in quel modo. Volevo andare via e Lampard mi ha detto che se non avesse trovato un attaccante per sostituirmi sarei rimasto. Ma mi ha detto che avrei avuto le mie opportunità per dimostrare di essere pronto e per aiutare la squadra. Mi ha fatto questa promessa e mi ha dato l'opportunità di farlo. Ho fatto 8 gol nelle ultime 10 partite, grazie a Dio siamo andato in Champions e ho finito bene la stagione. Lampard non voleva che io andassi via e in quel periodo l'Inter era molto interessata. Il problema è che a un certo punto l'Inter mi ha detto che non c'erano più soldi per me e negli ultimi tre giorni ho fatto di tutto per andare via. C'era anche la Lazio, ho incontrato Tare in aeroporto, è venuto solo per incontrarmi. Volevo andare via, ero disperato. Ho detto a Lampard che sarei andato al Tottenham perché mi voleva anche Mourinho, ma non ci sono andato perché avevo giocato nell'Arsenal... Il destino poi mi ha fatto rimanere e oggi sono rossonero e non nerazzurro".

Sul paragone tra vittoria dello Scudetto e del Mondiale: "È normale perché non ho mai visto questo tipo di celebrazione. Era in proporzione al tempo che la gente ha aspettato questo Scudetto. Quando ho visto i giovani piangere in strada il giorno dopo, mi ha preso al cuore. Con la Francia era speciale perché sei sul tetto del mondo, ma la celebrazione era diversa. Siamo andati troppo veloci con il pullman e i tifosi erano un po' frustrati perché non avevano il tempo di vedere le facce. Invece quattro ore e mezza per fare da Casa Milan al Duomo: ho capito che abbiamo fatto qualcosa di grande e speciale. Anche subito dopo la partita, quando ho provato a prendere la coppa davanti ai tifosi, non sapevo che sarebbero tornati in campo. Ero fortunato di non avere il trofeo. Ci sono video divertenti".

Sull'obiettivo seconda stella: "Sì, meglio dire così che diversamente. La cosa difficile nella vita e nel calcio non è arrivare, ma rimanere. Abbiamo fatto una grande stagione, sappiamo che sarà una stagione ancora più difficile. Le altre si rinforzeranno. Mi piacciono queste sfide, sarà difficile, ma penso che abbiamo le qualità per farlo".

Sulla maglia numero 9 di Inzaghi e sul coro "Siamo noi, siamo noi che canta sempre": "Lo canto sempre in doccia, l'ho cantato tutta l'estate. I tifosi lo cantavano con me. L'ho insegnato ai miei figli. Anche "Siam venuti quassù..." Sanno tutto. Il numero 9 non pensavo fosse un tabù, non puoi essere cristiano e superstizioso. Non è il numero a farmi segnare. Volevo essere come Inzaghi, un grande attaccante".



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Sulle parti difficili raccontate, come la nascita indesiderata: "Sono stato un incidente, tanti bambini sono nati così. Per mia madre era difficile, me l'ha detto a 12-13 anni. Non pensavo, perché ho ricevuto tanto amore e quindi non credevo che avesse dovuto lottare contro se stessa per avermi. Per me era facile parlare con lei, è stato veloce. Per lei è stato duro".


Perché ora ha avuto voglia di raccontarsi: "Volevo scrivere questo libro e uno scrittore mi ha contattato e voleva scrivere un libro sulla mia carriera e sulla mia vita. Ci ho pensato. Perché è strano quando sei ancora calciatore e la tua carriera non è finita. Però ho voluto scriverlo. La scrittrice mi ha mandato un video in cui ballava quando ho vinto il premio per la biografia. Ho deciso di scrivere perché penso sia straordinario per i bambini, è bello".

Sul fratello calciatore che doveva diventare campione: "Ha giocato con Henry, Anelka e Trezeguet quando era piccolo. Siamo molto vicini perché all'inizio era il mio eroe, non idolo perché l'unico idolo è Dio, ma era un esempio per me e tutti i giovani e la gente del mio paese. Eravamo molto fieri di lui, giocava per la Nazionale e ha fatto quattro anni all'Auxerre, che era uno dei migliori centri accademico. Era difficile per lui, è andato a 14 anni. Era maturo. Io sono diverso da lui, non avevo la stessa maturità a 14 anni, anche i miei genitori mi hanno detto che non ero pronto a lasciare la famiglia. Lui era pronto e ha fatto benissimo in quei quattro anni. 40 o 50 convocazioni in Nazionale, giocando con campioni. Era una grande promessa, tutti dicevano avrebbe fatto una grande carriera. Tanti ragazzi sognano di diventare calciatore, ma tanti sogni vengono infranti. Su venti giocatori ci sono molte generazioni. Dell'86, io, sono l'unico che ha fatto carriera ad alto livello tra noi. Lui era un esempio per me da piccolo, faceva bene. Anche dopo, a vent'anni, quando il suo sogno era morto, ha fatto benissimo nella nuova attività. Ora è nutrizionista, lavora con sportivi e sono fiero di lui. Siamo molto legati".

Su Shevchenko: "Negli anni del grande Milan, anni 2000, ero un grande tifoso rossonero in Italia e anche con Van Basten ho visto tanto, anche Papin. Ero attaccante e volevo segnare e Sheva era la classe, era il mio esempio, il mio calciatore preferito. Perché poteva segnare in tutti i modi, un attaccante completo. Questo mi piaceva e anche la sua mentalità. Sempre lottare, mai mollare. Per me è un grande giocatore e una grande persona. Poi l'ho incontrato al Chelsea, al centro sportivo e avevo le stelle negli occhi. Avevo già vinto la Coppa del Mondo, ma era il mio giocatore... Tanto rispetto per lui e ho provato anche ad aiutarlo per la situazione in Ucraina ed è diventato un amico".

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Sul Derby del 5 febbraio: "È cambiato tutto perché è stata un'emozione pazzesca. Davanti alla Curva, erano due gol pesanti. Se l'Inter avesse vinto avrebbe avuto sette punti di vantaggio, forse dieci. Probabilmente non ci sarebbe stata più speranza di vincere. Penso che Dio mi ha aiutato un po'. Tante cose mi fanno pensare che mi ha detto di essere in quel punto, di crederci fino alla fine per il primo gol; anche il secondo, quando mi sono girato, non posso farlo sempre perché gioco molto di spalle. Io ho spinto De Vrij prima di correre, mi hanno dato un bel pallone, era in ritardo De Vrij, mi sono girato e poi l'esplosione. Quel giorno penso che tutti i tifosi lo amano, tutti me ne parlano anche a distanza di sei mesi. Ancora oggi. È un'occasione per dimostrare la determinazione. Succede solo a chi ci crede. Questa ora è la frase del Milan perché l'ho detto io un giorno. Sono orgoglioso e spero di vivere ancora queste emozioni".

Su Pioli artefice dello Scudetto e sulla coabitazione con Ibrahimovic: "La concorrenza è un tiramisù, perché è il mio dolce preferito. Quando sono andato in ufficio da Maldini e Massara abbiamo parlato di Ibrahimovic e Pioli e per essere sincero non conoscevo molto lo stile e il modo di allenare del mister, ma una cosa sicura è che quando ho parlato con lui su FaceTime ho capito subito che avremmo lavorato bene insieme. È una persona brava, sincera e anche che sa come parlare ai giocatori. Ibrahimovic è una leggenda qui, non gli ho detto subito che ero un suo tifoso, ma che i miei amici lo erano. Mi ha regalato la maglia e ce l'ho ancora. Avevo un po' di agitazione che mi prendesse in giro. Poi gli ho detto che ero un suo tifoso, ha riso. Poi riesco a parlarci di tutto. Sono felice del nostro rapporto. Mi ha accolto bene e le cose sono state semplici".

prima chiamata FaceTime con Maldini: "Ero a Nizza con la Nazionale e il mio procuratore mi ha detto fosse meglio parlare su FaceTime e per era speciale parlare con una leggenda del Milan come Paolo. Mi è piaciuto il rapporto che ho avuto subito con lui e Massara. Ho parlato naturalmente, senza problemi. Per me è sembrato ovvio firmare per il Milan".

Sul passaggio al Milan invece che all'Inter: "Quando sono arrivato l'ho detto subito, perché me l'hanno chiesto e sono sincero. Ho risposto che quando ero al Chelsea giocavo poco ed ero il terzo attaccante. Sono andato gli ultimi tre giorni prima della fine del mercato nell'ufficio di Lampard per trovare una soluzione perché non volevo stare in quel modo. Volevo andare via e Lampard mi ha detto che se non avesse trovato un attaccante per sostituirmi sarei rimasto. Ma mi ha detto che avrei avuto le mie opportunità per dimostrare di essere pronto e per aiutare la squadra. Mi ha fatto questa promessa e mi ha dato l'opportunità di farlo. Ho fatto 8 gol nelle ultime 10 partite, grazie a Dio siamo andato in Champions e ho finito bene la stagione. Lampard non voleva che io andassi via e in quel periodo l'Inter era molto interessata. Il problema è che a un certo punto l'Inter mi ha detto che non c'erano più soldi per me e negli ultimi tre giorni ho fatto di tutto per andare via. C'era anche la Lazio, ho incontrato Tare in aeroporto, è venuto solo per incontrarmi. Volevo andare via, ero disperato. Ho detto a Lampard che sarei andato al Tottenham perché mi voleva anche Mourinho, ma non ci sono andato perché avevo giocato nell'Arsenal... Il destino poi mi ha fatto rimanere e oggi sono rossonero e non nerazzurro".

Sul paragone tra vittoria dello Scudetto e del Mondiale: "È normale perché non ho mai visto questo tipo di celebrazione. Era in proporzione al tempo che la gente ha aspettato questo Scudetto. Quando ho visto i giovani piangere in strada il giorno dopo, mi ha preso al cuore. Con la Francia era speciale perché sei sul tetto del mondo, ma la celebrazione era diversa. Siamo andati troppo veloci con il pullman e i tifosi erano un po' frustrati perché non avevano il tempo di vedere le facce. Invece quattro ore e mezza per fare da Casa Milan al Duomo: ho capito che abbiamo fatto qualcosa di grande e speciale. Anche subito dopo la partita, quando ho provato a prendere la coppa davanti ai tifosi, non sapevo che sarebbero tornati in campo. Ero fortunato di non avere il trofeo. Ci sono video divertenti".

Sull'obiettivo seconda stella: "Sì, meglio dire così che diversamente. La cosa difficile nella vita e nel calcio non è arrivare, ma rimanere. Abbiamo fatto una grande stagione, sappiamo che sarà una stagione ancora più difficile. Le altre si rinforzeranno. Mi piacciono queste sfide, sarà difficile, ma penso che abbiamo le qualità per farlo".

Sulla maglia numero 9 di Inzaghi e sul coro "Siamo noi, siamo noi che canta sempre": "Lo canto sempre in doccia, l'ho cantato tutta l'estate. I tifosi lo cantavano con me. L'ho insegnato ai miei figli. Anche "Siam venuti quassù..." Sanno tutto. Il numero 9 non pensavo fosse un tabù, non puoi essere cristiano e superstizioso. Non è il numero a farmi segnare. Volevo essere come Inzaghi, un grande attaccante".



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