Ancelotti - Gattuso: i perchè della rottura.

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anche la cena con Mendes nel momento piu delicato per la nostra stagione non fu malaccio..

diciamo che il gattuso allenatore passerebbe sopra anche a sua madre

ma puoi fare tutte le tarantelle che vuoi rino..se sei un mediocre resterai tale

guardo la classifica della liga e leggo Valencia nelle ultime 5 partite ha fatto 4 punti su 15...
 

KILPIN_91

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anche la cena con Mendes nel momento piu delicato per la nostra stagione non fu malaccio..

diciamo che il gattuso allenatore passerebbe sopra anche a sua madre

ma puoi fare tutte le tarantelle che vuoi rino..se sei un mediocre resterai tale

guardo la classifica della liga e leggo Valencia nelle ultime 5 partite ha fatto 4 punti su 15...
Non capisco come fa ancora a trovare lavoro. Doveva "forgiarsi" nelle serie minori, lui di fatto si è bruciato al Milan.
 

Albijol

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Dopo le parole di ieri, il Corriere dello Sport in edicola spiega come si è arrivati alla rottura tra Gattuso e Ancelotti:

Perché o por qué? Nell’atmosfera surreale d’una domenica glaciale come può essere un 8 dicembre, con (tutti) i cellulari stranamente spenti, Carlo Ancelotti non sospettava neppure lontanamente che il Napoli stesse per esonerarlo e che quel licenziamento dovesse persino divenire l’aspetto meno doloroso d’una storia a modo suo crudele. In quell’aria cupa, densa di messaggi subliminali, nonostante l’1-1 a Udine, s’era allungata l’eco d’uno strappo definitivo che Ancelotti bruciava sdegnosamente, con quel candore che appartiene a un gentiluomo fatto e finito e però pure un po' romanticamente ingenuo. Il sospetto che in via XXIV maggio, a Roma, De Laurentiis stesse per congedarsi dal proprio allenatore nacque alle cinque della sera, in realtà la Spoon River d’un tempo perduto, la conversione prosaica d’una liaison contrastata da dentro, l’area riformista di quel tempo - l’ad, Chiavelli, e il ds Giuntoli, decisi a intervenire - ma a Napoli, a casa, mentre preparava la sfida di Champions allo Genk, Ancelotti rimaneva ignaro dinnanzi alla brutale ipotesi («Carlo, stanno decidendo...») d’un cronista sospettoso: «Ma no, dài..., vedi macchinazioni». Quarantotto ore dopo, uscendo dal San Paolo con il 4-0 allo Genk, Carlo Ancelotti era ormai già l’ex allenatore del Napoli: l’aveva intuito anche lo stadio, con quell’applauso signorile che annunciava l’addio.

L’esonero è una ferita sanguinosa ma la cicatrice dell’anima con cui Ancelotti ha dovuto poi convivere è stato il sequel d’una vicenda che esonda dal calcio e travolge i sentimenti, quel silenzio di giorni, settimane, mesi che Rino Gattuso - il figlio prediletto del suo Milan - non ruppe mai una volta per spiegare e raccontare al suo «papà» come veramente andò, perché mai tacque e perché non l’avvisò che De Laurentiis l’aveva convocato a Roma ma perché poi, nel momento del congedo, non lo avesse aspettato a Castel Volturno per salutarlo. Ancelotti avrebbe capito, conoscendo le regole del calio e pure quella della vita e non sarebbe stato costretto a catalogare la scelta di quel silenzio come un tradimento del quale ora, tre anni dopo, non ha «voglia di parlarne». Eppure, sette mesi prima a maggio, alla cena riservata a Capri per i 60 anni di Ancelotti a cui De Laurentiis invitò il Napoli per intero, l’unico «straniero» di quell’appuntamento di famiglia era stato proprio Gattuso, che con Adl ebbe modo di conoscersi e di dialogare. E che poi a dicembre, mentre s’avvicinava alla panchina del mentore calcistico, sfilò via ammutolendo, perdendosi pure in qualche conferenza stampa successiva in riferimenti urticanti sulla condizione di salute della squadra. Tu quoque....?
Non mi stupisce per niente, Veleno man l'ho sempre schifato al di fuori della sua parentesi come giocatore.
 
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Dopo le parole di ieri, il Corriere dello Sport in edicola spiega come si è arrivati alla rottura tra Gattuso e Ancelotti:

Perché o por qué? Nell’atmosfera surreale d’una domenica glaciale come può essere un 8 dicembre, con (tutti) i cellulari stranamente spenti, Carlo Ancelotti non sospettava neppure lontanamente che il Napoli stesse per esonerarlo e che quel licenziamento dovesse persino divenire l’aspetto meno doloroso d’una storia a modo suo crudele. In quell’aria cupa, densa di messaggi subliminali, nonostante l’1-1 a Udine, s’era allungata l’eco d’uno strappo definitivo che Ancelotti bruciava sdegnosamente, con quel candore che appartiene a un gentiluomo fatto e finito e però pure un po' romanticamente ingenuo. Il sospetto che in via XXIV maggio, a Roma, De Laurentiis stesse per congedarsi dal proprio allenatore nacque alle cinque della sera, in realtà la Spoon River d’un tempo perduto, la conversione prosaica d’una liaison contrastata da dentro, l’area riformista di quel tempo - l’ad, Chiavelli, e il ds Giuntoli, decisi a intervenire - ma a Napoli, a casa, mentre preparava la sfida di Champions allo Genk, Ancelotti rimaneva ignaro dinnanzi alla brutale ipotesi («Carlo, stanno decidendo...») d’un cronista sospettoso: «Ma no, dài..., vedi macchinazioni». Quarantotto ore dopo, uscendo dal San Paolo con il 4-0 allo Genk, Carlo Ancelotti era ormai già l’ex allenatore del Napoli: l’aveva intuito anche lo stadio, con quell’applauso signorile che annunciava l’addio.

L’esonero è una ferita sanguinosa ma la cicatrice dell’anima con cui Ancelotti ha dovuto poi convivere è stato il sequel d’una vicenda che esonda dal calcio e travolge i sentimenti, quel silenzio di giorni, settimane, mesi che Rino Gattuso - il figlio prediletto del suo Milan - non ruppe mai una volta per spiegare e raccontare al suo «papà» come veramente andò, perché mai tacque e perché non l’avvisò che De Laurentiis l’aveva convocato a Roma ma perché poi, nel momento del congedo, non lo avesse aspettato a Castel Volturno per salutarlo. Ancelotti avrebbe capito, conoscendo le regole del calio e pure quella della vita e non sarebbe stato costretto a catalogare la scelta di quel silenzio come un tradimento del quale ora, tre anni dopo, non ha «voglia di parlarne». Eppure, sette mesi prima a maggio, alla cena riservata a Capri per i 60 anni di Ancelotti a cui De Laurentiis invitò il Napoli per intero, l’unico «straniero» di quell’appuntamento di famiglia era stato proprio Gattuso, che con Adl ebbe modo di conoscersi e di dialogare. E che poi a dicembre, mentre s’avvicinava alla panchina del mentore calcistico, sfilò via ammutolendo, perdendosi pure in qualche conferenza stampa successiva in riferimenti urticanti sulla condizione di salute della squadra. Tu quoque....?
Non sto con nessuno, né vado contro. Non ci sono santi. Peraltro le ricostruzioni giornalistiche con merlature aguzze lasciano sempre un po' il tempo che trovano.

I due protagonisti siano uomini e si parlino. Per chiarirsi o per mandarsi a quel paese una volta per tutte.

Per me personalmente restano due idoli calcistici che mi ricorderanno per sempre gli anni più belli della mia vita e non avrò mai parole dure nei loro confronti, non certo per queste stupidate.
 

7AlePato7

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Che Gattuso abbia sbagliato non lo dico di certo per quello che leggo oggi.
Mi è bastato sentire LE SUE PAROLI dopo l'insediamento al Milan e quelle dopo l'insediamento al Napoli.
Quello che ha combinato a Firenze pure.

Poi per carità, mica doveva rifiutare un opportunità come Napoli solo perché prima di lui ci fosse stato Ancelotti.
Su questo concordo pienamente.
Parliamo pure di quello che sta combinando al Valencia, come fa a stare seduto sulla panchina del Valencia un "allenatore" del genere?
Allenatori ben più bravi non hanno avuto le sue occasioni e qui torniamo all'agente che sposta giocatori e allenatori come se fosse una società di noleggio di auto...
 

Ruuddil23

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Assolutamente nessuna sorpresa, certi atteggiamenti e comportamenti c'erano già nel suo periodo da allenatore al Milan, solo chi era prevenuto non voleva vederli e attaccava col solito fare da squadrista chi cercava di essere obiettivo. Del resto sappiamo benissimo chi era il suo compare all'epoca, bastava fare due più due. Sulle sue "qualità" di allenatore poi stendiamo un velo pietoso, ché a livello tecnico scendiamo più in basso del livello comportamentale.
 
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