Ancelotti - Gattuso: i perchè della rottura.

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Dopo le parole di ieri, il Corriere dello Sport in edicola spiega come si è arrivati alla rottura tra Gattuso e Ancelotti:

Perché o por qué? Nell’atmosfera surreale d’una domenica glaciale come può essere un 8 dicembre, con (tutti) i cellulari stranamente spenti, Carlo Ancelotti non sospettava neppure lontanamente che il Napoli stesse per esonerarlo e che quel licenziamento dovesse persino divenire l’aspetto meno doloroso d’una storia a modo suo crudele. In quell’aria cupa, densa di messaggi subliminali, nonostante l’1-1 a Udine, s’era allungata l’eco d’uno strappo definitivo che Ancelotti bruciava sdegnosamente, con quel candore che appartiene a un gentiluomo fatto e finito e però pure un po' romanticamente ingenuo. Il sospetto che in via XXIV maggio, a Roma, De Laurentiis stesse per congedarsi dal proprio allenatore nacque alle cinque della sera, in realtà la Spoon River d’un tempo perduto, la conversione prosaica d’una liaison contrastata da dentro, l’area riformista di quel tempo - l’ad, Chiavelli, e il ds Giuntoli, decisi a intervenire - ma a Napoli, a casa, mentre preparava la sfida di Champions allo Genk, Ancelotti rimaneva ignaro dinnanzi alla brutale ipotesi («Carlo, stanno decidendo...») d’un cronista sospettoso: «Ma no, dài..., vedi macchinazioni». Quarantotto ore dopo, uscendo dal San Paolo con il 4-0 allo Genk, Carlo Ancelotti era ormai già l’ex allenatore del Napoli: l’aveva intuito anche lo stadio, con quell’applauso signorile che annunciava l’addio.

L’esonero è una ferita sanguinosa ma la cicatrice dell’anima con cui Ancelotti ha dovuto poi convivere è stato il sequel d’una vicenda che esonda dal calcio e travolge i sentimenti, quel silenzio di giorni, settimane, mesi che Rino Gattuso - il figlio prediletto del suo Milan - non ruppe mai una volta per spiegare e raccontare al suo «papà» come veramente andò, perché mai tacque e perché non l’avvisò che De Laurentiis l’aveva convocato a Roma ma perché poi, nel momento del congedo, non lo avesse aspettato a Castel Volturno per salutarlo. Ancelotti avrebbe capito, conoscendo le regole del calio e pure quella della vita e non sarebbe stato costretto a catalogare la scelta di quel silenzio come un tradimento del quale ora, tre anni dopo, non ha «voglia di parlarne». Eppure, sette mesi prima a maggio, alla cena riservata a Capri per i 60 anni di Ancelotti a cui De Laurentiis invitò il Napoli per intero, l’unico «straniero» di quell’appuntamento di famiglia era stato proprio Gattuso, che con Adl ebbe modo di conoscersi e di dialogare. E che poi a dicembre, mentre s’avvicinava alla panchina del mentore calcistico, sfilò via ammutolendo, perdendosi pure in qualche conferenza stampa successiva in riferimenti urticanti sulla condizione di salute della squadra. Tu quoque....?
 
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Djici

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Dopo le parole di ieri, il Corriere dello Sport in edicola spiega come si è arrivati alla rottura tra Gattuso e Ancelotti:

Perché o por qué? Nell’atmosfera surreale d’una domenica glaciale come può essere un 8 dicembre, con (tutti) i cellulari stranamente spenti, Carlo Ancelotti non sospettava neppure lontanamente che il Napoli stesse per esonerarlo e che quel licenziamento dovesse persino divenire l’aspetto meno doloroso d’una storia a modo suo crudele. In quell’aria cupa, densa di messaggi subliminali, nonostante l’1-1 a Udine, s’era allungata l’eco d’uno strappo definitivo che Ancelotti bruciava sdegnosamente, con quel candore che appartiene a un gentiluomo fatto e finito e però pure un po' romanticamente ingenuo. Il sospetto che in via XXIV maggio, a Roma, De Laurentiis stesse per congedarsi dal proprio allenatore nacque alle cinque della sera, in realtà la Spoon River d’un tempo perduto, la conversione prosaica d’una liaison contrastata da dentro, l’area riformista di quel tempo - l’ad, Chiavelli, e il ds Giuntoli, decisi a intervenire - ma a Napoli, a casa, mentre preparava la sfida di Champions allo Genk, Ancelotti rimaneva ignaro dinnanzi alla brutale ipotesi («Carlo, stanno decidendo...») d’un cronista sospettoso: «Ma no, dài..., vedi macchinazioni». Quarantotto ore dopo, uscendo dal San Paolo con il 4-0 allo Genk, Carlo Ancelotti era ormai già l’ex allenatore del Napoli: l’aveva intuito anche lo stadio, con quell’applauso signorile che annunciava l’addio.

L’esonero è una ferita sanguinosa ma la cicatrice dell’anima con cui Ancelotti ha dovuto poi convivere è stato il sequel d’una vicenda che esonda dal calcio e travolge i sentimenti, quel silenzio di giorni, settimane, mesi che Rino Gattuso - il figlio prediletto del suo Milan - non ruppe mai una volta per spiegare e raccontare al suo «papà» come veramente andò, perché mai tacque e perché non l’avvisò che De Laurentiis l’aveva convocato a Roma ma perché poi, nel momento del congedo, non lo avesse aspettato a Castel Volturno per salutarlo. Ancelotti avrebbe capito, conoscendo le regole del calio e pure quella della vita e non sarebbe stato costretto a catalogare la scelta di quel silenzio come un tradimento del quale ora, tre anni dopo, non ha «voglia di parlarne». Eppure, sette mesi prima a maggio, alla cena riservata a Capri per i 60 anni di Ancelotti a cui De Laurentiis invitò il Napoli per intero, l’unico «straniero» di quell’appuntamento di famiglia era stato proprio Gattuso, che con Adl ebbe modo di conoscersi e di dialogare. E che poi a dicembre, mentre s’avvicinava alla panchina del mentore calcistico, sfilò via ammutolendo, perdendosi pure in qualche conferenza stampa successiva in riferimenti urticanti sulla condizione di salute della squadra. Tu quoque....?
Brutissima storia.
@Marilson
Sono su questo forum dal 29/11/2005
Il "un maiale non può allenare" li ricordo benissimo.
Però non e questo il punto.
Il punto non e che un tifoso manchi di rispetto ad Ancelotti ma che sia il suo figlio spirituale a farlo.
Comunque a me può non piacere un allenatore. Può non piacere un giocatore. Ma non storpio il nome e non l'insulto. Mi permetto solo una piccola eccezione per Dollarumma. Niente di speciale o particolarmente cattivo 😄. E ho usato più di una volta il soprannome Fester per Galliani 🤣.
Probabilmente sarei diventato cattivo con Mirabelli ma per fortuna non e rimasto abbastanza a lungo.

Gattuso doveva essere più rispettoso. Le sue dichiarazioni erano folli.
E l'ho detto pure quando è subentrato a Montella.
Vorrei vedere la sua faccia se fosse stato un altro a prendere il suo posto e dire in interviste trasmesse nel mondo intero che la squadra non era ben allenata, c'e un problema di nutrizione e che la squadra non corre.
Insomma come dare del incapace ad un collega 😄
 
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Perché o por qué? Nell’atmosfera surreale d’una domenica glaciale come può essere un 8 dicembre, con (tutti) i cellulari stranamente spenti, Carlo Ancelotti non sospettava neppure lontanamente che il Napoli stesse per esonerarlo e che quel licenziamento dovesse persino divenire l’aspetto meno doloroso d’una storia a modo suo crudele. In quell’aria cupa, densa di messaggi subliminali, nonostante l’1-1 a Udine, s’era allungata l’eco d’uno strappo definitivo che Ancelotti bruciava sdegnosamente, con quel candore che appartiene a un gentiluomo fatto e finito e però pure un po' romanticamente ingenuo. Il sospetto che in via XXIV maggio, a Roma, De Laurentiis stesse per congedarsi dal proprio allenatore nacque alle cinque della sera, in realtà la Spoon River d’un tempo perduto, la conversione prosaica d’una liaison contrastata da dentro, l’area riformista di quel tempo - l’ad, Chiavelli, e il ds Giuntoli, decisi a intervenire - ma a Napoli, a casa, mentre preparava la sfida di Champions allo Genk, Ancelotti rimaneva ignaro dinnanzi alla brutale ipotesi («Carlo, stanno decidendo...») d’un cronista sospettoso: «Ma no, dài..., vedi macchinazioni». Quarantotto ore dopo, uscendo dal San Paolo con il 4-0 allo Genk, Carlo Ancelotti era ormai già l’ex allenatore del Napoli: l’aveva intuito anche lo stadio, con quell’applauso signorile che annunciava l’addio.

L’esonero è una ferita sanguinosa ma la cicatrice dell’anima con cui Ancelotti ha dovuto poi convivere è stato il sequel d’una vicenda che esonda dal calcio e travolge i sentimenti, quel silenzio di giorni, settimane, mesi che Rino Gattuso - il figlio prediletto del suo Milan - non ruppe mai una volta per spiegare e raccontare al suo «papà» come veramente andò, perché mai tacque e perché non l’avvisò che De Laurentiis l’aveva convocato a Roma ma perché poi, nel momento del congedo, non lo avesse aspettato a Castel Volturno per salutarlo. Ancelotti avrebbe capito, conoscendo le regole del calio e pure quella della vita e non sarebbe stato costretto a catalogare la scelta di quel silenzio come un tradimento del quale ora, tre anni dopo, non ha «voglia di parlarne». Eppure, sette mesi prima a maggio, alla cena riservata a Capri per i 60 anni di Ancelotti a cui De Laurentiis invitò il Napoli per intero, l’unico «straniero» di quell’appuntamento di famiglia era stato proprio Gattuso, che con Adl ebbe modo di conoscersi e di dialogare. E che poi a dicembre, mentre s’avvicinava alla panchina del mentore calcistico, sfilò via ammutolendo, perdendosi pure in qualche conferenza stampa successiva in riferimenti urticanti sulla condizione di salute della squadra. Tu quoque....?
Poi mi dite perchè non mi ci rivedo nel gattuso allenatore.
Perchè io avevo lasciato il mediano che faceva un corsa per tutti e ora trovo l'allenatore che fa le scarpe persino al suo papà calcistico per via di una fame , un'ambizione e un'autostima da allenatore smisurata.
Gattuso vuole arrivare e non bada ai modi per farlo, si sente oltretutto bravo perchè da campione del mondo e campione del milan ovviamente ha amici, colleghi e pure lecchini al seguito.
Ripeto : parlo solo di fame lavorativa e ambizione professionale.

Il gattuso uomo, padre, marito, amico, rossonero non lo tocco e non lo discuto.
So che ha i valori di sempre e ha un grande cuore, so che fa del bene a aiuta tutti. So che è un generoso.
Si parla solo di calcio e di lavoro , il suo lavoro.
 

Andris

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comunque pure Ancelotti si è comportato male con il Milan
non dimentico quei giorni di farsa con Galliani che gli andava dietro tra cene e corteggiamenti dall'America/Canada
e lui non ha mai fatto un'intervista per giustificare quella farsa, aveva già deciso di non tornare
ha retto il moccolo di una gestione decadente e poco professionale, avrebbe dovuto prendere le distanze avvisando i tifosi del marciume del duo malefico
non era per fare nuove esperienze di campionato, è tornato in Serie A con il Napoli, e neanche disdegna i ritorni tanto che ha accettato in cinque minuti dopo la chiamata di Perez di tornare a Madrid nonostante fosse sotto contratto inglese
 
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comunque pure Ancelotti si è comportato male con il Milan
non dimentico quei giorni di farsa con Galliani che gli andava dietro tra cene e corteggiamenti dall'America/Canada
e lui non ha mai fatto un'intervista per giustificare quella farsa, aveva già deciso di non tornare
ha retto il moccolo di una gestione decadente e poco professionale, avrebbe dovuto prendere le distanze avvisando i tifosi del marciume del duo malefico
non era per fare nuove esperienze di campionato, è tornato in Serie A con il Napoli, e neanche disdegna i ritorni tanto che ha accettato in cinque minuti dopo la chiamata di Perez di tornare a Madrid nonostante fosse sotto contratto inglese
Troppa amicizia, troppa riconoscenza, troppo vissuto.
 

7AlePato7

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Perché o por qué? Nell’atmosfera surreale d’una domenica glaciale come può essere un 8 dicembre, con (tutti) i cellulari stranamente spenti, Carlo Ancelotti non sospettava neppure lontanamente che il Napoli stesse per esonerarlo e che quel licenziamento dovesse persino divenire l’aspetto meno doloroso d’una storia a modo suo crudele. In quell’aria cupa, densa di messaggi subliminali, nonostante l’1-1 a Udine, s’era allungata l’eco d’uno strappo definitivo che Ancelotti bruciava sdegnosamente, con quel candore che appartiene a un gentiluomo fatto e finito e però pure un po' romanticamente ingenuo. Il sospetto che in via XXIV maggio, a Roma, De Laurentiis stesse per congedarsi dal proprio allenatore nacque alle cinque della sera, in realtà la Spoon River d’un tempo perduto, la conversione prosaica d’una liaison contrastata da dentro, l’area riformista di quel tempo - l’ad, Chiavelli, e il ds Giuntoli, decisi a intervenire - ma a Napoli, a casa, mentre preparava la sfida di Champions allo Genk, Ancelotti rimaneva ignaro dinnanzi alla brutale ipotesi («Carlo, stanno decidendo...») d’un cronista sospettoso: «Ma no, dài..., vedi macchinazioni». Quarantotto ore dopo, uscendo dal San Paolo con il 4-0 allo Genk, Carlo Ancelotti era ormai già l’ex allenatore del Napoli: l’aveva intuito anche lo stadio, con quell’applauso signorile che annunciava l’addio.

L’esonero è una ferita sanguinosa ma la cicatrice dell’anima con cui Ancelotti ha dovuto poi convivere è stato il sequel d’una vicenda che esonda dal calcio e travolge i sentimenti, quel silenzio di giorni, settimane, mesi che Rino Gattuso - il figlio prediletto del suo Milan - non ruppe mai una volta per spiegare e raccontare al suo «papà» come veramente andò, perché mai tacque e perché non l’avvisò che De Laurentiis l’aveva convocato a Roma ma perché poi, nel momento del congedo, non lo avesse aspettato a Castel Volturno per salutarlo. Ancelotti avrebbe capito, conoscendo le regole del calio e pure quella della vita e non sarebbe stato costretto a catalogare la scelta di quel silenzio come un tradimento del quale ora, tre anni dopo, non ha «voglia di parlarne». Eppure, sette mesi prima a maggio, alla cena riservata a Capri per i 60 anni di Ancelotti a cui De Laurentiis invitò il Napoli per intero, l’unico «straniero» di quell’appuntamento di famiglia era stato proprio Gattuso, che con Adl ebbe modo di conoscersi e di dialogare. E che poi a dicembre, mentre s’avvicinava alla panchina del mentore calcistico, sfilò via ammutolendo, perdendosi pure in qualche conferenza stampa successiva in riferimenti urticanti sulla condizione di salute della squadra. Tu quoque....?
Tutta la vita con Ancelotti.
Gattuso personaggio squallido e raccomandato. Mi ricorda qualcuno.
 

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L’esonero è una ferita sanguinosa ma la cicatrice dell’anima con cui Ancelotti ha dovuto poi convivere è stato il sequel d’una vicenda che esonda dal calcio e travolge i sentimenti, quel silenzio di giorni, settimane, mesi che Rino Gattuso - il figlio prediletto del suo Milan - non ruppe mai una volta per spiegare e raccontare al suo «papà» come veramente andò, perché mai tacque e perché non l’avvisò che De Laurentiis l’aveva convocato a Roma ma perché poi, nel momento del congedo, non lo avesse aspettato a Castel Volturno per salutarlo. Ancelotti avrebbe capito, conoscendo le regole del calio e pure quella della vita e non sarebbe stato costretto a catalogare la scelta di quel silenzio come un tradimento del quale ora, tre anni dopo, non ha «voglia di parlarne». Eppure, sette mesi prima a maggio, alla cena riservata a Capri per i 60 anni di Ancelotti a cui De Laurentiis invitò il Napoli per intero, l’unico «straniero» di quell’appuntamento di famiglia era stato proprio Gattuso, che con Adl ebbe modo di conoscersi e di dialogare. E che poi a dicembre, mentre s’avvicinava alla panchina del mentore calcistico, sfilò via ammutolendo, perdendosi pure in qualche conferenza stampa successiva in riferimenti urticanti sulla condizione di salute della squadra. Tu quoque....?
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Perché o por qué? Nell’atmosfera surreale d’una domenica glaciale come può essere un 8 dicembre, con (tutti) i cellulari stranamente spenti, Carlo Ancelotti non sospettava neppure lontanamente che il Napoli stesse per esonerarlo e che quel licenziamento dovesse persino divenire l’aspetto meno doloroso d’una storia a modo suo crudele. In quell’aria cupa, densa di messaggi subliminali, nonostante l’1-1 a Udine, s’era allungata l’eco d’uno strappo definitivo che Ancelotti bruciava sdegnosamente, con quel candore che appartiene a un gentiluomo fatto e finito e però pure un po' romanticamente ingenuo. Il sospetto che in via XXIV maggio, a Roma, De Laurentiis stesse per congedarsi dal proprio allenatore nacque alle cinque della sera, in realtà la Spoon River d’un tempo perduto, la conversione prosaica d’una liaison contrastata da dentro, l’area riformista di quel tempo - l’ad, Chiavelli, e il ds Giuntoli, decisi a intervenire - ma a Napoli, a casa, mentre preparava la sfida di Champions allo Genk, Ancelotti rimaneva ignaro dinnanzi alla brutale ipotesi («Carlo, stanno decidendo...») d’un cronista sospettoso: «Ma no, dài..., vedi macchinazioni». Quarantotto ore dopo, uscendo dal San Paolo con il 4-0 allo Genk, Carlo Ancelotti era ormai già l’ex allenatore del Napoli: l’aveva intuito anche lo stadio, con quell’applauso signorile che annunciava l’addio.

L’esonero è una ferita sanguinosa ma la cicatrice dell’anima con cui Ancelotti ha dovuto poi convivere è stato il sequel d’una vicenda che esonda dal calcio e travolge i sentimenti, quel silenzio di giorni, settimane, mesi che Rino Gattuso - il figlio prediletto del suo Milan - non ruppe mai una volta per spiegare e raccontare al suo «papà» come veramente andò, perché mai tacque e perché non l’avvisò che De Laurentiis l’aveva convocato a Roma ma perché poi, nel momento del congedo, non lo avesse aspettato a Castel Volturno per salutarlo. Ancelotti avrebbe capito, conoscendo le regole del calio e pure quella della vita e non sarebbe stato costretto a catalogare la scelta di quel silenzio come un tradimento del quale ora, tre anni dopo, non ha «voglia di parlarne». Eppure, sette mesi prima a maggio, alla cena riservata a Capri per i 60 anni di Ancelotti a cui De Laurentiis invitò il Napoli per intero, l’unico «straniero» di quell’appuntamento di famiglia era stato proprio Gattuso, che con Adl ebbe modo di conoscersi e di dialogare. E che poi a dicembre, mentre s’avvicinava alla panchina del mentore calcistico, sfilò via ammutolendo, perdendosi pure in qualche conferenza stampa successiva in riferimenti urticanti sulla condizione di salute della squadra. Tu quoque....?
Il comportamento di Gattuso, se vero, sarebbe ai livelli della "leggenda" del suo compagno di squadra sdraiato nella macchina dell'AD per non farsi vedere, ai tempi in cui fu promosso come allenatore in prima squadra nel 2014. Che ambientino il calcio! Non che non lo si sappia ma gli episodi specifici fanno sempre effetto. "Unità di intenti e il patto dello spogliatoio": 🤡🤡🤡🤡🤡.
 
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