Mino Raiola torna ad agitare le acque rossonere. Ecco le sue parole alla RAI: "Donnarumma ha fatto una scelta che è quella di restare al Milan e io la rispetto. In ogni caso se mi chiedesse di andare via io mi metterei subito all'opera perché ci sono molti club interessati. Infatti se fosse per me Gigio dovrebbe lasciare il Milan". Poi un cenno anche all'altro suo assistito, Balotelli: "Ho parlato di lui con Napoli, Juve, Inter e Roma. Milan? No, con loro no perché io non parlo con Mirabelli. Non sono al suo livello"
Raiola è l'emblema di una fatale distorsione ottica del calcio professionistico moderno, la persuasione, cioè, che l'apice della carriera sportiva coincida con la massimizzazione degli obiettivi economici, ed il suo inverso, per cui un giocatore non possa non perseguire la strada del massimo profitto salariale, indipendentemente, ed anzi talvolta in contraddizione, dal perseguimento dei titoli sportivi, individuali e di squadra, nel corso della propria carriera. Una deformazione, segnata dalla ovvia non coincidenza necessaria dei due obiettivi professionali, dietro la quale si cela l'interesse privato dell'agente, che lucra sia dal conseguimento del miglior ingaggio possibile per il suo rappresentato, sia dal costante cambiamento di club dello stesso, in funzione della costante, progressiva ricerca sul mercato del miglioramento salariale. Un evento, quest'ultimo, che talvolta attenta alla crescita tecnica, tattica, psicologica ed agonistica del giocatore, specie se più giovane, che non può formarsi in un contesto ambientale costante ed univoco, che ne riconosca le qualità e le valorizzi, aiutandolo nella affermazione professionale, e che anzi talvolta compromette irrimediabilmente quel processo di crescita, specie quando il talento individuale non è assoluto, e non si afferma comunque, ed al di là delle contingenti disavventure professionali. È il caso, emblematico, di molti assistiti di Raiola, da Balotelli a, si direbbe, Pogba, che ora rimpiange la scelta di aver abbandonato la Juventus, di cui era leader tecnico ed in cui proiettava un destino da eroe eponimo, e financo dello stesso Ibrahimovic, di cui può certo ammirarsi la capacità di elevarsi, forte di un talento individuale purissimo, ad eccellenza delle squadre in cui ha militato, molto meno quella di compiere scelte professionali poco conservative (peraltro da lui volute fortemente per motivi caratteriali propri) in clubs di alto livello sportivo, in cui pure ha militato, ed ove avrebbe potuto conseguire stabilmente titoli sportivi a iosa, assicurandosi, al pari dei suoi contemporanei Cristiano Ronaldo e Messi, quella eternità tra i grandi di questo sport, che infine gli manca. Una scelta di Zlatan, ripetiamo, dettata da un individualismo, figlio di un carattere e di una consapevolezza assoluta del proprio io tecnico, che Raiola ha certamente esasperato, costruendo per lui una carriera all'insegna della assoluta mobilità tra squadre e Paesi diversi, e della realizzazione dei massimi profitti, e che ha poi inteso proditoriamente suggerire come modello ad altri propri assistiti, questi ultimi persuasi a torto da quel modello, probabilmente unico, irripetibile e non replicabile con certezza di pari esito e successo. Una persuasione fatale, di cui ora gli assistiti da questo illustre agente dovrebbero avere contezza, in specie quelli, come Donnarumma, appena all'inizio della propria carriera. Affermarsi a livello sportivo, sposando un progetto sportivo convincente a livello di ingaggio e di obiettivi, è la logica premessa del successo professionale ed economico individuale, che si realizza anche, ma non solo, con il salario contrattuale. Evidenze del processo contrario invece non vi sono, riscontrandosi piuttosto precedenti di segno diverso. Una reputazione sportiva vincente ed impeccabile è quanto di più desiderabile per uno sportivo professionista, perché è la base del proprio benessere economico e del riconoscimento sociale delle proprie qualità. Occorrerebbe pensarci, nel segreto del proprio io interiore, e tradurlo in obiettivi e scelte ponderate insieme ad un agente capace e leale, che lavori per questo obiettivo del proprio rappresentato, e non per i propri, celati dietro una artata rappresentazione della realtà. Questa si che è una scelta vincente, da vero sportivo competitivo. Pensarci, prima che sia troppo tardi.