Usa: pronta Kamala Harris al posto di Biden.

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Repubblica in edicola: cosa intendeva la vice presidente degli Stati Uniti Kamala Harris, quando parlando con il Wall Street Journal ha affermato senza incertezze di essere “pronta a servire”? Voleva dire che è pronta a prendere il posto di Biden, come del resto le chiederebbe di fare la Costituzione se il capo della Casa Bianca lasciasse la carica per qualsiasi motivo, rispondendo così agli attacchi ricevuti dai repubblicani sulla sua affidabilità? Oppure aveva lo scopo recondito di avanzare la propria candidatura alla presidenza, se Joe non ce la facesse a proseguire la campagna per la rielezione e dovesse scattare il “piano B”? Probabilmente entrambe le cose, con un’ovvia precedenza per la prima ipotesi. Harris, già senatrice e procuratrice della California, era stata scelta da Biden come vice nel 2020 dopo il fallimento della sua corsa alla Casa Bianca, perché riempiva alcune caselle elettorali decisive. Donna di colore, figlia di immigrati (padre giamaicano e madre indiana), giovane, popolare nell’ala sinistra del Partito democratico: compensava i limiti di Joe e rafforzava la sua coalizione vincente. L’idea sottintesa, poi, era che Biden avrebbe fatto il presidente di transizione, e dopo aver bloccato la minaccia trumpista avrebbe passato il testimone alla prossima generazione, con la vice naturalmente destinata a raccogliere la sua eredità. Non è andata così, per vari motivi. Il primo è che Kamala ha deluso le aspettative, in particolare quando all’inizio del mandato le era stata affidata la delicata pratica dell’immigrazione. La sua popolarità era scesa più rapidamente di quella di Joe, compromettendo i piani per la successione. Poi il capo della Casa Bianca si è appassionato al suo lavoro e la ricandidatura di Trump ha suggellato la fine del passaggio generazionale. Ora il problema è che l’età di Biden l’ha trasformata in una delle armi elettorali dei repubblicani. Come ha detto Nikki Haley, «votare per Joe significa dare la presidenza a Kamala». Secondo la propaganda più cospirativa del Gop, infatti, il piano di Biden è dal principio quello di battere Trump, e poi dimettersi in favore di Harris. Ma anche se l’abdicazione non fosse così premeditata, è comunque inevitabile, perché lui non ha le forze per restare in carica fino al 2028. Perciò chi non vuole Kamala alla Casa Bianca deve votare contro Joe. È presumibile che l’intervista al Wall Street Journal, pubblicata ieri ma fatta due giorni prima del rapporto in cui il procuratore Hur accusava Biden di essere un vecchio smemorato, rispondesse a queste cospirazioni, anche se il clima è cambiato e c’è l’impressione che i dem inizino a valutare sulla possibilità di sostituirlo. Harris ha voluto riaffermare le sue capacità di leadership, allontanando le voci di una sua improbabile sostituzione nel ticket. Anche perché adesso è diventata molto più utile alla campagna elettorale, rispondendo a Hur che è politicamente motivato; promuovendo le posizioni dell’amministrazione su temi chiave come l’aborto, su cui aveva lavorato come procuratrice; oppure parlando alle donne, i giovani e le minoranze deluse, a cui presenta anche un volto più simpatetico alle sofferenze dei palestinesi. Sullo sfondo, però, c’è inevitabilmente anche il “piano B”, nel caso in cui Biden non fosse in grado di completare la campagna, per motivi di salute o di opportunità politica. Se ciò accadesse prima della Convention di agosto, il congresso del partito sarebbe sovrano e potrebbe scegliere a piacimento il successore. Se avvenisse fra la Convention e il voto del 5 novembre il Democratic National Committee, ossia la segreteria, avrebbe il potere di indire nuove primarie o scegliere un sostituto. I nomi in cima alla lista sono altri. Il governatore della California Newsom, già scelto da Biden come surrogato; quella del Michigan Whitmer, che si porterebbe da casa la vittoria in uno dei tre stati decisivi e avrebbe più presa sul Midwest, il Wisconsin, la Pennsylvania; quelli dell’Illinois Pritzker, Maryland Moore, Kentucky Beshear, Pennsylvania Shapiro. Senatori tipo Klobuchar. E poi il sogno Michelle Obama, che però non ha alcuna voglia di farlo. È possibile quindi che Harris, offesa per essere snobbata, abbia voluto ricordare che c’è anche lei.
 
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Repubblica in edicola: cosa intendeva la vice presidente degli Stati Uniti Kamala Harris, quando parlando con il Wall Street Journal ha affermato senza incertezze di essere “pronta a servire”? Voleva dire che è pronta a prendere il posto di Biden, come del resto le chiederebbe di fare la Costituzione se il capo della Casa Bianca lasciasse la carica per qualsiasi motivo, rispondendo così agli attacchi ricevuti dai repubblicani sulla sua affidabilità? Oppure aveva lo scopo recondito di avanzare la propria candidatura alla presidenza, se Joe non ce la facesse a proseguire la campagna per la rielezione e dovesse scattare il “piano B”? Probabilmente entrambe le cose, con un’ovvia precedenza per la prima ipotesi. Harris, già senatrice e procuratrice della California, era stata scelta da Biden come vice nel 2020 dopo il fallimento della sua corsa alla Casa Bianca, perché riempiva alcune caselle elettorali decisive. Donna di colore, figlia di immigrati (padre giamaicano e madre indiana), giovane, popolare nell’ala sinistra del Partito democratico: compensava i limiti di Joe e rafforzava la sua coalizione vincente. L’idea sottintesa, poi, era che Biden avrebbe fatto il presidente di transizione, e dopo aver bloccato la minaccia trumpista avrebbe passato il testimone alla prossima generazione, con la vice naturalmente destinata a raccogliere la sua eredità. Non è andata così, per vari motivi. Il primo è che Kamala ha deluso le aspettative, in particolare quando all’inizio del mandato le era stata affidata la delicata pratica dell’immigrazione. La sua popolarità era scesa più rapidamente di quella di Joe, compromettendo i piani per la successione. Poi il capo della Casa Bianca si è appassionato al suo lavoro e la ricandidatura di Trump ha suggellato la fine del passaggio generazionale. Ora il problema è che l’età di Biden l’ha trasformata in una delle armi elettorali dei repubblicani. Come ha detto Nikki Haley, «votare per Joe significa dare la presidenza a Kamala». Secondo la propaganda più cospirativa del Gop, infatti, il piano di Biden è dal principio quello di battere Trump, e poi dimettersi in favore di Harris. Ma anche se l’abdicazione non fosse così premeditata, è comunque inevitabile, perché lui non ha le forze per restare in carica fino al 2028. Perciò chi non vuole Kamala alla Casa Bianca deve votare contro Joe. È presumibile che l’intervista al Wall Street Journal, pubblicata ieri ma fatta due giorni prima del rapporto in cui il procuratore Hur accusava Biden di essere un vecchio smemorato, rispondesse a queste cospirazioni, anche se il clima è cambiato e c’è l’impressione che i dem inizino a valutare sulla possibilità di sostituirlo. Harris ha voluto riaffermare le sue capacità di leadership, allontanando le voci di una sua improbabile sostituzione nel ticket. Anche perché adesso è diventata molto più utile alla campagna elettorale, rispondendo a Hur che è politicamente motivato; promuovendo le posizioni dell’amministrazione su temi chiave come l’aborto, su cui aveva lavorato come procuratrice; oppure parlando alle donne, i giovani e le minoranze deluse, a cui presenta anche un volto più simpatetico alle sofferenze dei palestinesi. Sullo sfondo, però, c’è inevitabilmente anche il “piano B”, nel caso in cui Biden non fosse in grado di completare la campagna, per motivi di salute o di opportunità politica. Se ciò accadesse prima della Convention di agosto, il congresso del partito sarebbe sovrano e potrebbe scegliere a piacimento il successore. Se avvenisse fra la Convention e il voto del 5 novembre il Democratic National Committee, ossia la segreteria, avrebbe il potere di indire nuove primarie o scegliere un sostituto. I nomi in cima alla lista sono altri. Il governatore della California Newsom, già scelto da Biden come surrogato; quella del Michigan Whitmer, che si porterebbe da casa la vittoria in uno dei tre stati decisivi e avrebbe più presa sul Midwest, il Wisconsin, la Pennsylvania; quelli dell’Illinois Pritzker, Maryland Moore, Kentucky Beshear, Pennsylvania Shapiro. Senatori tipo Klobuchar. E poi il sogno Michelle Obama, che però non ha alcuna voglia di farlo. È possibile quindi che Harris, offesa per essere snobbata, abbia voluto ricordare che c’è anche lei.
Harris è odiatissima dai Dem e anzi, stanno cercando un modo di farla dimettere per mettere un nuovo vice sotto Biden a cui passare il testimone e tirare la volata per le presidenziali (Newsom?)
Comunque vada, visto che lei giustamente si tiene stretta la poltrona fino all'ultimo giorno utile, faranno arrivare Biden fino alle elezioni, che con ogni probabilità perderà a meno di miracoli o eventi "particolari"
Ma questa volta gli affiancheranno un vice giovane e dinamico così che, nel caso Biden vinca, possa dimettersi il giorno dopo e far subentrare questo vice alla presidenza.
 

Davidoff

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Harris è odiatissima dai Dem e anzi, stanno cercando un modo di farla dimettere per mettere un nuovo vice sotto Biden a cui passare il testimone e tirare la volata per le presidenziali (Newsom?)
Comunque vada, visto che lei giustamente si tiene stretta la poltrona fino all'ultimo giorno utile, faranno arrivare Biden fino alle elezioni, che con ogni probabilità perderà a meno di miracoli o eventi "particolari"
Ma questa volta gli affiancheranno un vice giovane e dinamico così che, nel caso Biden vinca, possa dimettersi il giorno dopo e far subentrare questo vice alla presidenza.
Newsom ha dalla sua età ed estetica ma resta quello che ha trasformato la California nel cesso woke e garantista attuale (San Francisco ormai è in preda all’anarchia). Per me gli americani a livello interno stanno messi male, se dall’esterno restano quasi invincibili penso che l’implosione sociale sia dietro l’angolo.
 
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Repubblica in edicola: cosa intendeva la vice presidente degli Stati Uniti Kamala Harris, quando parlando con il Wall Street Journal ha affermato senza incertezze di essere “pronta a servire”? Voleva dire che è pronta a prendere il posto di Biden, come del resto le chiederebbe di fare la Costituzione se il capo della Casa Bianca lasciasse la carica per qualsiasi motivo, rispondendo così agli attacchi ricevuti dai repubblicani sulla sua affidabilità? Oppure aveva lo scopo recondito di avanzare la propria candidatura alla presidenza, se Joe non ce la facesse a proseguire la campagna per la rielezione e dovesse scattare il “piano B”? Probabilmente entrambe le cose, con un’ovvia precedenza per la prima ipotesi. Harris, già senatrice e procuratrice della California, era stata scelta da Biden come vice nel 2020 dopo il fallimento della sua corsa alla Casa Bianca, perché riempiva alcune caselle elettorali decisive. Donna di colore, figlia di immigrati (padre giamaicano e madre indiana), giovane, popolare nell’ala sinistra del Partito democratico: compensava i limiti di Joe e rafforzava la sua coalizione vincente. L’idea sottintesa, poi, era che Biden avrebbe fatto il presidente di transizione, e dopo aver bloccato la minaccia trumpista avrebbe passato il testimone alla prossima generazione, con la vice naturalmente destinata a raccogliere la sua eredità. Non è andata così, per vari motivi. Il primo è che Kamala ha deluso le aspettative, in particolare quando all’inizio del mandato le era stata affidata la delicata pratica dell’immigrazione. La sua popolarità era scesa più rapidamente di quella di Joe, compromettendo i piani per la successione. Poi il capo della Casa Bianca si è appassionato al suo lavoro e la ricandidatura di Trump ha suggellato la fine del passaggio generazionale. Ora il problema è che l’età di Biden l’ha trasformata in una delle armi elettorali dei repubblicani. Come ha detto Nikki Haley, «votare per Joe significa dare la presidenza a Kamala». Secondo la propaganda più cospirativa del Gop, infatti, il piano di Biden è dal principio quello di battere Trump, e poi dimettersi in favore di Harris. Ma anche se l’abdicazione non fosse così premeditata, è comunque inevitabile, perché lui non ha le forze per restare in carica fino al 2028. Perciò chi non vuole Kamala alla Casa Bianca deve votare contro Joe. È presumibile che l’intervista al Wall Street Journal, pubblicata ieri ma fatta due giorni prima del rapporto in cui il procuratore Hur accusava Biden di essere un vecchio smemorato, rispondesse a queste cospirazioni, anche se il clima è cambiato e c’è l’impressione che i dem inizino a valutare sulla possibilità di sostituirlo. Harris ha voluto riaffermare le sue capacità di leadership, allontanando le voci di una sua improbabile sostituzione nel ticket. Anche perché adesso è diventata molto più utile alla campagna elettorale, rispondendo a Hur che è politicamente motivato; promuovendo le posizioni dell’amministrazione su temi chiave come l’aborto, su cui aveva lavorato come procuratrice; oppure parlando alle donne, i giovani e le minoranze deluse, a cui presenta anche un volto più simpatetico alle sofferenze dei palestinesi. Sullo sfondo, però, c’è inevitabilmente anche il “piano B”, nel caso in cui Biden non fosse in grado di completare la campagna, per motivi di salute o di opportunità politica. Se ciò accadesse prima della Convention di agosto, il congresso del partito sarebbe sovrano e potrebbe scegliere a piacimento il successore. Se avvenisse fra la Convention e il voto del 5 novembre il Democratic National Committee, ossia la segreteria, avrebbe il potere di indire nuove primarie o scegliere un sostituto. I nomi in cima alla lista sono altri. Il governatore della California Newsom, già scelto da Biden come surrogato; quella del Michigan Whitmer, che si porterebbe da casa la vittoria in uno dei tre stati decisivi e avrebbe più presa sul Midwest, il Wisconsin, la Pennsylvania; quelli dell’Illinois Pritzker, Maryland Moore, Kentucky Beshear, Pennsylvania Shapiro. Senatori tipo Klobuchar. E poi il sogno Michelle Obama, che però non ha alcuna voglia di farlo. È possibile quindi che Harris, offesa per essere snobbata, abbia voluto ricordare che c’è anche lei.
Troppo divisiva persino tra i dem. Siamo sempre lì, non esiste tra i dem un'alternativa credibile a Trump. Per assurdo, Michelle Obama sarebbe una scelta migliore, e stiamo parlando di una non-politica di professione.
 
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Harris è odiatissima dai Dem e anzi, stanno cercando un modo di farla dimettere per mettere un nuovo vice sotto Biden a cui passare il testimone e tirare la volata per le presidenziali (Newsom?)
Comunque vada, visto che lei giustamente si tiene stretta la poltrona fino all'ultimo giorno utile, faranno arrivare Biden fino alle elezioni, che con ogni probabilità perderà a meno di miracoli o eventi "particolari"
Ma questa volta gli affiancheranno un vice giovane e dinamico così che, nel caso Biden vinca, possa dimettersi il giorno dopo e far subentrare questo vice alla presidenza.

Newsom come personaggio e vicinanza alla big money non mi piace, ma ha un cosa che manca alla maggioranza del partito democratico: Due elementi cubici.
Peccato che il partito si era messo contro Bernie Sanders 8 anni fa, lui era l'unico con credibilita.

Harris...madonna. Lei é praticamente una Republicana del era pre-Trump. É veramente impressionante come i Dems siano in grado di lanciare i peggiori candidati possibili. Le scelta ad oggi sono un vecchio che non ci capisce piu nulla ed una Republicana odiata dalla propria base (stesso dannato errore di qualche anno fa quando scelsero Clinto al posto di Sanders, e parliamoci chiaro: Quella era una scelta del partito, non della gente)
 
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a proposito come va la quasi guerra civile?
se non sono ot 🙌 ma veramente!
hanno grossi problemi a casa..
perché continuano a causarne pure all'estero?
Domanda retorica..
purtroppo lo so benissimo il perché..
 
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Newsom ha dalla sua età ed estetica ma resta quello che ha trasformato la California nel cesso woke e garantista attuale (San Francisco ormai è in preda all’anarchia). Per me gli americani a livello interno stanno messi male, se dall’esterno restano quasi invincibili penso che l’implosione sociale sia dietro l’angolo.
Guarda, è un sentiment molto diffuso anche nella comunità accademica.
Le prossime elezioni saranno probabilmente uno dei principali momenti cardine del XXI secolo, ben più di quelle del 2016 e del 2020
 

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Newsom come personaggio e vicinanza alla big money non mi piace, ma ha un cosa che manca alla maggioranza del partito democratico: Due elementi cubici.
Peccato che il partito si era messo contro Bernie Sanders 8 anni fa, lui era l'unico con credibilita.

Harris...madonna. Lei é praticamente una Republicana del era pre-Trump. É veramente impressionante come i Dems siano in grado di lanciare i peggiori candidati possibili. Le scelta ad oggi sono un vecchio che non ci capisce piu nulla ed una Republicana odiata dalla propria base (stesso dannato errore di qualche anno fa quando scelsero Clinto al posto di Sanders, e parliamoci chiaro: Quella era una scelta del partito, non della gente)
Newsom è un "negazionista". Cioè durante gli incendi non faceva niente. Ha vietato di tagliare il sottobosco e faceva spallucce "Eh è l'edificio più vecchio ma è un monastero quindi chissene". Per me è questo che lo frega: come simpatia tra gli elettori straccia la Harris e non è così diverso dagli ideali del proprio partito però è uno che come indole non fa niente sperando che gli altri gli tolgano le castagne dal fuoco quindi non può essere il grande boss.
 
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Guarda, è un sentiment molto diffuso anche nella comunità accademica.
Le prossime elezioni saranno probabilmente uno dei principali momenti cardine del XXI secolo, ben più di quelle del 2016 e del 2020
Pur di non fare vincere Trump sono buoni di inventarsi un blackout tagliando internet e usando la loro tecnologia spegni stati.. dico questo perché il candidato oramai è in allerta e con i soldi che ha può benissimo difendere la sua persona da solo.. non siamo più in un epoca che puoi inventarti stranezze insolite.. ci sono più telecamere che persone..

Tipo il fuorigioco di Candreva..
scoperto da una foto di un tifoso 🤣
e diventata di dominio pubblico dopo pochissimo
 
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