G. Galli:"Del Milan sono rimaste solo 5 cose".

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Giovanni Galli, alla GDS, sul Milan:"Quando arrivai ai Milan fu un salto notevole. Trovarmi in un calcio che non sapevo cosa fosse, giocare in un grande club ed essere al cospetto di Berlusconi. Ci fece capire subito le sue intenzioni. Tu dovevi solo giocare a calcio, al resto pensava la società. Tutti avevano un compito. Dalla casa al medico, chiamavi e il problema era risolto. Se avevi il permesso di Galliani potevi parlare direttamente con Silvio. Oggi sono rimaste cinque cose: storia, maglia, tifosi, Milanello e San Siro. Per il resto, chi chiami? Un fondo americano? Una volta eravamo dipendenti di un'azienda che aveva un capo riconosciuto. Oggi ogni giocatore è un'azienda a sé e che a sua volta appartiene a una multinazionale".

Scudetto o Coppa Campioni?
"Il ricordo più bello è lo scudetto perché fu il primo di quella gestione. E anche la più grande “delusione”: non c’erano coppe o medaglie, finita la festa in campo e nello spogliatoio si tornava a casa. Alzando la Coppa Campioni sapevi di sollevare un’icona, di entrare nella storia".

C’è un giorno esatto in cui la storia inizia?
"La notte di Belgrado, il grande Milan nasce lì. Gli ottavi di finale con la Stella Rossa: perdiamo mezza squadra ma passiamo ai rigori. Senza quella vittoria non saremmo arrivati alla finale contro la Steaua. Non ci sarebbe stato quel successo e nemmeno quello dell’anno dopo, quando ci presentiamo da campioni in carica. Lo scudetto era andato all’Inter del Trap, il campionato aveva assegnato a loro il diritto a partecipare".

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Giovanni Galli, alla GDS, sul Milan:"Quando arrivai ai Milan fu un salto notevole. Trovarmi in un calcio che non sapevo cosa fosse, giocare in un grande club ed essere al cospetto di Berlusconi. Ci fece capire subito le sue intenzioni. Tu dovevi solo giocare a calcio, al resto pensava la società. Tutti avevano un compito. Dalla casa al medico, chiamavi e il problema era risolto. Se avevi il permesso di Galliani potevi parlare direttamente con Silvio. Oggi sono rimaste cinque cose: storia, maglia, tifosi, Milanello e San Siro. Per il resto, chi chiami? Un fondo americano? Una volta eravamo dipendenti di un'azienda che aveva un capo riconosciuto. Oggi ogni giocatore è un'azienda a sé e che a sua volta appartiene a una multinazionale".

Scudetto o Coppa Campioni?
"Il ricordo più bello è lo scudetto perché fu il primo di quella gestione. E anche la più grande “delusione”: non c’erano coppe o medaglie, finita la festa in campo e nello spogliatoio si tornava a casa. Alzando la Coppa Campioni sapevi di sollevare un’icona, di entrare nella storia".

C’è un giorno esatto in cui la storia inizia?
"La notte di Belgrado, il grande Milan nasce lì. Gli ottavi di finale con la Stella Rossa: perdiamo mezza squadra ma passiamo ai rigori. Senza quella vittoria non saremmo arrivati alla finale contro la Steaua. Non ci sarebbe stato quel successo e nemmeno quello dell’anno dopo, quando ci presentiamo da campioni in carica. Lo scudetto era andato all’Inter del Trap, il campionato aveva assegnato a loro il diritto a partecipare".

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Questo aspetto in particolare viene rimarcato spesso dai grandi giocatori del passato - ricordo un video in cui ne parla Nesta - ed è molto emblematico di come quella struttura funzionasse bene anche per questo motivo in particolare.
Struttura fortemente gerarchica, ruoli ben definiti, compiti chiari.

Ed è uno degli aspetti nei quali la società Milan odierna è carente e che in parte veniva compensato dall'enorme lavoro del duo Maldini e Massara, che in questo aspetto erano i migliori in Italia.
I giocatori del Milan, come qualsiasi altro gruppo squadra, non sono solo dei tesserati, ma sono uomini e ragazzi, con esigenze particolari, sogni e ambizioni. Vanno ascoltati e capiti.

Poi si possono sbagliare i mercati o le scelte degli allenatori, come veniva fatto anche in passato (Tabarez, Giampaolo, Terim, i ritorni fallimentari di Sacchi e Capello), ma quell'organizzazione e quel pensiero non devono mai mancare. MAI.
 
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