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CorSport: a un certo punto, i pubblici ministeri torinesi mostrano a Giorgio Chiellini l’accordo della prima manovra stipendi, firmato da Andrea Agnelli e dall’allora capitano della Juve, raffrontandolo con il comunicato ufficiale poi reso noto, a fine marzo 2020: «Tutti eravamo comunque a conoscenza — risponde il difensore — che il comunicato stampa sarebbe stato diverso dagli accordi. Ho capito le ragioni della vostra domanda, noi abbiamo rinunciato per il bene della società, poi nel bilancio non so cosa abbiano messo. O meglio, so che hanno messo i 90 milioni di rinuncia, non so se era corretto o meno farlo». Per la tesi della Procura, ballano le 4 mensilità prima tagliate e poi pagate (tre), ovvero uno degli episodi alla base delle contestazioni (tra cui false comunicazioni sociali e manipolazione del mercato) contro i vertici del club e la stessa società.
È il 4 aprile scorso quando Chiellini viene sentito per quasi due ore e mezza dai pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello, e da un paio di militari della Guardia di finanza: da persona informata sui fatti, «ha l’obbligo di rispondere secondo verità», come gli viene ricordato in due occasioni. Perché dopo alcune risposte, arrivano le precisazioni dei magistrati: «In questo documento non c’è traccia dell’alternativa tra una/due mensilità; non c’è riferimento alla ripresa dell’attività». Chiellini: «Prendo atto». Tra le nove pagine del verbale, c’è un’altra domanda chiave, per l’accusa: se «il recupero delle tre mensilità» fosse «certo o condizionato, secondo l’accordo preso a marzo». Risposta: «Nelle stagioni successive era certo, qualcuno però lo aveva “spalmato” su più di un anno». Prima l’ex ca- pitano, che ora gioca a Los Angeles, aveva ripercorso quei mesi drammatici e frenetici, con l’arrivo della pandemia, durante la stagione 2019/20: «Il problema maggiore della società era la liquidità a breve termine e poi c’era l’incertezza che non si sapeva che cosa sarebbe successo. C’era il pericolo concreto che non si potesse riprendere a giocare». Così, si arrivò al taglio delle mensilità nella prima manovra e alla «postergazione» nella seconda, sempre secondo gli investigatori. E se un giocatore fosse andato via sarebbe stato pagato comunque? «Mi auguro proprio di sì. Come ho detto, ci è stato chiesto un piacere: se uno va via, mi auguro che glieli dessero»
È il 4 aprile scorso quando Chiellini viene sentito per quasi due ore e mezza dai pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello, e da un paio di militari della Guardia di finanza: da persona informata sui fatti, «ha l’obbligo di rispondere secondo verità», come gli viene ricordato in due occasioni. Perché dopo alcune risposte, arrivano le precisazioni dei magistrati: «In questo documento non c’è traccia dell’alternativa tra una/due mensilità; non c’è riferimento alla ripresa dell’attività». Chiellini: «Prendo atto». Tra le nove pagine del verbale, c’è un’altra domanda chiave, per l’accusa: se «il recupero delle tre mensilità» fosse «certo o condizionato, secondo l’accordo preso a marzo». Risposta: «Nelle stagioni successive era certo, qualcuno però lo aveva “spalmato” su più di un anno». Prima l’ex ca- pitano, che ora gioca a Los Angeles, aveva ripercorso quei mesi drammatici e frenetici, con l’arrivo della pandemia, durante la stagione 2019/20: «Il problema maggiore della società era la liquidità a breve termine e poi c’era l’incertezza che non si sapeva che cosa sarebbe successo. C’era il pericolo concreto che non si potesse riprendere a giocare». Così, si arrivò al taglio delle mensilità nella prima manovra e alla «postergazione» nella seconda, sempre secondo gli investigatori. E se un giocatore fosse andato via sarebbe stato pagato comunque? «Mi auguro proprio di sì. Come ho detto, ci è stato chiesto un piacere: se uno va via, mi auguro che glieli dessero»