Scaroni su Milan - Juve, sullo stadio, Pioli, Rangnick e Maldini.

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Paolo Scaroni, presidente del Milan, intervistato dal CorSera in edicola oggi, 9 luglio, a 360 gradi sul Milan:"Sa che le dico? Quando ci si sveglia dopo aver vinto, si sta molto meglio. Un partitone memorabile, di quelli che ci ricorderemo per anni. Ho parlato con Pioli: gli ho fatto i complimenti, anche chi non ha giocato benissimo ha dato l’impressione di far parte di un team motivato che si diverte a giocare a calcio. Mi sembra che Pioli sia riuscito a creare una squadra vera".

Ma allora siamo proprio sicuri di cambiarlo? Non potrebbe restare, magari assieme a Ralf Rangnick, di cui si è innamorato l’ad Gazidis?
«Su queste scelte ho totale fiducia in Gazidis, che d’altra parte ha la totale fiducia dell’azionista, e che, come logico, ne porterà la responsabilità. Gazidis si confronta con me, ma non sulle cose tecniche, piuttosto su come gestire certe situazioni».

Obiezione: un’altra rivoluzione proprio ora che la squadra, lo diceva anche lei, ha trovato una fisionomia.
«Non credo Gazidis abbia già deciso alcuna rivoluzione. Detto questo, è doveroso che l’ad esplori nuovi orizzonti».

Maldini resta?
«Ho eccellenti rapporti con lui. Se resta va chiesto a lui».

Oggi possiamo tirare le somme: il calcio ha fatto bene a ricominciare?
«Io, anche in Lega, mi sono sempre battuto per riprendere. E ho anche sempre sostenuto che si doveva seguire il modello tedesco: una positività su mille addetti è sempre possibile, ma non può fermare tutto. Le squadre di calcio sono fatte per giocare a calcio, il pallone è un elemento chiave nel divertimento degli italiani e poi ci sono i conti. I tifosi sognano ma se i nostri bilanci fanno acqua, non possiamo essere competitivi».

Quanto è costato al Milan il lockdown? E che impatto ha avuto sulle vostre scelte?
«Circa 30 milioni, tra mancati incassi da stadio e qualche entrata in meno dagli sponsor. Abbiamo dovuto posticipare molte decisioni, di mercato e non solo: le prenderemo ad agosto».

I bilanci del Milan, come quelli di molte altre società, erano già in sofferenza prima. Come si sopravvive?
«Come in tutti i business, ci vogliono proprietà solide. Certo guardiamo con rammarico ai conti ma con Elliott non è in pregiudizio il futuro del Milan, altri sono più in difficoltà. Con il Financial fairplay non c’è altra scelta: bisogna aumentare i ricavi».

Idee nuove?
«Sempre le stesse. Lo stadio è un ingrediente fondamentale, i diritti tv sono l’altro pilastro. Le sponsorizzazioni invece sono legate ai risultati sportivi, sono due montagne da scalare assieme».

Partiamo dallo stadio.
«Credo siamo sulla strada giusta. Il Comune ci ha fatto una proposta che non ci piace molto perché ha ridotto le nostre richieste di costruzioni, ma che abbiamo accettato perché dovrebbe risolvere la parte politica della questione. Oggi sono ragionevolmente ottimista, mi sembra che il Comune abbia sposato il progetto di avere uno stadio nuovo e anche l’opposizione lo veda con favore».

Ha aiutato che fosse un investimento importante in un momento di crisi.
«Si fa fatica a dire di no a un progetto che dà lavoro a 3 mila persone, in una città così colpita. Poi sarà lo stadio più bello del mondo».

Che tempi prevede? Si farà lì l’inaugurazione dei Giochi?
«Lo stadio sarà pronto per il 2024. Ci sarà una fase in cui il nuovo stadio sarà completato e San Siro sarà ancora in piedi: deciderà il sindaco dove svolgere la cerimonia, mi sembrerebbe strano non usare l’impianto nuovo. Poi partirà la rifunzionalizzazione di San Siro, che ci costerà 74 milioni e consentirà di salvare parti del vecchio stadio in un parco dello sport».

Cosa risponde ai tifosi che dicono che Elliott è interessato solo al business dello stadio e non ai risultati sportivi?
«Ogni tanto parlo con qualcuno che dice di sapere tutto di calcio e a un certo punto gli chiedo: “ma sai come funziona il fair play finanziario? No? Allora non sai nulla del calcio”. Il Barcellona dallo stadio ha ricavi per 159 milioni, il Real per 145. Noi per 30: 115 milioni è il monte ingaggi di un grande club. Per capirci, con i proventi da stadio, ci compriamo una squadra intera. Non c’è contraddizione tra lo stadio e i risultati sportivi. È la strada di tutto il mondo».

Passiamo all’altro pilastro, i diritti tv. Intanto, è preoccupato del calo di spettatori?
«Confido che sia episodico, un calo di fronte a questo nuovo calcio può essere comprensibile».

Sky usa questo dato nella diatriba con la Lega per non pagare l’ultima rata.
«Mi viene da dire che se gli spettatori fossero raddoppiati non credo ci darebbero il doppio. C’è un contratto, va rispettato, c’è una disputa legale, mi auguro si risolva».

Il tema del momento sono i fondi, da Cvc a Bain e Advent, che vogliono diventare soci della Lega per sfruttare al meglio i diritti tv. Un cambiamento radicale: di governance e di modello di business.
«Premessa: la serie A, che è stato il torneo più guardato nel mondo, sta perdendo terreno rispetto agli altri campionati. Noi incassiamo 1,5 miliardi, la Premier 3,5. Oggi con i broadcaster che trasmettono via internet si aprono un sacco di possibilità. La domanda è: come possiamo far crescere a livello mondiale la serie A? Ci sono 7 miliardi di persone che, in media, guardano la tv tre ore al giorno. Come conquistiamo il loro tempo? Dobbiamo competere con gli altri sport e poi, all’interno del calcio, con gli altri campionati. Non è facile, servono professionisti».

La risposta sono i fondi?
«Dobbiamo far sì che la Lega figli una società commerciale responsabile dei diritti tv. Poi abbiamo due strade: fare tutto in casa, ma non abbiamo la gente e i contatti internazionali. Oppure ci scegliamo un socio che ci dia un’accelerata, ci porti competenze di governance, manageriali e internazionali».

I presidenti accetteranno?
«Sto ai fatti. L’assemblea di Lega a maggioranza ha dato mandato al presidente di scegliere un advisor finanziario e di presentarsi con proposte vincolanti. Direi che la maggioranza condivide».

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