Evitate, per favore di parlare di cose che non conoscete.
La "peer review" (revisione fra pari) è un metodo di controllo interno alla comunità scientifica finalizzato ad assicurare uno standard di trasparenza, qualità e credibilità delle ricerche. Viene applicato da circa 300 anni. Le principali riviste scientifiche come The Lancet, Nature o PLOS adottano questo criterio da sempre. Il processo di peer review prevede che una ricerca pubblichi i propri risultati dopo che altri esperti riconosciuti in materia abbiano avuto pieno accesso ai dati e alla metodologia seguita, senza conoscere nome e istituto di appartenenza degli autori, e non abbiano riscontrato violazioni che possano inficiare la validità della ricerca stessa. Esistono regole rigidissime (ad esempio, non si può essere revisori di un articolo il cui autore ha pubblicato qualsiasi cosa in collaborazione con il revisore in un lasso di tempo che è di 3-5 anni). Posso anche assicurarvi per esperienza diretta, che esiste una competizione così esagerata tra gruppi che ogni pretesto è buono per "segare" un lavoro altrui, perciò tutto quello che viene pubblicato è stato ampiamente e profondamente analizzato da terze parti competenti.
Ad esempio, non si ha traccia di alcuna ricerca attestante un nesso tra vaccini e autismo che abbia mai superato la peer review.
Da ricercatore, mi da molto fastidio che si metta in dubbio tutto questo con lo scopo di "insinuare dubbi" sulla validità dell'operato dei ricercatori scientifici.
Beh, sì e no. Senza entrare nel merito della questione di cui si parla nella discussione, esaltare la "peer review" come garanzia totale sulla imparzialità degli studi scientifici mi sembra esagerato. Da ricercatore, mi è capitato (come immagino anche a te) di ricevere - e talvolta di eseguire - una revisione di un mio - o di un altrui - lavoro.
La revisione "cieca" (senza che i revisori conoscano gli autori, e vice versa) non è applicata da tutte le riviste. In alcuni casi la rivista chiede all'autore stesso di indicare possibili revisori. Questo accade ad esempio se la rivista copre un ampio spettro di tematiche, e se l'oggetto dell'articolo richiede al revisore un conoscenza estremamente specialistica.
In aggiunta, con l'aumento della pratica dell'open access (articoli disponibili da subito a tutti gli utenti del web, non solo a quelli che hanno abbonamento - in genere costosissimo e fornito dall'Università - alla rivista) il meccanismo "paga per pubblicare" si diffonde sempre più, e sinceramente non mi sento di escludere che qualche rivista possa pubblicare qualche articolo discutibile per questioni di profitto.
Inoltre, pubblicare è necessario ovunque per fare carriera. Per cui alcuni passaggi potrebbero essere - per così dire - forzati.
Chiudo dicendo che è molto più facile pubblicare risultati che "supportano" una teoria in voga, piuttosto che risultati nulli.
Ripeto, non voglio fare lo spocchioso, tu sa sicuramente meglio di me come funziona. Ho scritto questo intervento perché spesso si tirano in ballo "gli articoli scientifici". Questi sono prodotti della mente umana, che sottostanno però allo spirito del tempo. Se un articolo è pubblicato non è necessariamente ottimo, e se un articolo non viene pubblicato non è necessariamente fuffa. Purtroppo, gli articoli scientifici vanno letti, uno per uno, e interpretati. Un ricercatore sa se un articolo è "buono", una persona normale fa più fatica, specie se l'articolo è "raccontato" da un giornale/rivista non specializzato.