Maignan:"Ora nuove sfide. Le mie partite top. Il modello...".

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NUOVA STAGIONE – «Mai preoccupato. Ci saranno nuove sfide, nuove prove, ed è proprio questo che amo»

PARTITA IN CUI SI È SENTITO MAGICO – «Ogni volta che entro in campo, è magico. Tutto lo stadio, tutto il popolo rossonero alle spalle, la magia si crea naturalmente. E poi, il contesto di alcune partite rende la cosa ancora più speciale. Penso a due partite in particolare. La scorsa stagione, quella giocata in casa contro la Fiorentina. Eravamo vicini allo scudetto, ma non l’avevamo ancora in pugno e quella gara si preannunciava difficile. I tifosi hanno scortato l’autobus, l’entusiasmo era incredibile, ho sentito tutto lo stadio spingere dietro di me, ci ha dato le ali, ci sentivamo invincibili. L’altra partita è stata l’andata contro il Napoli in questa stagione di Champions League. Si poteva sentire che il Milan è la Champions League e che San Siro vive per quei momenti»

DA BAMBINO – «Sono sempre stato diverso, in anticipo rispetto alla mia generazione, e questo grazie alla mia mentalità, che mi dava un vantaggio sugli altri. Non ho mai seguito gli altri, ho sempre cercato di pensare con la mia testa»

MENTALITÀ – «Fin da piccolo pensavo, anche con le spalle al muro o di fronte a difficoltà: “Non sono morto, non sono morto!”. Così, grazie a Dio, diventavo sempre più maturo».


PAPÀ – «Sono il Numero Uno, papà è il più forte!»

PORTIERE SIN DA PICCOLO? – «Ho iniziato a giocare a calcio all’età di 6-7 anni. Ero attaccante o numero 10, non volevo andare in porta… Sono finito lì per caso. Così, da ragazzino mi alternavo tra il ruolo di portiere e quello di giocatore di campo. All’età di 12-13 anni mi fu offerta l’opportunità di sostenere dei test a Clairefontaine, l’accademia nazionale del calcio francese. L’allenatore che mi accompagnò al provino mi lanciò una sfida: “Se arrivi all’ultimo turno di selezione, resterai portiere”. Sfortunatamente o fortunatamente, è quello che è successo! All’epoca mi seguiva il Psg, e questo mi convinse a restare in porta. Ma ho mantenuto quel desiderio di giocare più avanti, di partecipare al gioco»

SE NON FOSSE PORTIERE – «Attaccante, numero 9!»

MODELLO – «Da bambino guardavo Edwin van Der Sar. Ma presto mi sono convinto che dovevo essere io il mio modello»

TRE AGGETTIVI PER DEFINIRSI – «Meticoloso, protettivo e autoironico»


COLLEGA PREFERITO – «Per i miei colleghi provo molto rispetto. In particolare per Manuel Neuer e per il contributo che ha apportato al nostro ruolo di portiere»

GESTORE DALLA DIFESA – «Per me è importante andare oltre la mia funzione, il mio ruolo non si limita alla mia area di rigore, parlo molto con i miei compagni di squadra per prevedere le mosse dell’avversario. Ho sempre avuto questa mentalità perché parto dal presupposto che sia benefica per la squadra. Se faccio una buona partita, ma la squadra perde, non sarò mai soddisfatto»

INFANZIA – «Ho avuto un’infanzia fantastica perché anche se non avevamo molto, mia madre ha sempre fatto tutto il possibile affinché non ci mancasse nulla. Ci ha educati bene. Inoltre, c’era anche “la strada”, che è stata parte integrante della mia giovinezza. Mi sono confrontato con molte esperienze e prove, che mi hanno plasmato e mi aiutano ancora oggi»

C’È QUALCOSA DI LUI CHE PIOLI HA RECEPITO E MESSO IN PRATICA? – «È una questione tra me e lui» (sorride)

SAN SIRO DALLA PORTA – «È come entrare in un’arena di gladiatori. Siamo galvanizzati dagli spettatori e pronti a combattere»


MILANO – «Non vivo molto la vita notturna della città, ma mi piace Milano e le good vibes della mia casa milanese»
 

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NUOVA STAGIONE – «Mai preoccupato. Ci saranno nuove sfide, nuove prove, ed è proprio questo che amo»

PARTITA IN CUI SI È SENTITO MAGICO – «Ogni volta che entro in campo, è magico. Tutto lo stadio, tutto il popolo rossonero alle spalle, la magia si crea naturalmente. E poi, il contesto di alcune partite rende la cosa ancora più speciale. Penso a due partite in particolare. La scorsa stagione, quella giocata in casa contro la Fiorentina. Eravamo vicini allo scudetto, ma non l’avevamo ancora in pugno e quella gara si preannunciava difficile. I tifosi hanno scortato l’autobus, l’entusiasmo era incredibile, ho sentito tutto lo stadio spingere dietro di me, ci ha dato le ali, ci sentivamo invincibili. L’altra partita è stata l’andata contro il Napoli in questa stagione di Champions League. Si poteva sentire che il Milan è la Champions League e che San Siro vive per quei momenti»

DA BAMBINO – «Sono sempre stato diverso, in anticipo rispetto alla mia generazione, e questo grazie alla mia mentalità, che mi dava un vantaggio sugli altri. Non ho mai seguito gli altri, ho sempre cercato di pensare con la mia testa»

MENTALITÀ – «Fin da piccolo pensavo, anche con le spalle al muro o di fronte a difficoltà: “Non sono morto, non sono morto!”. Così, grazie a Dio, diventavo sempre più maturo».


PAPÀ – «Sono il Numero Uno, papà è il più forte!»

PORTIERE SIN DA PICCOLO? – «Ho iniziato a giocare a calcio all’età di 6-7 anni. Ero attaccante o numero 10, non volevo andare in porta… Sono finito lì per caso. Così, da ragazzino mi alternavo tra il ruolo di portiere e quello di giocatore di campo. All’età di 12-13 anni mi fu offerta l’opportunità di sostenere dei test a Clairefontaine, l’accademia nazionale del calcio francese. L’allenatore che mi accompagnò al provino mi lanciò una sfida: “Se arrivi all’ultimo turno di selezione, resterai portiere”. Sfortunatamente o fortunatamente, è quello che è successo! All’epoca mi seguiva il Psg, e questo mi convinse a restare in porta. Ma ho mantenuto quel desiderio di giocare più avanti, di partecipare al gioco»

SE NON FOSSE PORTIERE – «Attaccante, numero 9!»

MODELLO – «Da bambino guardavo Edwin van Der Sar. Ma presto mi sono convinto che dovevo essere io il mio modello»

TRE AGGETTIVI PER DEFINIRSI – «Meticoloso, protettivo e autoironico»


COLLEGA PREFERITO – «Per i miei colleghi provo molto rispetto. In particolare per Manuel Neuer e per il contributo che ha apportato al nostro ruolo di portiere»

GESTORE DALLA DIFESA – «Per me è importante andare oltre la mia funzione, il mio ruolo non si limita alla mia area di rigore, parlo molto con i miei compagni di squadra per prevedere le mosse dell’avversario. Ho sempre avuto questa mentalità perché parto dal presupposto che sia benefica per la squadra. Se faccio una buona partita, ma la squadra perde, non sarò mai soddisfatto»

INFANZIA – «Ho avuto un’infanzia fantastica perché anche se non avevamo molto, mia madre ha sempre fatto tutto il possibile affinché non ci mancasse nulla. Ci ha educati bene. Inoltre, c’era anche “la strada”, che è stata parte integrante della mia giovinezza. Mi sono confrontato con molte esperienze e prove, che mi hanno plasmato e mi aiutano ancora oggi»

C’È QUALCOSA DI LUI CHE PIOLI HA RECEPITO E MESSO IN PRATICA? – «È una questione tra me e lui» (sorride)

SAN SIRO DALLA PORTA – «È come entrare in un’arena di gladiatori. Siamo galvanizzati dagli spettatori e pronti a combattere»


MILANO – «Non vivo molto la vita notturna della città, ma mi piace Milano e le good vibes della mia casa milanese»
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NUOVA STAGIONE – «Mai preoccupato. Ci saranno nuove sfide, nuove prove, ed è proprio questo che amo»

PARTITA IN CUI SI È SENTITO MAGICO – «Ogni volta che entro in campo, è magico. Tutto lo stadio, tutto il popolo rossonero alle spalle, la magia si crea naturalmente. E poi, il contesto di alcune partite rende la cosa ancora più speciale. Penso a due partite in particolare. La scorsa stagione, quella giocata in casa contro la Fiorentina. Eravamo vicini allo scudetto, ma non l’avevamo ancora in pugno e quella gara si preannunciava difficile. I tifosi hanno scortato l’autobus, l’entusiasmo era incredibile, ho sentito tutto lo stadio spingere dietro di me, ci ha dato le ali, ci sentivamo invincibili. L’altra partita è stata l’andata contro il Napoli in questa stagione di Champions League. Si poteva sentire che il Milan è la Champions League e che San Siro vive per quei momenti»

DA BAMBINO – «Sono sempre stato diverso, in anticipo rispetto alla mia generazione, e questo grazie alla mia mentalità, che mi dava un vantaggio sugli altri. Non ho mai seguito gli altri, ho sempre cercato di pensare con la mia testa»

MENTALITÀ – «Fin da piccolo pensavo, anche con le spalle al muro o di fronte a difficoltà: “Non sono morto, non sono morto!”. Così, grazie a Dio, diventavo sempre più maturo».


PAPÀ – «Sono il Numero Uno, papà è il più forte!»

PORTIERE SIN DA PICCOLO? – «Ho iniziato a giocare a calcio all’età di 6-7 anni. Ero attaccante o numero 10, non volevo andare in porta… Sono finito lì per caso. Così, da ragazzino mi alternavo tra il ruolo di portiere e quello di giocatore di campo. All’età di 12-13 anni mi fu offerta l’opportunità di sostenere dei test a Clairefontaine, l’accademia nazionale del calcio francese. L’allenatore che mi accompagnò al provino mi lanciò una sfida: “Se arrivi all’ultimo turno di selezione, resterai portiere”. Sfortunatamente o fortunatamente, è quello che è successo! All’epoca mi seguiva il Psg, e questo mi convinse a restare in porta. Ma ho mantenuto quel desiderio di giocare più avanti, di partecipare al gioco»

SE NON FOSSE PORTIERE – «Attaccante, numero 9!»

MODELLO – «Da bambino guardavo Edwin van Der Sar. Ma presto mi sono convinto che dovevo essere io il mio modello»

TRE AGGETTIVI PER DEFINIRSI – «Meticoloso, protettivo e autoironico»


COLLEGA PREFERITO – «Per i miei colleghi provo molto rispetto. In particolare per Manuel Neuer e per il contributo che ha apportato al nostro ruolo di portiere»

GESTORE DALLA DIFESA – «Per me è importante andare oltre la mia funzione, il mio ruolo non si limita alla mia area di rigore, parlo molto con i miei compagni di squadra per prevedere le mosse dell’avversario. Ho sempre avuto questa mentalità perché parto dal presupposto che sia benefica per la squadra. Se faccio una buona partita, ma la squadra perde, non sarò mai soddisfatto»

INFANZIA – «Ho avuto un’infanzia fantastica perché anche se non avevamo molto, mia madre ha sempre fatto tutto il possibile affinché non ci mancasse nulla. Ci ha educati bene. Inoltre, c’era anche “la strada”, che è stata parte integrante della mia giovinezza. Mi sono confrontato con molte esperienze e prove, che mi hanno plasmato e mi aiutano ancora oggi»

C’È QUALCOSA DI LUI CHE PIOLI HA RECEPITO E MESSO IN PRATICA? – «È una questione tra me e lui» (sorride)

SAN SIRO DALLA PORTA – «È come entrare in un’arena di gladiatori. Siamo galvanizzati dagli spettatori e pronti a combattere»


MILANO – «Non vivo molto la vita notturna della città, ma mi piace Milano e le good vibes della mia casa milanese»
glielo farei un provino da attaccante, tanto ora abbiamo il buon sportiello
 

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NUOVA STAGIONE – «Mai preoccupato. Ci saranno nuove sfide, nuove prove, ed è proprio questo che amo»

PARTITA IN CUI SI È SENTITO MAGICO – «Ogni volta che entro in campo, è magico. Tutto lo stadio, tutto il popolo rossonero alle spalle, la magia si crea naturalmente. E poi, il contesto di alcune partite rende la cosa ancora più speciale. Penso a due partite in particolare. La scorsa stagione, quella giocata in casa contro la Fiorentina. Eravamo vicini allo scudetto, ma non l’avevamo ancora in pugno e quella gara si preannunciava difficile. I tifosi hanno scortato l’autobus, l’entusiasmo era incredibile, ho sentito tutto lo stadio spingere dietro di me, ci ha dato le ali, ci sentivamo invincibili. L’altra partita è stata l’andata contro il Napoli in questa stagione di Champions League. Si poteva sentire che il Milan è la Champions League e che San Siro vive per quei momenti»

DA BAMBINO – «Sono sempre stato diverso, in anticipo rispetto alla mia generazione, e questo grazie alla mia mentalità, che mi dava un vantaggio sugli altri. Non ho mai seguito gli altri, ho sempre cercato di pensare con la mia testa»

MENTALITÀ – «Fin da piccolo pensavo, anche con le spalle al muro o di fronte a difficoltà: “Non sono morto, non sono morto!”. Così, grazie a Dio, diventavo sempre più maturo».


PAPÀ – «Sono il Numero Uno, papà è il più forte!»

PORTIERE SIN DA PICCOLO? – «Ho iniziato a giocare a calcio all’età di 6-7 anni. Ero attaccante o numero 10, non volevo andare in porta… Sono finito lì per caso. Così, da ragazzino mi alternavo tra il ruolo di portiere e quello di giocatore di campo. All’età di 12-13 anni mi fu offerta l’opportunità di sostenere dei test a Clairefontaine, l’accademia nazionale del calcio francese. L’allenatore che mi accompagnò al provino mi lanciò una sfida: “Se arrivi all’ultimo turno di selezione, resterai portiere”. Sfortunatamente o fortunatamente, è quello che è successo! All’epoca mi seguiva il Psg, e questo mi convinse a restare in porta. Ma ho mantenuto quel desiderio di giocare più avanti, di partecipare al gioco»

SE NON FOSSE PORTIERE – «Attaccante, numero 9!»

MODELLO – «Da bambino guardavo Edwin van Der Sar. Ma presto mi sono convinto che dovevo essere io il mio modello»

TRE AGGETTIVI PER DEFINIRSI – «Meticoloso, protettivo e autoironico»


COLLEGA PREFERITO – «Per i miei colleghi provo molto rispetto. In particolare per Manuel Neuer e per il contributo che ha apportato al nostro ruolo di portiere»

GESTORE DALLA DIFESA – «Per me è importante andare oltre la mia funzione, il mio ruolo non si limita alla mia area di rigore, parlo molto con i miei compagni di squadra per prevedere le mosse dell’avversario. Ho sempre avuto questa mentalità perché parto dal presupposto che sia benefica per la squadra. Se faccio una buona partita, ma la squadra perde, non sarò mai soddisfatto»

INFANZIA – «Ho avuto un’infanzia fantastica perché anche se non avevamo molto, mia madre ha sempre fatto tutto il possibile affinché non ci mancasse nulla. Ci ha educati bene. Inoltre, c’era anche “la strada”, che è stata parte integrante della mia giovinezza. Mi sono confrontato con molte esperienze e prove, che mi hanno plasmato e mi aiutano ancora oggi»

C’È QUALCOSA DI LUI CHE PIOLI HA RECEPITO E MESSO IN PRATICA? – «È una questione tra me e lui» (sorride)

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