Il presidente federale, Tavecchio, ha parlato del futuro di Milan e Inter. Ecco le dichiarazioni:"Non possiamo perdere Milano. Milan e Inter devono tornare in scena. I cinesi? Gli investimenti, se sono onesti, sono i benvenuti. Ma dobbiamo smetterla di dire che arrivano gli stranieri. Chi c'è negli altri paesi?".
Questa della nazionalità della proprietà, correlata ad una idea di partecipazione emotiva, tifosa, dell'investitore nel club è parsa sempre una deformazione inaccettabile dei minimi principi di gestione economica dei clubs di calcio, ovvero indotta dalla falsa persuasione che questi ultimi fossero delle semplici discariche finanziarie ove poter gettare capitali indiscriminatamente, in nome della competitività sportiva, senza avere riguardo a nozioni come continuità aziendale, equilibrio di bilancio, sostenibilità finanziaria, consistenza patrimoniale. Ciò senza dubbio suscitato per decenni, al di là della relativa opacità delle condotte dei proprietari, non a caso definiti in passato ricchi scemi, dall'indotto del sistema legato al calcio, in termini di riconoscimento sociale, potere politico, visibilità mediatica, che spingeva quella malsana condotta, e da una legislazione interna, fiscale, civilistica e societaria, che non ha scoraggiato ingegnose pratiche elusive di scarico fiscale di economie, e diseconomie, delle attività imprenditoriali dei singoli proprietari. La manna dei diritti televisivi, poi, è solo servita ad alimentare questo meccanismo malsano di spesa, più che calmierare i costi di gestione, e renderli sostenibili. Poi, è arrivata l'Europa, si sarebbe detto altrove, in questo caso l'UEFA, che ha introdotto principi, come quello del Fair Play Finanziario e del market pool dei diritti televisivi sulle rispettive competizioni, che hanno ancorato sia il diritto alla partecipazione a quelle competizioni, che il beneficio della partecipazione al ricchissimo plafond dei diritti televisivi, a criteri di stabilità patrimoniale, economica e finanziaria molto rigidi, sovvertendo il quadro del meccanismo finanziario, ormai degenerato e corrotto, delle squadre di calcio. Queste ormai sono e devono essere organizzate come imprese con core business nell'evento sportivo, che debbono puntare al pareggio di bilancio, ed infine generare utili da riciclare nel ciclo economico del club, debbono avere stabilità patrimoniale nello stadio proprietario, in un sistema commerciale che sfrutti e tuteli i marchi del club, debbono avere soglie di sostenibilità dell'indebitamento finanziario che controllino il volano esponenziale degli interessi sul debito, che correlino gli investimenti ad un piano industriale credibile e certificato da audit confrontabili, che abbiano un radicamento sociale diffuso per promuovere il messaggio dello sport ad un maggior numero possibile di destinatari, per generare altri flussi di cassa, e così via. E tutto questo richiede, anzi impone, una platea di investitori ed una classe di management molto diversa da quella del passato, preparata, professionale, di base sganciata dal titolo proprietario, che risponda tuttavia alla proprietà ed alle autorità regolatorie secondo principi di responsabilità ed efficienza. Che sia italiana, straniera, bianca, nera, blu, di destra o di sinistra, mediatica o introversa, come si intende, diventa a questo punto poco significativo.