So che è un po' lungo, ma per chi l'ha vissuto per intero e (soprattutto) per chi non c’era: breve storia di trent’anni di Silvio Berlusconi
Eh sì, perché adesso lo vediamo solamente come un vecchio malato di cuore che ha apposto quella firma, quella decisiva per liberarci di lui (o meglio, per cominciare a liberarci di lui) ma Silvio Berlusconi è stato uno dei più controversi ed incredibili personaggi della storia del calcio, la cui carriera ha attraversato tre precise fasi, cui sono legati i destini del Milan.
Prima fase, 1986-1994: la rivoluzione
So che è impossibile, ma ci proverò, proverò a spiegarvi cosa è stato Silvio Berlusconi negli anni ’80. Più che i numeri enormi delle vittorie di quegli anni, infatti, era grande la sensazione di trovarsi davanti ad una sorta di Re Mida, capace di trasformare tutto quel che trovava in oro, oltre che di gestire capitali mostruosi.
Mai si era visto un flusso di capitali così ingenti come quelli che transitavano dalle mani di Silvio Berlusconi (e dalle casse del Milan) in quegli anni. Ogni tifoso del Milan aveva l’idea di essere tifoso di una squadra di veri fighi, capace di far sembrare l’avvocato Agnelli un vecchio che non sapeva dove portare l’orologio o Pellegrini un piccolo imprenditore sfigato. Dino Viola? Un sincero appassionato di calcio senza un quattrino. Ferlaino? Se paragonato a Berlusconi era un presidentuncolo schiavo di Maradona. Il Milan in quegli anni era LA squadra, quella davanti a tutti in tutto: aveva un’organizzazione societaria che veniva dal mondo dell’imprenditoria, sapeva essere sempre un passo avanti rispetto agli altri (le tournèe all’estero, le amichevoli in diretta TV, gli acquisti giocatori che oggi verrebbero definiti galacticos), sembrava essere parte di un meccanismo perfettamente funzionale a garantirne le vittorie per anni ed anni. In particolare innovativa era la sinergia calcio-TV: il Milan veniva concepita come squadra prettamente televisiva, da vedere sul divano con gli amici prima ancora che allo stadio. Del resto San Siro può contenere 80.000 persone, davanti alla TV possiamo starci tutti, possiamo trovarci con gli amici a guardarci un breve spot di cinque secondi, ovviamente davanti a Canale 5.
Questo periodo finisce nel 1994, quando (anche grazie al Milan) Berlusconi vince le elezioni, diventando per la prima volta presidente del consiglio; da lì in poi nulla sarebbe stato più come prima.
Seconda fase, 1994-2009: il mantenimento
Non si può essere vergini due volte, come non si può essere rivoluzionari due volte, ed il Berlusconi che nel ’94 si presenta agli elettori è (anche) uno dei più grandi rivoluzionari che calcio e TV abbiano mai conosciuto. Dopo la vittoria delle elezioni sostanzialmente lascia la guida del Milan in mano a Galliani: il processo non è immediato, ma graduale ed innegabile. Quando un’azienda è ben avviata, può farcela anche senza chi l’ha fondata: a me è capitato di vedere aziende nelle quali il fondatore non c’è più (perché morto o perché va in ufficio un giorno a settimana, negli altri si gode i soldi), capaci di andare avanti bene. Il Milan dalla stagione 94/95 è orfano di Silvio Berlusconi, che dall’estate del ’94 in poi ricoprirà un ruolo sempre più marginale nelle sorti della squadra rossonera. Negli anni cambierà, diventando sempre più defilato ed acido, non esponendosi più in prima persona nella scelta degli allenatori (neanche in quella di Ancelotti, teoricamente a botta sicura, essendo un figlioccio di quel Sacchi che Berlusconi tanto aveva voluto) quanto piuttosto riservando loro stoccate quando i risultati o il “giuoco” non erano all’altezza delle sue richieste. Del resto non c’è da stupirsi: Berlusconi è troppo concentrato sulla carriera politica, nella quale deve dimostrarsi infallibile, a costo di essere ridicolo, per cui si riserva il ruolo di “bacchettatore” di decisioni prese (solo apparentemente) da qualcun altro, quando poi anche i muri sanno che al Milan non si muove foglia che Berlusconi non voglia.
I risultati: continuano ad arrivare, anche se non sono più quelli di prima. Inoltre, se nei primi otto anni di presidenza Berlusconi gli acquisti erano dispendiosi ma tutto sommato centrati, in questo quindicennio si nota un progressivo aumento dei giocatori presi quasi per caso, senza un reale disegno dietro agli acquisti.
E così capita che si acquisti Roberto Baggio senza averne un reale bisogno (anzi, del quale Capello avrebbe fatto volentieri a meno) o che arrivino prima Helveg e Bierhoff e solo dopo un allenatore come Zaccheroni, in grado di sfruttare le loro doti. L’inizio del nuovo millennio vede un’accelerazione di questo modus operandi: le sessioni di calciomercato 2001 e 2002 vedono arrivare al Milan un numero sconsiderato di mezze punte e di trequartisti, che solo l’abilità di Ancelotti riuscirà a far convivere in maniera vincente. Ma gli anni passano e la situazione è destinata a peggiorare: l’estate del 2006 non è solo quella di Calciopoli ma soprattutto quella della vendita di Shevchenko: mai il Milan in vent’anni di Berlusconi aveva visto partire il suo più grande campione. Arriverà poi, inaspettata come una nevicata d’agosto, la Champions del 2007, ma è solo l’ultimo sussulto di un gruppo eccezionale, figlia soprattutto delle gesta di Kakà, la cui partenza verso il Real Madrid (nell’estate del 2009) segnerà la fine di questa fase.
Terza fase, 2009-2016: il cupio dissolvi
E’ difficile dire quando quest’ultima fase sia cominciata: secondo alcuni dopo la Champions del 2007, secondo alcuni nel momento in cui è stato venduto Shevchenko, secondo altri nell’estate del 2012. Tutti però sono concordi su un punto: il Milan di Berlusconi è finito. Ed è finito per mancanza di voglia, di lungimiranza, di chiarezza societaria, di strategia imprenditoriale, prima ancora che per mancanza di soldi. In sostanza è finito perché ha negato tutto ciò che era una ventina di anni prima. Dall’estate del 2009 il Milan non c’è più stato. Ogni tanto Galliani ha avuto delle buone illuminazioni, aiutato spesso da particolari situazioni di mercato (il colpo-Ibra, l’arrivo di Van Bommel o l’acquisto di Buonaventura) affogate, però, in un mare di giganteschi errori. E’ la continua approssimazione il vero motivo conduttore del Milan negli ultimi sette anni di gestione Berlusconi, il quale si fa vedere sempre meno, usando sempre di più la squadra a scopi elettorali. Quando anche gli elettori incominciano a voltargli le spalle, da dopo il 2013, si capisce chiaramente quanto il Milan sia diventato per lui un fastidio. A questo si aggiungono i problemi societari, con le continue liti Barbara-Galliani, probabilmente nate mentre l’A.D. cercava di vendere Pato al PSG (il momento in cui il Milan ha perso il campionato 2011/2012) e proseguite fino alle dimissioni farsa del pelato nel Dicembre 2013. Tutti i tifosi milanisti speravano in una fine diversa, ma probabilmente dentro di loro sapevano che sarebbe finita così, perché non c’era altro modo. E anche ora che Berlusconi ormai ha firmato, vicino alla gioia per la “liberazione” qualcuno ha la sinistra paura di un colpo di coda finale da parte della sua corte dei miracoli, capace di fare saltare tutto o, quantomeno, di farci venire il sangue amaro.