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Ecco l'intervista completa di Ibra. Lo svedese parla del suo passato al Milan e del suo possibile ritorno, riaprendo una ferita mai rimarginata nel popolo rossonero.
Quanto è importante per lei arrivare a giocare l’Europeo?
«Io voglio esserci, devo esserci. Darei e farei di tutto per arrivarci. Dobbiamo crederci fino alla fine».
Anni fa aveva detto: «Non voglio giocare quando sarò troppo vecchio». Ora ha 34 anni, il suo contratto con il Paris Sain Germain è in scadenza. Che cosa farà?
«Tutto può succedere. Mi sento bene e gioco bene. Poi fra uno o sei mesi non so. Per adesso sono in forma, e finché sento che posso dare qualcosa in campo continuerò a giocare».
E la nazionale? Con la Danimarca potrebbe essere la sua ultima partita?
«Non credo. Il mio corpo è come una macchina: più cammina, meglio funziona. La mia età non mi dice di smettere».
Infatti, raffreddore a parte, sembra in grande forma.
«Sì, sto bene. Abbiamo perso con il Real Madrid e quindi non possiamo essere contenti. Ma abbiamo giocato bene. Riesco ancora a dominare, mi sento forte, devo soltanto continuare così».
Qual è il suo ruolo nello spogliatoio del Psg?
«Mi sento parte di questo progetto fin dall’inizio. Per chi arriva adesso è tutto più facile: con il massimo rispetto per il club, io sono venuto quando ancora tante cose non funzionavano. Abbiamo costruito insieme una grande squadra».
Quindi si sente un leader?
«Non importa che cosa dicono o scrivono. Nel Psg c’è solo un capo».
Zlatan Ibrahimovic?
«Esatto, naturalmente»
Allora non ha mai pensato di lasciare la Francia per tornare in Italia?+
«L’estate scorsa c’è stata un’offerta concreta del Milan. Se io avessi detto sì, avremmo fatto l’affare. Ma non siamo mai arrivati fino a quel punto, non era quello che volevo. Però ero grato al Milan (sorride quando parla dei rossoneri,
ndr). Per me è il club più grande in cui abbia mai giocato. E io ho giocato in tanti club importanti. Ma il Milan non ha paragoni: come lavorano, l’organizzazione... E poi che squadra fantastica avevamo».
Le manca Milano?
«San Siro, la città, la gente, la lingua: ho ricordi bellissimi. L’ho sempre detto: l’Italia è la mia seconda casa. Mi sono trovato molto bene lì. E fosse stato per me non avrei lasciato il Milan».
Di chi fu la colpa allora?
«È un capitolo chiuso: è andata come è andata. Ora ho altri obiettivi, nel calcio e nella vita».
Tornerà mai in Italia?
«Come ho detto, è la mia seconda casa. È il posto dove sono diventato famoso, con la Juventus. All’Ajax non ero ancora una stella internazionale. In bianconero è cambiato tutto: il mondo ha aperto gli occhi e mi ha visto. A parte l’anno al Barcellona, ho giocato e vissuto in Italia dal 2004 al 2012. Ho vinto il campionato con i tre club più grandi, Juventus, Inter, Milan. Sono diventato capocannoniere, sono stato scelto come miglior giocatore. Per me quello resta il campionato migliore del mondo. E anche il più difficile per un attaccante, perché si pensa prima a non prendere gol, che a farli. In ogni caso il vostro Paese resterà nel mio cuore».
In Italia è cresciuto tanto, ma la personalità non le è mai mancata. Qual è il suo segreto?
«Un po’ è carattere, un po’ il risultato di un’infanzia difficile. Quando ero piccolo ho dovuto essere dieci volte più bravo degli altri. Nessuno mi ha mai regalato nulla. Anche gli anni alla Juve sono stati importanti: c’erano grandi campioni come Del Piero e Trezeguet. E io mi ripetevo: “Sono come loro”. Ho sempre voluto essere in prima fila, stare all’ombra degli altri non mi è mai piaciuto. Posso dire di avercela fatta».
Dicono che il suo futuro potrebbe essere negli Stati Uniti. Ma non è presto per lasciare l’Europa?
«Tutto quello che è fuori dal mondo del calcio mi interessa di più rispetto al passato: prima ricevevo proposte e le scartavo senza pensarci, presto ci saranno altri e nuovi progetti. Ma per adesso il pallone resta la cosa più importante: prendo le mie scelte da calciatore».
Ma gli Usa la attirano?
«Mi attira tutto. Ma ci deve essere un progetto serio dall’altra parte. Ho le mie idee, so cosa vorrei ma bisogna essere in due».
Nessuna offerta concreta, dunque?
«Ancora no, vedremo».
Si parla anche di un film sulla sua vita. Sarà lei il protagonista?
«Stiamo discutendo, ma è davvero prematuro pensare a chi interpreterà il mio ruolo».
In passato aveva detto: «Ho paura di svegliarmi un giorno e non sapere che cosa fare». A 34 anni, però, le idee per il futuro non le mancano certo...
«È necessario per un calciatore. Per 15 anni ogni giorno ti alzi, vai ad allenarti, ti riposi, poi giochi le partite. Sempre lo stesso. Svegliarsi senza sapere che cosa fare, dove andare, sarebbe molto duro. Per questo mi piace avere dei progetti».
Fra questi considera anche l’ipotesi di tornare a vivere in Svezia?
«Non lo so, sono partito tanti anni fa. Dovrei trovare un posto dove vivere come piace a me. Forse Stoccolma, chi lo sa. Comunque non lo escludo, dipende anche dalla mia famiglia».
Quanto contano gli affetti personali nella sua vita?
«Sono tutto: io vengo dopo di loro, sto bene solo se loro stanno bene. Poi se posso aiutare anche gli altri sono contento: ho fatto e farò beneficenza, non per apparire sui giornali ma perché so di poter trasmettere un messaggio con il mio ruolo. Ma so anche che da solo non posso salvare il mondo. La mia responsabilità più grande è verso la mia famiglia».
I suoi figli giocano nelle giovanili del Psg. Magari un giorno potrebbero essere il futuro del calcio svedese...
«Adesso non ci pensiamo: fanno anche altri sport, sono iscritti lì solamente per imparare il gioco di squadra, per fare vita di gruppo. Nessuno li obbliga ad arrivare in alto: non devono avere pressioni, l’importante è che siano felici».
Il decimo Pallone d’oro svedese è un traguardo importante. Guardandosi indietro, ha dei rimpianti?
«Non mi pento di nulla, credo nel destino: tutte le cose succedono per un motivo».
Quindi è felice della sua vita?
«Sì, ma non mi accontento mai. Il giorno in cui dirò che sono contento sarà quando avrò smesso di giocare a calcio, perché vorrà dire che non avrò più obiettivi da raggiungere. E allora vi inviterò nel mio museo»
Zlatan Ibrahimovic, che ha appena vinto il decimo pallone d'oro svedese, ha parlato in esclusiva alla Gazzetta dello Sport. Ecco le parole dell'attaccante del Psg riportate sulle prima pagina della rosea:"Il Milan è il top. Ed io potevo tornare. L'offerta rossonera c'era stata. L'amore per l'Italia è nel mio sangue: è il campionato più bello del mondo".
Seguirà l'intervista completa
Quanto è importante per lei arrivare a giocare l’Europeo?
«Io voglio esserci, devo esserci. Darei e farei di tutto per arrivarci. Dobbiamo crederci fino alla fine».
Anni fa aveva detto: «Non voglio giocare quando sarò troppo vecchio». Ora ha 34 anni, il suo contratto con il Paris Sain Germain è in scadenza. Che cosa farà?
«Tutto può succedere. Mi sento bene e gioco bene. Poi fra uno o sei mesi non so. Per adesso sono in forma, e finché sento che posso dare qualcosa in campo continuerò a giocare».
E la nazionale? Con la Danimarca potrebbe essere la sua ultima partita?
«Non credo. Il mio corpo è come una macchina: più cammina, meglio funziona. La mia età non mi dice di smettere».
Infatti, raffreddore a parte, sembra in grande forma.
«Sì, sto bene. Abbiamo perso con il Real Madrid e quindi non possiamo essere contenti. Ma abbiamo giocato bene. Riesco ancora a dominare, mi sento forte, devo soltanto continuare così».
Qual è il suo ruolo nello spogliatoio del Psg?
«Mi sento parte di questo progetto fin dall’inizio. Per chi arriva adesso è tutto più facile: con il massimo rispetto per il club, io sono venuto quando ancora tante cose non funzionavano. Abbiamo costruito insieme una grande squadra».
Quindi si sente un leader?
«Non importa che cosa dicono o scrivono. Nel Psg c’è solo un capo».
Zlatan Ibrahimovic?
«Esatto, naturalmente»
Allora non ha mai pensato di lasciare la Francia per tornare in Italia?+
«L’estate scorsa c’è stata un’offerta concreta del Milan. Se io avessi detto sì, avremmo fatto l’affare. Ma non siamo mai arrivati fino a quel punto, non era quello che volevo. Però ero grato al Milan (sorride quando parla dei rossoneri,
ndr). Per me è il club più grande in cui abbia mai giocato. E io ho giocato in tanti club importanti. Ma il Milan non ha paragoni: come lavorano, l’organizzazione... E poi che squadra fantastica avevamo».
Le manca Milano?
«San Siro, la città, la gente, la lingua: ho ricordi bellissimi. L’ho sempre detto: l’Italia è la mia seconda casa. Mi sono trovato molto bene lì. E fosse stato per me non avrei lasciato il Milan».
Di chi fu la colpa allora?
«È un capitolo chiuso: è andata come è andata. Ora ho altri obiettivi, nel calcio e nella vita».
Tornerà mai in Italia?
«Come ho detto, è la mia seconda casa. È il posto dove sono diventato famoso, con la Juventus. All’Ajax non ero ancora una stella internazionale. In bianconero è cambiato tutto: il mondo ha aperto gli occhi e mi ha visto. A parte l’anno al Barcellona, ho giocato e vissuto in Italia dal 2004 al 2012. Ho vinto il campionato con i tre club più grandi, Juventus, Inter, Milan. Sono diventato capocannoniere, sono stato scelto come miglior giocatore. Per me quello resta il campionato migliore del mondo. E anche il più difficile per un attaccante, perché si pensa prima a non prendere gol, che a farli. In ogni caso il vostro Paese resterà nel mio cuore».
In Italia è cresciuto tanto, ma la personalità non le è mai mancata. Qual è il suo segreto?
«Un po’ è carattere, un po’ il risultato di un’infanzia difficile. Quando ero piccolo ho dovuto essere dieci volte più bravo degli altri. Nessuno mi ha mai regalato nulla. Anche gli anni alla Juve sono stati importanti: c’erano grandi campioni come Del Piero e Trezeguet. E io mi ripetevo: “Sono come loro”. Ho sempre voluto essere in prima fila, stare all’ombra degli altri non mi è mai piaciuto. Posso dire di avercela fatta».
Dicono che il suo futuro potrebbe essere negli Stati Uniti. Ma non è presto per lasciare l’Europa?
«Tutto quello che è fuori dal mondo del calcio mi interessa di più rispetto al passato: prima ricevevo proposte e le scartavo senza pensarci, presto ci saranno altri e nuovi progetti. Ma per adesso il pallone resta la cosa più importante: prendo le mie scelte da calciatore».
Ma gli Usa la attirano?
«Mi attira tutto. Ma ci deve essere un progetto serio dall’altra parte. Ho le mie idee, so cosa vorrei ma bisogna essere in due».
Nessuna offerta concreta, dunque?
«Ancora no, vedremo».
Si parla anche di un film sulla sua vita. Sarà lei il protagonista?
«Stiamo discutendo, ma è davvero prematuro pensare a chi interpreterà il mio ruolo».
In passato aveva detto: «Ho paura di svegliarmi un giorno e non sapere che cosa fare». A 34 anni, però, le idee per il futuro non le mancano certo...
«È necessario per un calciatore. Per 15 anni ogni giorno ti alzi, vai ad allenarti, ti riposi, poi giochi le partite. Sempre lo stesso. Svegliarsi senza sapere che cosa fare, dove andare, sarebbe molto duro. Per questo mi piace avere dei progetti».
Fra questi considera anche l’ipotesi di tornare a vivere in Svezia?
«Non lo so, sono partito tanti anni fa. Dovrei trovare un posto dove vivere come piace a me. Forse Stoccolma, chi lo sa. Comunque non lo escludo, dipende anche dalla mia famiglia».
Quanto contano gli affetti personali nella sua vita?
«Sono tutto: io vengo dopo di loro, sto bene solo se loro stanno bene. Poi se posso aiutare anche gli altri sono contento: ho fatto e farò beneficenza, non per apparire sui giornali ma perché so di poter trasmettere un messaggio con il mio ruolo. Ma so anche che da solo non posso salvare il mondo. La mia responsabilità più grande è verso la mia famiglia».
I suoi figli giocano nelle giovanili del Psg. Magari un giorno potrebbero essere il futuro del calcio svedese...
«Adesso non ci pensiamo: fanno anche altri sport, sono iscritti lì solamente per imparare il gioco di squadra, per fare vita di gruppo. Nessuno li obbliga ad arrivare in alto: non devono avere pressioni, l’importante è che siano felici».
Il decimo Pallone d’oro svedese è un traguardo importante. Guardandosi indietro, ha dei rimpianti?
«Non mi pento di nulla, credo nel destino: tutte le cose succedono per un motivo».
Quindi è felice della sua vita?
«Sì, ma non mi accontento mai. Il giorno in cui dirò che sono contento sarà quando avrò smesso di giocare a calcio, perché vorrà dire che non avrò più obiettivi da raggiungere. E allora vi inviterò nel mio museo»
Zlatan Ibrahimovic, che ha appena vinto il decimo pallone d'oro svedese, ha parlato in esclusiva alla Gazzetta dello Sport. Ecco le parole dell'attaccante del Psg riportate sulle prima pagina della rosea:"Il Milan è il top. Ed io potevo tornare. L'offerta rossonera c'era stata. L'amore per l'Italia è nel mio sangue: è il campionato più bello del mondo".
Seguirà l'intervista completa