L'angolo del libro

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Morto che parla

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Chiedo scusa, qualcuno sa dove posso trovare

"Dream Team" di Jack McCallum, con la prefazione di Buffa, in tempi molto ristretti (mi serve per sabato)?
 

runner

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ragazzi vi consiglio un bel libro abbastanza leggero e scritto molto bene per l' estate o sotto l' ombrellone o in aereo oppure comodi sul dondolo di casa quando volete rilassarvi un po'

"La casa sopra i portici" di Carlo Verdone

un libro con qualche foto della casa di cui parla e alcune belle foto di un ottimo attore e regista Italiano e devo dire lo reputo un libro anche pieno di ritmo (inteso come feeling ed empatia tra chi legge e chi lo ha scritto)
 

Splendidi Incisivi

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Concluso finalmente, dopo tanti e vari impedimenti, "Il Rosso e il Nero". Un romanzo meraviglioso. Da tempo non leggevo Dostoevskij e con il capolavoro di Stendhal ho riprovato di nuovo le emozioni che ho provato leggendo Fedor. Sono due autori molto diversi che però mi sento di accomunare per la sensibilità artistica. Nelle vesti di romanzo psicologico Il Rosso e il Nero credo si possa eguagliare a qualche grande lavoro di Fedor. Diciamo che come autore Dostoevskij è di più ampio respiro nel senso che ha dato vita a tanti capolavori, invece Stendhal esaurisce un po' la sua portata letteraria con Le Rouge et le Noir, non vorrei scadere nell'eresia dicendo questo, però in effetti opere come La certosa di Parma sicuramente non eguagliano il capolavoro totale delle vicende di Julien Sorel. Un'altra critica all'autore francese può essere forse la scarsa filosofia presente nella sua opera, peculiarità che cerco in tutte le mie letture e che viene sublimata splendidamente dal maestro russo, il quale lo si può considerare filosofo nella misura di pensatore critico.
Premesse queste critiche a Stendhal, non c'è niente da dire sul lato psicologico della storia che come ho già avuto modo di dire mi sento di paragonare alla psicologia russa di Fedor, di fatto Nietzsche così come si riferì a Dostoevskij come all'"unico uomo che mi abbia insegnato un po' di psicologia" così si riferisce a Stendhal come all'ultimo dei grandi psicologi francesi.
Credo, da questo punto di vista, che personaggi come Julien Sorel, madame de Renal, Mathilde de la Mole, siano personaggi di una vita straordinaria, mi ricordano ad esempio la Nastaja Filippovna o il Rogozin de L'idiot.a. In tal senso il momento davvero più alto de Il Rosso e il Nero credo lo si raggiunga nei momenti vissuti da Sorel prima con madame de Renal e poi con la signorina de la Mole.
Personaggi quasi irreali da un lato, dall'altro profondamente umani poiché emergono tutte le loro profonde contraddizioni: Julien straordinario nel suo individualismo, struggente nel continuo afflato eroico che sembra volersi volgere contro il mondo intero, almeno così ho avuto modo di leggerlo, di fatto non mi hanno convinto i giudizi letti in passato circa il personaggio, letto invece come un arrivista, in fondo è la stessa accusa che muoverà la signora de Renal nella lettera al marchese de la Mole ma soltanto per gelosia.
Madame de Renal da questo punto di vista si presenta anche lei come un personaggio dilaniato dalle sue contraddizioni, da un lato l'amore(mai realmente provato se non col Sorel, poiché costretta a sposarsi col marito)per Julien, da un alto lato il tipico spirito da bassa borghesia che vuole mantenere il decoro sociale, cosa che non avrebbe mai potuto preservare continuando a nutrire l'amore per Julien.
Infine troviamo la capricciosa, aristocratica ma soprattutto orgogliosa signorina de la Mole, sottolineo l'orgoglio perché, di fatto, "mostro d'orgoglio" viene definita da Julien, un fiume in piena che la porterà a vivere una passione quasi irreale con Julien fatta di allontanamenti e repentini avvicinamenti, una passione che sembrerà realizzarsi soltanto nel breve scorcio tra la sua confessione di essere incinta e la lettera che arriverà a suo padre, il marchese, da parte di madame de Renal.
Dei personaggi tragici, drammatici che mi hanno ricordato, sarò ripetitivo, la tensione psicologica che costantemente si può ritrovare in Dostoevskij. Davvero un capolavoro, un classico per me intramontabile, intramontabile perché si presenta come un capolavoro universale a differenza di tante opere figlie del loro tempo e tutto lo sfondo storico resta appunto tale, resta soltanto uno sfondo sul quale si innestano le vicende dei tre suddetti personaggi.
 
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Splendidi Incisivi

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Dopo la lettura di Stendhal ho deciso di ritornare alla letteratura russa, non con il solito Fedor ma con Gogol.

Come volevasi dimostrare, andando a leggere un autore come Gogol, la lettura dei “Racconti di Pietroburgo” si è rivelata assai positiva. Ovviamente il protagonista assoluto di questi racconti è la Pietroburgo zarista ed è protagonista fin dal primo racconto sulla prospettiva Nevskij.

Il “Nevskij Prospekt” è una delle vie più importanti di Pietroburgo e a me è piaciuto tantissimo il taglio antropologico che l’autore dà almeno alle prime pagine del racconto anche se la componente antropologica accompagnerà, in generale, tutti e cinque i racconti. Qui poi, sul Nevskij Prospekt, Pietroburgo verrà divisa in due parti, le quali saranno incarnate dai personaggi di Piskarev e di Pirogov, due aspetti che terrei costantemente presenti.
Il primo credo sia un po’ l’ideale dell’autore stesso, quello dell’uomo sognatore e artista, di fatto Piskarev è un pittore, l’altro invece raffigura la Pietroburgo verace, statalista e burocratica, Pirogov è un tenente. Vorrei soffermarmi su questo elemento perché sarà una costante nei “Racconti di Pietroburgo” la componente burocratica che sembra dominare la Pietroburgo di quegli anni, dunque con “componente burocratica” parliamo di quello strato sociale attaccato alla sua posizione(non a caso Pirogov, quando verrà battuto alla fine del racconto, si risentirà non per essere stato oltraggiato egli stesso quanto per essergli stato mancato di rispetto perché tenente)e dunque ipocrita, ingabbiata nelle sue convenzioni sociali.
Immancabile in Gogol sarà poi l’elemento “sognante” infatti Piskarev, il pittore, riempirà la prima parte del racconto con l’amore per una prostituta che insieme all’amico Pirogov adocchia per strada. Il nodo della questione è che il protagonista solo successivamente scoprirà il “mestiere” della donna, il che lo porterà ad arroccarsi su sé stesso, infatti comincerà a sognarla sempre più spesso finendo per vivere di sogni, letteralmente, di fatto la sua vita consisterà soltanto nel dormire e sognare ancora e ancora quella donna. Si sforzerà di sognarla continuamente finendo per distaccarsi dalla realtà e per impazzire, il che lo porterà ad una rapida morte. Piskarev lo si può forse leggere come l’autore stesso, come quella parte “artistica” della Russia ingabbiata dal cielo di Pietroburgo, infatti nel racconto successivo, più esplicitamente, Gogol dirà che per gli artisti è necessario un viaggio in Italia perché l’Italia col suo clima può ispirare ben più di quanto possa fare il “cielo grigio” di Pietroburgo. Forse Piskarev è l’autore stesso che rappresenta lo scontro tra l’arte e la realtà, al che l’artista finisce per doversi creare un mondo fittizio nel quale vivere, Piskarev impatta con la “realtà” poiché vede essere quella donna quasi angelicata una prostituta e la riconcepirà soltanto all’interno del suo sogno, soluzione di tutto è la pazzia, anche questo un motivo ricorrente dei racconti. Piskarev porta su di sé anche quei tratti della Pietroburgo umiliata, quei tratti della letteratura degli umiliati che soltanto negli ultimi due racconti, secondo me, otterrà ben più vasto respiro.

Pirogov invece è il classico ufficiale fanfarone(forse, da questo punto di vista, potrebbe ricordare il miles gloriosus della tradizione classica?)e anche lui adocchia una bella donna sul Nevskij Prospekt.
Pirogov però finirà per essere battuto dal marito di questa, Schiller, al che seguirà una furia tremenda per l’oltraggio mossogli, non tanto per lui stesso, ripetiamo, quanto per il suo grado, tant’è vero che più e più volte nei dialoghi con Schiller, farà presente il suo grado di ufficiale. Da un lato quest’orgoglio civile quindi, quest’ipocrisia, dall’altro tutta la frivolezza che l’accompagna, di fatto, dopo essere stato battuto e dopo aver tramato le peggiori punizioni per Schiller, Pirogov si accontenterà soltanto di mangiare dei pasticcini e partecipare ad una riunione di funzionari ed ufficiali. Dunque il “Nevskij Prospekt” si può concepire, forse, come il più antropologico dei cinque racconti dove vengono scanditi i due personaggi di Piskarev e Pirogov, il primo nelle vesti della Pietroburgo di Gogol, il secondo nelle vesti della Pietroburgo statalista, “due Pietroburgo” da tenere presenti quando si parla di Gogol.

Il secondo racconto è invece “Il Ritratto”, qui troviamo praticamente una confessione dell’ideale “artistico” di Gogol. Il protagonista è Cartkov, questo comprerà in una squallida galleria d’arte un quadro ai limiti del sovraumano, di fatto l’uomo rappresentato è un uomo terribile, ci si sofferma soprattutto sullo sguardo dipinto in maniera tanto straordinaria da sembrare vivo e compenetrante. Verosimilmente il “ritratto” è il ritratto del demonio e questo quadro passando di mano in mano porterà ad orribili sciagure ogni suo possessore e quindi Cartkov stesso. Cartkov, infatti, troverà all’interno del quadro 1000 ducati con i quali si comprerà letteralmente la fama di grande pittore finendo per essere richiesto da tutta l’alta società, questo però lo porterà a perdere il suo vero “talento”. In una piccola parentesi del racconto si ricorderà il professore d’arte di Cartkov che invogliava il suo studente a non diventare un pittore mondano proprio perché avrebbe perso il suo talento.
Praticamente Cartkov diventa quello che noi, oggi giorno, chiameremmo artista “commerciale”. Cartkov inizia a produrre per il pubblico e non più per sé stesso finendo per perdere il suo talento, al che quando si recherà in Italia e vedrà una rappresentazione pittorica di un altro autore morirà d’invidia per la maestria con la quale il quadro era stato dipinto, tornerà dunque a casa sua, tenterà di ritornare il pittore che era fino ad accorgersi di aver, ormai, perduto inesorabilmente il suo talento. Ciò porterà Cartkov alla follia e alla morte, ecco quindi che ritorna il motivo della pazzia, già presente nel racconto sul Prospekt.

Questa è la prima parte del racconto, la seconda parte è praticamente la spiegazione di cosa sia quel quadro, pertanto narrerà di un’asta in cui si troverà in vendita, a quest’asta parteciperanno vari acquirenti fino alla comparsa di un personaggio, il figlio dell’autore del quadro. Qui il figlio narrerà la storia di quel quadro, ossia la storia dell’uomo raffigurato, il demonio, presso il quale chiunque gli si avvicinasse cadeva in disgrazia. Per questo motivo l’autore del quadro, cioè il padre del narratore, si auto esilierà per redimersi dalla colpa di aver dipinto il diavolo e il figlio dirà, durante l’asta, di essere l’unico legittimo acquirente poiché il suo compito era quello di distruggere il quadro. Proprio mentre dice ciò il quadro scompare.

A questo punto vediamo “Il naso”, secondo me il più indecifrabile fra tutti i racconti. Il protagonista è appunto un naso che il barbiere Ivan si ritroverà nel panino, il surrealismo del racconto è ricalcato ogni momento poiché lo stesso Ivan non riuscirà a spiegarsi in alcun modo la logica di quell’avvenimento. Il racconto poi si sposta su Kovaljov, colui che ha perso il naso, e narrerà di un’estenuante inseguimento alla cattura di questo naso. Questo racconto è il più indecifrabile, però, come avrò letto da qualche parte, l’interpretazione più corretta è probabilmente quella dello sdoppiamento di persona, ragion per cui il naso rappresenterebbe una parte di Kovaljov, di fatto in un incontro tra i due il naso sarà addirittura consigliere di stato, proprio il sogno di Kovaljov… in questo senso darei ancora importanza alla componente “burocratica” dei racconti pietroburghesi, questa la vediamo nitidamente nel Prospekt Nevsik con Pirogov, qui torna ancora come ossessionante anelito che ingabbia l’altra parte di Pietroburgo ne “Il naso”.
Kovaljov, infatti, nell’incontro al giornale, ove era intenzionato a fare un annuncio circa lo smarrimento del suo naso, ricalcherà proprio quanto per lui fosse “sconveniente” presentarsi in quelle condizioni presso donne d’alto rango presso le quali si sarebbe dovuto recare di lì a poco, data la sua posizione sociale, quindi la continua preoccupazione alla convenzioni sociale che l’uomo di stato pietroburghese deve assolvere, Pirogov del “Prospekt Nevskij” s’infervorerà per le offese fatte al suo grado ad esempio, quindi si potrebbe parlare del ritorno di una Pietroburgo statalista e allucinata.

Con i successivi due racconti, “Il cappotto” e “Memorie di un pazzo”, credo si inizi a dare uno sguardo ad una terza Pietroburgo, quella degli “umiliati e offesi” che può essere rintracciata già in Cartkov e Piskaerv volendo, cioè quella sottoposta alla classe dominante, non è un caso che a Gogol sia fatta risalire proprio questo tipo di letteratura, materiale letterario dal quale attingerà a piene mani Dostoevskij.
Il cappotto, il racconto più celebre dei cinque, narra di Akakij Akakievic, personaggio profondamente umiliato a causa dello zelo impiegato nel suo lavoro, è un “umiliato” pietroburghese completamente assuefatto dalla sua vita, il protagonista vive per compilare scartoffie e al suo zelo affianca un temperamento cupo, grigio, anche questo motivo di derisione da parte dei suoi colleghi. La svolta nella sua vita arriverà con l’acquisto di un cappotto che in un primo momento provocherà uno sconvolgimento per la rottura della sua routine quotidiana, dall’altro gli darà credito sociale poiché riuscirà finalmente a recarsi in ufficio con un cappotto nuovo.
Appena giungerà in ufficio ci sarà addirittura gran festa che proseguirà in casa di un altro degli impiegati, il problema nascerà nel momento in cui, dopo la festa, nella strada per il ritorno Akakij verrà rapinato proprio del suo cappotto. In seguito a questo episodio vediamo un ultimo personaggio che si aggiunge alla lista dei Pirogov e dei Kovaljov, cioè la persona importante, così si rivolge ad essa Gogol.
Questa persona importante è chiaramente un impiegato statale ed è forse il personaggio più costruito di tutti e cinque i racconti, ad esempio quando Akakij andrà a chiedere udienza a questa persona importante, che l’avrebbe potuto aiutare a ritrovare il cappotto, questi fingerà di non poterlo ricevere essendo impegnato a discutere con un amico, nonostante la conversazione con questo amico fosse finita da un pezzo, d’altronde la persona importante avrebbe dovuto dimostrare quanto fosse impegnato nella vita di tutti giorni e quindi quanto non avrebbe potuto dare ascolto, così facilmente, ad un impiegatuccio.
Successivamente, quando lo accoglierà ostenterà costantemente un aria di superiorità fino a cacciare bruscamente Akakij, a tal punto che il nostro protagonista sverrà, e quindi il dialogo si pone come l’emblema della sopraffazione e della prevaricazione della classe dominante pietroburghese sugli umiliati, a tal punto che la stessa persona importante manderà di nuovo a chiamare Akakij dopo averlo cacciato, peccato che quando arriverà di nuovo il momento dell’udienza, per allora Akakij sarà già morto, dopo essersi ammalato inseguito alla strigliata.
Il racconto si conclude con Akakij che si aggirerà per le strade di Pietroburgo sotto le spoglie di un fantasma e che farà cadere dalle spalle dei passanti tutti i loro cappotti, fino a conquistarne uno, proprio quello della persona importante, la quale verrà terrorizzata a morte sulla sua carrozza. Come interpretare questa conclusione, una sorta di riscatto? Una giustizia divina ultraterrena che premia i giusti e punisce gli ingiusti? Un finale fantastico che sembra quasi in distonia con il costante iperrealismo di tutto il resto del racconto.

Infine vediamo le “Memorie di un pazzo”, anche qui il protagonista, Popriscin, è un impiegatuccio che innamorato della figlia del suo capo ci farà pervenire i suoi sentimenti e le sue azioni per via epistolare. Un altro motivo ricorrente in Gogol è la pazzia che si mischia all’umiltà, l’umiltà della condizione del nostro protagonista che impazzirà proprio come il Cartkov de “Il ritratto” o il Piskarev del “Prospekt”. L’avanzare della follia è testimoniato dalle date di ogni lettera e dal loro contenuto, infatti si partirà con l’esatto giorno di esatti mesi fino ad indicazioni temporali come “86 marzobre, fra il giorno e la notte” oppure “Nessuna data. Il giorno era senza data” o ancora “Il 34 ro. Mc gdao, febbraio(scritto sottosopra) 349″, invece il punto di snodo della sua follia arriverà quando finirà per rovistare tra le presunte lettere scritte dalla cagnetta della sua amata che ruberà introducendosi nella sua cuccia, fino alle ultime sconclusionate lettere dove dichiarerà di essere il re di Spagna. Non vorrei creare un parallelo azzardato ma l’utilizzo della follia mia ha ricordato un po’ l’uso pirandelliano, la follia come possibile od unica via di fuga, anche se in Pirandello, forse, sarebbe una necessità, invece in Gogol soltanto una possibilità. Inoltre in Pirandello distinguiamo due tipi di follia, una quasi ricercata come nell’”Uno, nessuno e centomila” e l’altra più spontanea come quella de “Il treno ha fischiato” e questa sarebbe proprio il tipo di follia che potrebbe ricostruire un’affinità tra Gogol e Pirandello. Entrambi i protagonisti dei racconti finiscono per sfociare nella follia partendo da una situazione alienante, alienante è quella di Belluca, costretto a vivere una vita dura e mal tollerata, dura almeno tanto quanto quella di Popriscin.
 
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Splendidi Incisivi

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Ormai mi sono immerso completamente nella letteratura russa e quindi riporto i miei commenti su altre due grandi opere della Russia ottocentesca finite qualche giorno fa, parliamo de "Il giardino dei ciliegi" e de "Il gabbiano", ovviamente entrambe del grandissimo Anton Cechov.

Partendo dal giardino la prima parola che mi viene in mente è "decandentismo". Decadentismo da intendersi come inadeguatezza rispetto ai propri tempi e non a caso la storia narra di una famiglia dell'aristocrazia ormai decaduta(questa volta da intendersi letteralmente). La famiglia è piena di debiti e sono costretti a mettere all'asta le loro proprietà per cercare di pagare l'ipoteca. Tra le loro proprietà c'è proprio un giardino di ciliegi, il quale finisce per ergersi a simbolo del passato che questa famiglia non riesce più a rivivere e nel quale si rifugia malinconicamente.
Bisogna tenere presente, quando si ha tra le mani quest'opera, il contesto storico nel quale s'inserisce, infatti nonostante l'opera sia datata 1903, essa risente dell'influsso dell'emancipazione dei servi del '61 e nonostante questa riforma risalisse a quaranta anni prima, ancora faceva sentire i suoi effetti agli inizi del novecento.
Dopo questa riforma, infatti, ci fu una spaccatura tra la servitù e la nobiltà, in tal senso Firs, il cameriere di famiglia, ricorda come prima nobili e servi "fossero tutti uniti", ecco quindi uno degli echi nostalgici di cui si fa portatrice la famiglia protagonista dell'opera. Adesso questa spaccatura porta i servi a non avere soldi per pagare le terre che avrebbero dovuto ottenere, successivamente, in usufrutto; i nobili, dall'altro lato, sono costretti a mettere in vendita le loro terre poiché assolutamente inadatti a gestire un'azienda agricola senza la loro servitù. Questa era la stessa situazione in cui versava la famiglia della nostra protagonista: Luibòv Andriéievna Raniévskaia.
Oltre alla componente storica io terrei presente anche la componente introspettiva dell'autore, Cechov morirà infatti soltanto pochi mesi dopo.
In alcune lettere lo scrittore russo dirà alla moglie di essere affranto per non aver avuto un soggetto del genere in uno stato di salute migliore, in realtà credo che fu proprio la sua situazione fisica a portarlo a realizzare un capolavoro come "Il giardino dei ciliegi". Nell'opera, di fatto, si sente tutto il decadentismo di cui sopra, si sente quel senso di frustrazione che soltanto una persona in fin di vita dal talento letterario di Cechov poteva trasmettere nelle sue righe facendo da riflesso ad una situazione storica più generale.
Durante il racconto prevale continuamente questo senso di inadeguatezza fra tutti i personaggi che si perdono soltanto nei ricordi del passato, l'unico personaggio che sembra sfuggire a questa logica è Lopachin il quale a più riprese proporrà delle soluzioni economiche alla famiglia di Liubòv, soluzioni verso le quali Liubòv e i suoi parenti saranno completamente sordi. Lo stesso Lopachin, successivamente comprerà il giardino e la famiglia sarà costretta a partire, abbandonando la loro tenuta. Il racconto si chiuderà con il rimbombo delle scuri che abbattono i ciliegi, una metafora per indicare il taglio netto col passato che la famiglia è costretta a fare.
Liubòv, il fratello Gaiev, le sue due figli, la governante Charlotta, in tutti risalta una totale inadeguatezza ai tempi, come se la storia fosse andata avanti e loro fossero rimasti indietro, nella prefazione all'opera Gerardo Guerrieri cita il critico Francis Fergusson il quale parla di un "poema teatrale della sofferenza del mutamento", questa probabilmente è la definizione più adeguata per "Il giardino dei ciliegi" di Cechov.
Al di là della portata storica o personale dell'opera si avverte nel racconto questa sofferenza del mutamento, questo dolore nell'affrontare la mutevolezza delle cose, il πάντα ῥεῖ di Eraclito se proprio ci vogliamo permettere di scomodare personaggi come il filosofo greco. Ecco quindi che l'opera compie quasi un percorso induttivo, cioè parte da premesse particolari(storiche e soggettive)per giungere a conclusioni universali.
In tal senso penso sia esemplare la festa alla fine del terzo atto dove Liubòv si fa portatrice di questo dolore e dice di non essere capace di restare sola, né di riuscire a sopportare tutto quel trambusto, infatti la solitudine le riacutizzerebbe questa profonda sofferenza che porta dentro di sé, la compagnia le farebbe tornare alla mente i ricordi di un passato che non tornerà mai più.
Finale più azzeccato Cechov non l'avrebbe potuto trovare e infatti l'opera si chiude con la partenza della famiglia dalla loro tenuta e il ritorno, in solitaria, del cameriere Firs, il quale dirà: "La vita è passata, e io... è come se non l'avessi vissuta".

A questo punto vediamo "Il gabbiano".
Il gabbiano è, secondo me, un’opera meta-artistica. Ho usato questo termine poiché i personaggi che popolano l’opera, a loro modo, sono tutti artisti: Kostja Trepliòv, la madre Arkàdina, il romanziere Trigòrin e Nina.
Ognuno rappresenta un aspetto dell’arte ed è difficile dire chi abbia ragione sugli altri.
Da un lato c’è Trepliòv che sembra forse il più talentuoso di tutti, l’opera si apre infatti con una sua commedia(ecco il meta teatro)dove recita Nina, una commedia decadente in senso letterario, decadente nella misura di quel tipo di arte che vuole rompere col passato ed innovare, un’arte che si sente estranea ai valori passati e vuole proporre qualcosa di nuovo, si parla di “nuove forme” nell’opera, un’arte che sente la fine di un’era, quindi questo sarebbe un decadentismo artistico ben diverso dal decadentismo sociale intorno al quale abbiamo parlato prima, un decadentismo sentito nel giardino come inadeguatezza rispetto ai tempi, inadeguatezza rispetto alla quale non si risponde con la vitalità, la volontà(Kostja)ma con l’inerzia della famiglia di Liubòv.
Ecco quindi che vediamo Trepliòv che in un certo senso si oppone a Trigòrin, il quale lo si può, forse, definire come un artista tecnico, tecnico perché si appunta tutto, tutto ciò che possa servire alla sua ars scribendi, di fatto non viene minimamente toccato dall’amore di Nina dal quale invece trae un soggetto letterario. Trepliòv è la sicurezza, è il tradizionalismo, a mio modo di vedere, perché è riconosciuto come un grande autore da tutti, forse proprio perché è un tecnico ma in fondo privo di contenuti, come letterato e come persona, di fatto Trigòrin è un inerte, un indolente, vivrebbe la sua vita, per sua stessa confessione, pescando.Al nucleo degli scrittori, a questo punto, si affianca quello delle attrici: Irina Arkàdina e Nina Zarècnaja.
La prima rappresenta la costante contraddizione dell’arte, l’arte per sé e non per il talento, l’Arkàdina infatti non vive per l’arte ma per il successo che essa le porta. L’Arkàdina viene ben descritta all’inizio dell’opera come una donna egocentrica che desidera si parli di sé, desiderio che viene sconfessato dall’ambiente di campagna dove i personaggi si muovono. Essa in un certo senso crea un’altra situazione conflittuale con Trepliòv, infatti vediamo una discussione tra i due che si risolve in uno slancio affettivo dovuto al rapporto madre-figlio ma in quello stesso dibattito l’Arkàdina chiamerà, in senso dispregiativo, decadente il figlio, forse per la paura che quella sua ricerca delle nuove forme potesse scalzarla.
Quindi c’è Nina, Nina sembra rappresentare il lato più ingenuo dell’arte, il lato più sognante, Nina desidera recitare, divenire un’attrice ma questo le è impedito dalla famiglia. Nina esordisce nella commedia di Trepliòv e s’innamora follemente di Trigòrin con il quale vivrà insieme ma verrà poi abbandonata e soltanto dopo una travagliata vicenda iniziale riuscirà a realizzarsi, infatti nel finale della commedia si presenta come una vera e propria attrice, anche se di provincia; riesce a realizzarsi dunque soltanto dopo essersi svezzata, soltanto dopo aver smorzato quell’ingenuità iniziale, come se fino ad allora fosse stata vincolata dall’ignoranza verso il lato duro della vita.

Infine dedicherei una parentesi al significato del càjka, cioè del gabbiano.
Il gabbiano qui assume un valore del tutto simbolico e parafrasando il Ripellino esso s’installa su un trio di personaggi che abbiamo già visto, cioè Nina, Trepliòv e Trigòrin.
Nina, per prima, si paragonerà ad un gabbiano, dirà di essere attratta dal lago intorno al quale ruota la storia proprio come un gabbiano, a questo punto subentrano Trepliòv e Trigòrin. Il primo uccide fisicamente un gabbiano e in seguito a ciò promette di uccidersi, il secondo uccide metaforicamente un gabbiano, cioè Nina, infatti prima vive insieme a lei, poi le dà un bambino e dopo la morte di questo l’abbandona. Da un lato Nina viene uccisa da Trigòrin quindi, dall’altro Trepliòv si uccide da sé, infatti l’opera si conclude con il suicidio di Kostja.
In quest’ottica leggo i giochi ed i movimenti intorno alla figura del gabbiano come il paradigma dei vari personaggi: Trepliòv ci muore intorno al gabbiano, ci muore intorno all’arte, infatti non resiste alla sua continua tensione psichica e finisce per suicidarsi; Trigòrin invece è un indifferente e uccide il suo gabbiano senza rendersene conto, lo uccide metaforicamente e questo aspetto dovrebbe essere evidenziato, nel quarto atto, da Sciamràev, quando quest’ultimo ricorda a Trigòrin di aver impagliato il gabbiano per sua volontà e Trigòrin per due volte dice di non ricordarsene, la seconda volta, poi, coinciderà proprio con la morte di Trepliòv, come ad evidenziare il fortissimo scontro che avviene durante tutta l’opera tra i due; Nina sembra l’unica a sopravvivere inquesto gioco di arte e morte, infatti lei sopravvive all’”uccisione” da parte di Trigòrin e rinasce diventando attrice, seppur di provincia.
 

runner

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allora rigaz lo scrivo qui perchè di aprire un topic mi sembra un po' eccessivo....

mi consigliate un bel librone bello lungo o di avventura o anche leggermente fantasy da leggermi quest' inverno in quei pomeriggi in cui si sta volentieri in casa davanti al camino con un bel thè caldo?

non dico Harry Potter o un libro game di Lupo solitario, ma qualcosa di avvincente, ma non troppo classico!!
 
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