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Il possibile ritorno di Ibrahimovic al Milan è un tormentone che, probabilmente, ci accompagnerà almeno fino alla prima settimana di Agosto. Se tutto andrà per il verso giusto (mai sottovalutare gli sceicchi, però. Il caso Yaya Tourè insegna) il Milan potrà riabbracciare l’unico giocatore in grado di stravolgere ambiente e squadra. Quando si acquista un giocatore, nella quasi totalità dei casi, si conosce il prezzo ma non il valore reale dello stesso. Ibra è una straordinaria eccezione. Anzi. Spesso e volentieri, in varie fasi della carriera, il prezzo del cartellino è stato addirittura più basso rispetto al valore mostrato in campo. In merito alla fenomenologia dei campioni e dei fuoriclasse, si possono scrivere libri e trattati. Ma la definizione è abbastanza semplice: un fuoriclasse è colui che, da solo, decide competizioni e migliora il rendimento dei compagni che gli giocano di fianco. Ibra, in questa speciale disciplina, è da medaglia di platino. Chiedere, in particolare, ai vari Nocerino e Boateng. Finiti nel dimenticatoio nel post Ibra.
Partendo dal presupposto che il mondo è bello perché è vario, c’è da sottolineare un fatto: la maggior parte dei tifosi rossoneri è a favore del ritorno di Ibra. Qualcun altro, invece, è scettico. I motivi? L’età e, soprattutto, l’accusa di essere poco decisivo in Europa. L’età non è un punto a favore. Vero. Ma Ibrahimovic è un grande atleta ed uno straordinario professionista che, in carriera, non ha mai subìto infortuni invalidanti per lunghi periodi. Il fatto di essere poco decisivo in Europa è una critica che può anche starci, ma non è la verità assoluta ed incontrovertibile. Nel calcio di oggi è difficile trovare giocatori a tre dimensioni. Ovvero, che facciano la differenza in campionato, nelle coppe europee ed in nazionale. Gli stessi Messi e Ronaldo, in nazionale, fanno molta fatica. Ibra è uno che decide, quasi da solo, i tornei nazionali. Con la Svezia, il rendimento è più che buono. Ed in Champions? E’ colui che ha segnato più gol, nella competizione, in tutta la storia del Psg. Sembra soffrire le partite da dentro o fuori, vero. E’ un limite. Ma i giocatori a tre dimensioni, come detto, oggi, non esistono.
Da qualsiasi prospettiva la si guardi, il Milan deve preoccuparsi di tutto tranne che della poca vena realizzativa di Ibra in determinate partite di Champions. I rossoneri sono fuori dal grande giro da anni, ormai. E la grande dimensione europea di un tempo sembra essere appannata. Se non del tutto smarrita. Se non si ritrova, innanzitutto, una dimensione nazionale (anche quella sembra andata in letargo) pensare alla Champions, all’Europa ed alle finali vinte diventa solo un mero esercizio che ha l’unico scopo di proiettare, continuamente, immagini al cronovisore collegato al passato.
Quando il Milan, a Maggio, trattava Ancelotti sottolineavo sia la grandezza del tecnico (con qualche limite, in particolare nelle competizioni lunghe) sia il fatto che Ancelotti fosse uno straordinario normalizzatore. Uno che, normalizzando ambienti governati un po' sopra le righe da imperatori turchi e portoghesi, è riuscito a vincere tutto. In questo Milan, però, c’era davvero poco da normalizzare. C’era bisogno di rivoluzionare e ribaltare lo status quo. L’ingaggio di Mihajlovic sotto questo aspetto, è stato molto saggio. Il serbo segna una linea di demarcazione col passato mai vista in quel di Milanello: ex interista, sergente di ferro (poca confidenza con i giocatori), che fa del durissimo lavoro l’unica religione calcistica. Da solo, però, non basta. Le rivoluzioni si completano con le scariche di adrenalina derivanti dal ritrovato entusiasmo di chi le supporta. Ovvero, dei tifosi. E l’arrivo di Ibra rappresenterebbe, per tutto l’ambiente, quell’immensa scarica di adrenalina in grado di completarsi pienamente con la rivoluzione serba. Se poi, insieme ad Ibra, arrivassero anche altri giocatori di livello il tutto diventerebbe più semplice ed in discesa.
L’accordo con Mr Bee è in dirittura d’arrivo. O almeno così sembra. Una volta concluso del tutto, il Milan lancerà il proprio brand sui mercati asiatici. Per entrare con forza, però, occorre vendere un prodotto che sia appetibile e soprattutto vendibile. E’ la legge del mercato, del marketing e del merchandising. Ad oggi, in questo preciso momento, un tifoso del Milan (in qualsiasi latitudine del mondo si trovi) quale maglia, con nome e numero, comprerebbe? Un tempo c’era l’imbarazzato della scelta. I calciatori preferiti, ed amati, erano tantissimi. Oggi, invece, non c’è nessuno in grado di far sentire il tifoso medio orgoglioso di mostrare in giro, sulla schiena, il nome del proprio campione preferito. Ibra, anche in questo caso, sarebbe il deus ex machina della situazione. E si pagherebbe quasi da solo grazie alla vendita delle maglie e dei prodotti che portano il suo nome. Se poi, sotto il nome Ibrahimovic ci fosse il numero 10 e, di lato, sulla manica, la fascia da capitano, la casacca acquisirebbe maggior fascino. Ed Ibra, oltre alla licenza di uccidere, acquisirebbe anche quella ricercatissima, e speciale, licenza che permetta ai tifosi di tornare, finalmente, a sognare.
Partendo dal presupposto che il mondo è bello perché è vario, c’è da sottolineare un fatto: la maggior parte dei tifosi rossoneri è a favore del ritorno di Ibra. Qualcun altro, invece, è scettico. I motivi? L’età e, soprattutto, l’accusa di essere poco decisivo in Europa. L’età non è un punto a favore. Vero. Ma Ibrahimovic è un grande atleta ed uno straordinario professionista che, in carriera, non ha mai subìto infortuni invalidanti per lunghi periodi. Il fatto di essere poco decisivo in Europa è una critica che può anche starci, ma non è la verità assoluta ed incontrovertibile. Nel calcio di oggi è difficile trovare giocatori a tre dimensioni. Ovvero, che facciano la differenza in campionato, nelle coppe europee ed in nazionale. Gli stessi Messi e Ronaldo, in nazionale, fanno molta fatica. Ibra è uno che decide, quasi da solo, i tornei nazionali. Con la Svezia, il rendimento è più che buono. Ed in Champions? E’ colui che ha segnato più gol, nella competizione, in tutta la storia del Psg. Sembra soffrire le partite da dentro o fuori, vero. E’ un limite. Ma i giocatori a tre dimensioni, come detto, oggi, non esistono.
Da qualsiasi prospettiva la si guardi, il Milan deve preoccuparsi di tutto tranne che della poca vena realizzativa di Ibra in determinate partite di Champions. I rossoneri sono fuori dal grande giro da anni, ormai. E la grande dimensione europea di un tempo sembra essere appannata. Se non del tutto smarrita. Se non si ritrova, innanzitutto, una dimensione nazionale (anche quella sembra andata in letargo) pensare alla Champions, all’Europa ed alle finali vinte diventa solo un mero esercizio che ha l’unico scopo di proiettare, continuamente, immagini al cronovisore collegato al passato.
Quando il Milan, a Maggio, trattava Ancelotti sottolineavo sia la grandezza del tecnico (con qualche limite, in particolare nelle competizioni lunghe) sia il fatto che Ancelotti fosse uno straordinario normalizzatore. Uno che, normalizzando ambienti governati un po' sopra le righe da imperatori turchi e portoghesi, è riuscito a vincere tutto. In questo Milan, però, c’era davvero poco da normalizzare. C’era bisogno di rivoluzionare e ribaltare lo status quo. L’ingaggio di Mihajlovic sotto questo aspetto, è stato molto saggio. Il serbo segna una linea di demarcazione col passato mai vista in quel di Milanello: ex interista, sergente di ferro (poca confidenza con i giocatori), che fa del durissimo lavoro l’unica religione calcistica. Da solo, però, non basta. Le rivoluzioni si completano con le scariche di adrenalina derivanti dal ritrovato entusiasmo di chi le supporta. Ovvero, dei tifosi. E l’arrivo di Ibra rappresenterebbe, per tutto l’ambiente, quell’immensa scarica di adrenalina in grado di completarsi pienamente con la rivoluzione serba. Se poi, insieme ad Ibra, arrivassero anche altri giocatori di livello il tutto diventerebbe più semplice ed in discesa.
L’accordo con Mr Bee è in dirittura d’arrivo. O almeno così sembra. Una volta concluso del tutto, il Milan lancerà il proprio brand sui mercati asiatici. Per entrare con forza, però, occorre vendere un prodotto che sia appetibile e soprattutto vendibile. E’ la legge del mercato, del marketing e del merchandising. Ad oggi, in questo preciso momento, un tifoso del Milan (in qualsiasi latitudine del mondo si trovi) quale maglia, con nome e numero, comprerebbe? Un tempo c’era l’imbarazzato della scelta. I calciatori preferiti, ed amati, erano tantissimi. Oggi, invece, non c’è nessuno in grado di far sentire il tifoso medio orgoglioso di mostrare in giro, sulla schiena, il nome del proprio campione preferito. Ibra, anche in questo caso, sarebbe il deus ex machina della situazione. E si pagherebbe quasi da solo grazie alla vendita delle maglie e dei prodotti che portano il suo nome. Se poi, sotto il nome Ibrahimovic ci fosse il numero 10 e, di lato, sulla manica, la fascia da capitano, la casacca acquisirebbe maggior fascino. Ed Ibra, oltre alla licenza di uccidere, acquisirebbe anche quella ricercatissima, e speciale, licenza che permetta ai tifosi di tornare, finalmente, a sognare.