Ecco chi è Rocco Commisso: dalle origini al presente.

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Il Re dell'Est

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Pubblichiamo una intervista del 13 marzo 2017, apparsa sul portale Italo americano wetheitalians, in cui Rocco Commisso spiega la sua storia personale.
Come ha fatto successo? Quali sono i suoi legami col mondo del calcio?

Questa è la 160esima intervista che pubblico con We the Italians. Guardando indietro, sono stupito e orgoglioso e onorato di vedere quanta grandezza, dedizione ed eccellenza c'è nelle persone che mi hanno regalato il privilegio di condividere con me e con i nostri lettori le loro storie, il loro orgoglio di essere italiani, la loro conoscenza su 159 punti di vista diversi da cui analizzare il rapporto tra Italia e Stati Uniti. Sono fortunato, e grato a tutti.

Pensavo che per l'intervista numero 160 io dovessi cercare un personaggio … particolare. Qualcuno eccezionale in più di un modo. E così sono andato a nord di Manhattan, attraversando colline coperte di neve, e ho incontrato l'ospite di questa nuova intervista: qualcuno davvero incredibile, così al tempo stesso italiano ma anche americano, la cui vita potrebbe benissimo essere il soggetto di un film. Signore e signori, We the Italians dà il benvenuto a Rocco Commisso.

Mr. Commisso, la sua è una splendida storia di successo, che unisce l'eccellenza del DNA italiano con le grandi opportunità dell'America. Può spiegarci come un giovane immigrato italiano è diventato una persona di così grande successo in America?

Sono nato e cresciuto a Marina di Gioiosa Ionica, nella provincia di Reggio Calabria, una bellissima comunità di mare ma economicamente devastata dagli shock della seconda guerra mondiale. In quel momento e probabilmente ancora oggi non avrei potuto trovare in Italia le enormi opportunità di successo che mi sono state rese disponibili in America, soprattutto se si è disposti a lavorare duramente. Sono arrivato all'età di 12 anni e anche se stavo facendo bene a scuola e non volevo lasciare l'Italia, ho cominciato ad amare l'America dopo appena qualche settimana.

Il primo avvenimento fondamentale che mi è accaduto è stato quando sono arrivato negli Stati Uniti, dove ci siamo trasferiti appena fuori Pittsburgh, in Pennsylvania. Ero in 6th grade (la prima media italiana) quando abbiamo lasciato l'Italia e, per tradizione, quando si emigra in America e si è a quel livello, ci si sposta in 5th grade. Ma dopo solo 3 giorni in questo paese, il 1 aprile del 1962, mio padre ha convinto la preside della scuola ad ammettermi in 7th grade, e in meno di 3 mesi mi hanno promosso al 8th grade. Dal mio punto di vista, ho guadagnato 3 anni di istruzione in 3 mesi, anche se potevo parlare solo qualche frase in lingua inglese.

Poi nel luglio del 1963 ci siamo trasferiti a New York, nel Bronx. Nella prima settimana a New York, camminavo sotto la sopraelevata della metropolitana e ho visto un cartello che diceva che il Wakefield Theatre stava organizzando un talent show. Mi sono iscritto e ho vinto il concorso suonando la mia fisarmonica. Così, ogni mercoledì, andavo al Wakefield per suonare la fisarmonica in pubblico.

Se vuoi entrare nelle migliori scuole superiori cattoliche a New York, devi fare il test di ammissione in autunno o in primavera mentre sei in 8th grade. Ma ero troppo tardi per me, perché arrivammo a New York a luglio e la scuola cominciava a settembre. Questo è stato l'inizio della mia "hustling career", e con "hustling" mi riferisco alla creazione di opportunità in base alla propria forte determinazione. Il direttore del Wakefield Theatre mi offrì di finanziare la mia educazione musicale mandandomi al Conservatorio di Berkeley a Boston. Io rifiutai la sua offerta, ma gli chiesi un favore. Gli dissi "perché non mandi una lettera al preside della Mount Saint Michael Academy, che non mi ha accettato perché non ho potuto fare l'esame d'ingresso?" Così lui inviò la lettera e io fui accettato, tutto a causa della mia fisarmonica.

Durante i miei anni di liceo, mio fratello aveva una tavola calda che poi diventò una pizzeria. Io ci lavoravo 40 ore a settimana, facendo la pizza, occupandomi del ghiaccio, servendo le persone. Andavo a scuola anche durante l'estate, non perché dovevo ripetere qualche corso, ma perché volevo portarmi avanti con lo studio.

A parte la pallamano, non avevo praticato alcuno sport durante la scuola superiore perché la Mount Saint Michael Academy non aveva una squadra di calcio. Questo non mi impedì di usare la mia determinazione anche per frequentare una ottima università privata, senza dover pagare nulla. Chiesi al mio insegnante di ginnastica di aiutarmi ad entrare in contatto connettermi con l'allenatore di calcio a NYU, il quale mi inserì nella squadra americana cecoslovacca. Giocai cinque o sei partite e gli piacqui abbastanza da offrirmi una borsa di studio. Il problema è che era una borsa di studio al 50%. Quindi, appena ammesso alla NYU, tornai dall'insegnante di ginnastica e gli dissi: "Perché non chiami l'allenatore di calcio alla Columbia University?" È interessante notare che l'allenatore della Columbia non mi aveva mai visto giocare prima. Ma pensò che se ero abbastanza bravo da giocare a NYU, potevo farlo facilmente anche nella squadra di Columbia University. Alla fine mi ammisero a Columbia con una borsa di studio completa, del valore di 75.000 dollari all'anno, in valuta odierna.

Andare a Columbia si è rivelata il più grande colpo della mia vita.

Ma non delusi il coach di Columbia. Nel mio primo anno, facemmo tutta la stagione senza perdere una partita. Nei successivi 3 anni fui nominato nella squadra della All-Ivy League. Nel mio ultimo anno, fui onorato di essere il Co-Capitano della squadra, portandola ai primi NCAA Playoff nella storia di Columbia e fui invitato a fare un provino per la squadra olimpica degli Stati Uniti del 1972.

Probabilmente a la mia esperienza calcistica alla Columbia è il motivo per cui oggi sono coinvolto con i New York Cosmos.

La Columbia mi ha aperto le porte ad una carriera di successo nel mondo degli affari. In America, devi andare alla scuola giusta per ottenere i giusti posti di lavoro. La Columbia è tra le prime cinque università al mondo e mi ha dato l'opportunità di trovare rapidamente un lavoro, con Pfizer Pharmaceutical.

Pochi anni dopo che ho iniziato a lavorare a Pfizer, nel 1971, decisi di tornare alla Columbia. Chiesi al mio capo di mettermi nel turno di notte dalle 4 alle 12 a Brooklyn, in modo da poter andare durante il giorno a Columbia per ottenere il mio MBA. Ero l'unico allievo della Columbia Graduate Business School che lavorava a tempo pieno mentre frequentava i suoi corsi a tempo pieno. Vivevo nel Bronx, andavo a scuola a Manhattan e lavoravo a Brooklyn. Facevo i miei compiti mentre ero in metropolitana. E trovai anche il tempo per diventare Presidente degli studenti delle Business Schools.

Ti viene data l'opportunità, qui in America, ma devi anche lavorare duramente. Non puoi prendere le cose per scontate. Ma la bellezza di questo paese è che c'è una grande meritocrazia, a mio parere. Si lavora sodo, mostri ai tuoi capi che ce la puoi fare, e con un po' di fortuna lungo la strada, il resto arriverà nella maniera giusta. Devi rischiare, non hai mai un lavoro sicuro, possono licenziarti in tronco, ma una volta che dimostrerai che tu lavori duro, come nella nostra azienda ... puoi diventare un vincente.

Siamo felici di constatare che lei è molto orgoglioso di essere italiano. C'è un aspetto delle sue origini che la ha aiutata a diventare un uomo d'affari di successo?

In primo luogo, direi che non è perché sono italiano che ho avuto successo in America. Le opportunità nel nostro Paese vengono fornite a tutti i tipi di gruppi di immigrati. Ma ho sempre cercato di affermare chi sono, ovvero il mio essere italiano, in tutto quello che ho fatto. Quando sono entrato nel mondo degli affari, gli italiani non erano tra i gruppi etnici che potevano facilmente ottenere un lavoro aziendale di alto livello. Io ho rotto questo schema. Alla fine sono arrivato in Chase Manhattan Bank nel 1976 - la Banca Rockefeller - nel cuore di Wall Street.

Nel 1975, avevo aperto la prima discoteca italoamericana in tutti gli USA. Era un anno incredibilmente pieno per me – andavo e venivo da Toronto per vedere la mia fidanzata, stavo laureandomi alla Columbia Business School, avevo un lavoro alla Pfizer e misi in piedi una discoteca. Aprimmo nel giugno del 1975, si chiamava ACT III, nel Bronx. Sei mesi dopo, la trasformai in un discoteca per gli emigrati italiani. A quel tempo la scena delle discoteche era in grande crescita, erano i tempi dello Studio 54: arrivavi alle 9 di sera e andavi a casa alle 5 del mattino, ed era tutta musica veloce. Ma gli italiani sono romantici, preferivano ballare stringendo il o la loro partner. Così, ogni ora noi facevamo 40 minuti di musica americana veloce da discoteca e 20 minuti di musica lenta italiana. Gli italiani lo adoravano. Si spegnevano le luci e loro si mettevano a ballare la musica lenta e romantica. Fu un grande successo, e ho "sposato" tante persone, lì. Per i giovani italiani, diventò il luogo di incontro dove si poteva sperare di incontrare e di innamorarsi del proprio futuro coniuge. Portammo ogni genere di cantanti provenienti dall'Italia: Little Tony, i Camaleonti, gli Homo Sapiens, i Cugini di Campagna, Gianni Nazzaro.

Quando entrai alla Chase Manhattan Bank nel gennaio 1976, trovai forti pregiudizi da parte di alcuni americani, tra cui il mio manager, verso questo immigrato dalla Calabria. Ero andato a lavorare in uno dei gruppi più importanti della banca, la divisione dedicata al comparto del trasporto via terra. Ero l'unico italoamericano in tutto il settore del prestito del principale ufficio di New York della Chase Manhattan Bank. Gli unici altri italiani erano i figli di ricche famiglie italiane che sarebbero poi tornati in Italia dopo il loro tirocinio.

Nella divisione del trasporto via terra, avevamo a che fare con grandi multinazionali come General Motors, Ford e Chrysler, oltre all'industria ferroviaria, all'industria dei trasporti e così via. Ora, non dimenticherò mai quando questo mio capo mi disse "Rocco, non possiamo permetterti di avere a che fare con General Motors", il cliente più importante della banca. Chiesi "Perché no?", e lui rispose: "Perché non hai il giusto background". Così chiesi ancora "Cosa c'è di sbagliato nel mio background?" E lui rispose "Sei troppo appariscente, hai questo nome che suona così divertente, indossi gli abiti sbagliati ... ". E io risposi:" Anche se mi sono laureato a pieni voti alla Columbia e sono l'unico in tutta la divisione con un MBA da un'università della Ivy League" "Sì, esatto". Così mi spostarono a coprire il settore autotrasporti, in base al loro assunto discriminatorio per cui sembravo e parlavo come un mafioso, visto che secondo il mio capo nel settore dell'autotrasporto c'erano tutti i tipi di mafiosi. Era un caos, e questo rifletteva il tipo di pregiudizi che avevo affrontato nei miei primi giorni nel settore bancario.

Tuttavia, e questo è interessante, un'altra persona di origine tedesca mi salvò chiedendomi di passare alla sua divisione, che si occupava di intrattenimento e comunicazione. Fu quella la prima volta che ebbi a che fare con la televisione via cavo, nel 1978, iniziando a prestare denaro alle società di telefonia.

Più tardi, entrai a far parte della Royal Bank of Canada dove ebbi molto successo nel campo dei prestiti a società nel campo dei media e della comunicazione. Nel 1986 lasciai il settore bancario per andare a lavorare come Chief Financial Officer alla Cablevision Industries, una società che si occupava di contenuti via cavo con sede a Liberty, New York, nelle Catskill Mountains. Era un grande cambiamento per la mia carriera e un deciso cambio di stile di vita per me e per la mia famiglia, poiché ci spostammo dai sobborghi residenziali della città di New York alle parti più rurali dello Stato a nord di Manhattan. Ma tutto andò bene in entrambi i campi. In meno di 9 anni, fui parte importante della crescita del fatturato annuo di Cablevision, che passò da 100 milioni a 550 milioni di dollari, facendola diventare l'ottava più grande azienda americana.

Nel 1995, il mio capo decise di vendere l'azienda a Time Warner per 2,8 miliardi di dollari, aprendo la strada al successivo capitolo della mia vita, quando fondai Mediacom Communications nel seminterrato della mia casa. La storia di Mediacom è lunga ma di grande successo. Siamo una televisione via cavo che opera nei mercati più piccoli degli Stati Uniti: Iowa, Illinois, Missouri, Minnesota, Georgia e Florida sono gli Stati in cui abbiamo la maggior parte dei clienti, ma operiamo anche in altri 16 stati. Abbiamo 1,4 milioni di clienti, abbiamo 4.600 dipendenti e lo scorso anno abbiamo fatturato 1.8 miliardi di dollari, oltre 3 volte il fatturato di Cablevision nel 1995. Mediacom è 100% di proprietà mia e della mia famiglia.

Lo scorso gennaio lei ha comprato la squadra di calcio dei New York Cosmos. Come ha giustamente detto, "I Cosmos sono la squadra americana di calcio più famosa in tutto il mondo". Ricordiamo ai più giovani perché questa squadra è un marchio storico e perché è stato importante per lei salvarla…

Negli anni '70, il calcio in America stava evolvendo e i Cosmos, sotto la guida di Steve Ross e dei fratelli Ertegun, erano la squadra più importante. Steve Ross era stato il CEO di Warner Communication, che poi divenne Time Warner, e decise di investire per portare le più grandi stelle del calcio a New York. Ricordo quando Pelé venne a giocare qui, fu Henry Kissinger che arrivò qui dalla Casa Bianca per concludere il contratto. Pelé era un nome di una grandezza mai vista prima in America. Aveva vinto tre Coppe del Mondo con il Brasile, purtroppo anche battendo l'Italia 4-1 in Messico nel 1970. Successivamente arrivaronoa Chinaglia, Beckenbauer, Carlos Alberto, Neeskens e altri giocatori di livello mondiale. I Cosmos divennero la squadra che rivoluzionò il calcio professionista americano. A quel tempo, ci si poteva permettere di portare queste superstar negli Stati Uniti. Oggi non possiamo, perché i grandi affari molto costosi sono all'estero. Sono i cinesi o i club europei che ora hanno i soldi per poter ingaggiare le superstar, non i club americani.

In quei giorni di Pelé e Chinaglia, io andavo a vedere giocare i Cosmos. Era un'atmosfera elettrica e divenni un loro grande tifoso. Niente era paragonabile a questa squadra di icone del calcio. Il problema fu che i proprietari delle squadre americane presero uno sport globale come il calcio, e decisero di trasformarlo in un gioco americano come il football e il baseball. Pensavano che siccome l'America è l'America ed è sempre la migliore in ogni cosa, lo stesso sarebbe accaduto per il calcio. Quell'ostinato atteggiamento ha continuato a perseguitare enormemente il calcio americano fino ad oggi. Più di 25 milioni di americani, giovani e vecchi, hanno giocato e giocano a calcio ma oggi, dopo 40 anni, non abbiamo ancora prodotto un giocatore americano di livello mondiale come Baggio, Rivera, Mazzola, Del Piero, Totti, o Buffon in Italia. Questo è parte del motivo per cui mi sto impegnando con i Cosmos: 1) salvare la squadra, che era quasi in bancarotta; e 2) lasciare la mia impronta sul futuro del calcio americano.

Ha un ricordo personale del più famoso giocatore italiano che ha giocato per i Cosmos negli anni '80, ossia Chinaglia?

Chinaglia era un giocatore fondamentale. Era una stella, e allora io ero solo un tifoso sugli spalti. Ma anni dopo venne a trovarmi nel mio ufficio, e mi lasciò una foto con la sua firma. Era venuto da me quando stava cercando di dare vita ad un canale televisivo via cavo di contenuti italiani insieme ad un'altra persona, e aveva bisogno del mio aiuto. Gli dissi: "Giorgio, lascia stare, perché non sono così sicuro che sia un buon modello di business". Avevo ragione, il canale italiano non riuscì a decollare. Quando possiedi un solo canale in America, e conosco bene questo business, è davvero difficile riuscire. Questo era due o tre anni prima che lui morisse. Direi otto o forse dieci anni fa. Grande personalità, grande individuo.

Quale sarà il futuro dei New York Cosmos sotto la sua guida?

Torniamo indietro un attimo e parliamo di quello che ho trovato. Il 15 dicembre mi chiama Jack Gaeta, un mio amico anche lui laureato alla Columbia e che lavora per i Cosmos, e mi dice che c'è questa possibilità. "Rocco, stanno vendendo i Cosmos. Ora è il momento. Se sei interessato, fatti avanti". La direzione del club mi aveva contattato quattro anni prima ma non ero interessato ad essere un socio di minoranza. Se voglio investire, se è in gioco la mia reputazione, voglio avere il comando delle operazioni. Quindi, declinai l'offerta.

Ora, quattro anni dopo, stavano fallendo, smantellando la squadra e licenziando il personale. Avevano due offerte sul tavolo. Una era per i diritti di proprietà intellettuale della squadra - la maglia, i nomi dei giocatori e il logo - da vendere ad una società di private equity che stava per chiudere la squadra ma monetizzarne le proprietà intellettuali; l'altro era con il proprietario di una squadra di un altro campionato stava per comprare il nome e chiudere i New York Cosmos per sempre. Queste due alternative non mi piacevano. Volevo salvare la squadra, semplicemente. Così, mi sono fatto avanti, abbiamo avviato una trattativa durata quasi 16 ore, alla fine della quale abbiamo firmato un contratto.

La condizione più importante per la chiusura del contratto era che non avrei acquistato la squadra a meno che la USSF (la Federazione di calcio statunitense) non avesse riconosciuto alla NASL lo status di seconda divisione, come la Serie B in Italia. Così, imponendo questa condizione, ho costretto l'USSF a prendere una decisione che ha letteralmente salvato i Cosmos, la NASL e migliaia di posti di lavoro - dai giocatori agli allenatori e a tutto il personale dei Cosmos e di tutte le altre squadre della NASL, e a tutto il resto dell'indotto attorno al campionato e alle squadre. Così, ottenuto lo status di seconda divisione, il 10 gennaio ho chiuso l'affare.

Il giorno della chiusura del contratto non avevo una squadra, nessuna organizzazione, nessuna sponsorizzazione, nessun diritto televisivo, nessun campo di allenamento, nessuna cheerleader, nessun biglietto venduto per la imminente stagione, non avevo nemmeno uno stadio dove giocare: niente. Mettetevi al mio posto, e immaginatevi quello che ho trovato. Avevamo milioni di dollari di debito verso persone che non erano state pagate. La prima priorità era quella di pagare tutti: giocatori, allenatori, personale e fornitori. La seconda cosa che abbiamo fatto è di confermare Giovanni Savarese, il direttore sportivo e allenatore, e dargli la capacità economica di ricostruire la squadra. Lasciatemi dire che ha fatto un lavoro fenomenale. Abbiamo ingaggiato alcuni giocatori di esperienza, ma non posso dare per certo che quest0anno vinceremo il campionato. Però penso che sarà una squadra competitiva. Abbiamo una squadra con giocatori di diversa provenienza, con giocatori dal Sud America, dall'Ucraina, dalla Spagna, dall'America Centrale, principalmente da El Salvador e dai Caraibi. Giochiamo un tipo di calcio molto sudamericano, italiano. È una squadra molto corta, molto compatta, con un gioco fatto di molti passaggi brevi e così via.

Così stavo risistemando la squadra, ma non avevo molto altro. Abbiamo iniziato a rimettere in piedi l'organizzazione societaria, ma era un lavoro che richiedeva la mia attenzione ogni singolo minuto della giornata. Negli ultimi 4 mesi, per me è stato 99% Cosmos e 1% Mediacom. Anche altri dirigenti di Mediacom mi hanno aiutato dando il loro contributo. Ora abbiamo uno stadio a Brooklyn. È l'unico stadio rimasto a New York con la qualità e la dimensione per soddisfare gli standard di una squadra come la nostra. Quindi, ci siamo trasferiti dallo stadio dove giocavano prima i Cosmos a Long Island, che era lo stadio della Hofstra University, a MCU Park, a Brooklyn. Abbiamo chiuso contratti di sponsorizzazione, stiamo vendendo i biglietti e stiamo facendo pubblicità su radio, televisione e stampa. Abbiamo anche le cheerleader. Ma la cosa più importante, al di là dello stadio, è che abbiamo firmato un accordo per trasmettere le partite in tutta la zona di New York. I diritti nazionali sono stati venduti a BEIN, che trasmette negli Stati Uniti anche la Serie A italiana, la Liga spagnola e la Ligue1 francese. Trasmette via cavo e via satellite e ha un ampio pubblico nazionale.

Quindi, se torno alle mie giornate di Columbia, come ho già detto, fu fondamentale per me avere l'aiuto finanziario che mi permise di frequentare la Columbia University. Molto ha avuto a che fare con il calcio. Se non fosse stato per il calcio, probabilmente non sarei stato ammesso a Columbia. E se non fosse stato per Columbia, probabilmente non avrei avuto una carriera d'affari di successo. Quindi questo è il mio modo di restituire qualcosa al gioco del calcio. Posso permettermelo, ho avuto grande successo nel mio business e ora a 67 anni è il momento di impegnarmi per far sì che anche i Cosmos e il calcio americano abbiano successo.

Già altri italoamericani hanno comprato alcune squadre di calcio italiane: Roma, Palermo, Venezia, Reggiana. Anche il proprietario del Bologna è un italocanadese. Ha mai pensato di acquistare una squadra di calcio italiana?

Sono stato vicino a farlo diverse volte. Il mediatore recentemente coinvolto nella vendita del Milan ai cinesi è un mio amico, Sal Galatioto. Abbiamo lavorato insieme molti anni fa alla Royal Bank of Canada. Nelle fasi iniziali, mi ha chiesto se volevo essere coinvolto, perché sa che ho le risorse finanziarie e mi interessa il calcio italiano.

Circa 17 anni fa mi fu chiesto di acquistare la Sampdoria. In seguito De Benedetto e Pallotta mi hanno invitato a investire insieme a loro per comprare la Roma. Ho ricevuto telefonate con offerte relative al Pescara, al Palermo, al Catania, alla Reggina. Sapete perché ho sempre detto di no? Perché sono un fedele tifoso della Juventus fin da quando giocavo a calcio da piccolo nelle spiagge sabbiose della Calabria.

Ho incontrato gli Agnelli, i proprietari della Juventus, ma francamente loro non hanno bisogno del mio denaro. La mia proposta alla Juventus non era quella di comprare la squadra. Volevo fare qualcosa di simile a quando Gheddafi comprò un pezzo di Juventus 20-30 anni fa. Mi piacerebbe veramente, prima di ritirarmi, poter dire di essere il maggiore socio di minoranza della Juventus: non guidarla, perché penso che gli Agnelli siano persone fenomenali che hanno fatto un ottimo lavoro portando la Juventus ad essere uno dei migliori club del mondo.

Molti credono che il calcio stia diventando sempre più importante negli USA, ed è destinato a crescere sempre più. Lei cosa ne pensa?

Voglio essere molto diretto. Nonostante quello che ha appena detto, il calcio maschile professionista è stato finora un fallimento in America, per quanto mi riguarda. Permettetemi di citare alcuni fatti.

Numero uno: Gli Stati Uniti hanno aderito alla FIFA nel 1913, nello stesso periodo in cui lo fecero l'Italia, la Germania, il Brasile e l'Argentina. Mentre questi quattro paesi hanno vinto 15 Coppe del Mondo e hanno partecipato a molte altre finali e semifinali mondiali, gli Stati Uniti hanno raggiunto il loro picco nel 1930, quando siamo andati in Uruguay e per la prima ed unica volta simo arrivati fino alla semifinale di Coppa del Mondo. Dal 1930, l'America ha vinto un totale di sole 6 partite nelle fasi finali dei Campionati mondiali: 6 partite. Ciò significa che ne abbiamo vinta una ogni quindici anni.

Numero due: mi dica il nome di un calciatore americano riconosciuto come un giocatore di classe mondiale. Abbiamo prodotto zero in 50 anni.

Numero tre: non ha idea di quante persone stanno facendo soldi con il calcio. Tutti quei ragazzi che giocano a calcio devono pagare non poco per far parte delle squadre migliori. Alcuni giocano senza pagare nulla, a livello locale. Ma ora ci sono tutte queste accademie, che stanno facendo molti soldi a destra e a sinistra. Ma stanno producendo i migliori giocatori del mondo? Io non la penso così.

Infine, lasciatemi condividere questo pensiero con voi. A mio parere, l'Italia ha un sistema politico impossibile, gli Stati Uniti ne hanno uno molto migliore. Ma nel calcio professionistico l'Italia ha una grande organizzazione, mentre qui le cose vanno molto male. Questa idea che puoi essere un team di MLS (praticamente la Serie A) solo se paghi 150 milioni di dollari è antiamericana. Credo fermamente che il calcio sia un gioco nel quale debba essere possibile farsi strada e migliorarsi fino a salire di categoria competendo sul campo, non nelle stanze della MLS e della USSF.

Ovunque il calcio ha avuto successo, come in tutti i paesi che hanno vinto i mondiali negli ultimi 85 anni, c'è qualcosa che si chiama promozione e retrocessione nelle leghe professionali: ad esempio nella Serie A italiana le ultime tre squadre scendono in Serie B e le prime 6 squadre si qualificano per giocare la Champions League o la Europa League. Qui non abbiamo niente di tutto ciò. Se giochi bene o male, sarai sempre nella MLS. Per me, questo è uno dei motivi più importanti per cui non abbiamo prodotto una lega professionale di livello mondiale, che dovrebbe essere lì dove in primis si formano i giocatori americani, di modo che poi possano essere convocati in nazionale.

A mio parere, sì, in America 25 milioni di bambini e adulti hanno giocato a calcio negli ultimi 40 anni. Ma no, non siamo riusciti a crescere grandi giocatori americani o ad attirare giovani stelle del calcio globale per giocare nelle nostre squadre professionali. E se non ci saranno presto cambiamenti, gli USA potrebbero aspettare decenni prima di poterci definire una potenza del calcio mondiale.
 

Mika

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Avevo letto ieri dal link del forum, questo non fa il prestanome, se viene e per comandare.
 
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Pubblichiamo una intervista del 13 marzo 2017, apparsa sul portale Italo americano wetheitalians, in cui Rocco Commisso spiega la sua storia personale.
Come ha fatto successo? Quali sono i suoi legami col mondo del calcio?

Questa è la 160esima intervista che pubblico con We the Italians. Guardando indietro, sono stupito e orgoglioso e onorato di vedere quanta grandezza, dedizione ed eccellenza c'è nelle persone che mi hanno regalato il privilegio di condividere con me e con i nostri lettori le loro storie, il loro orgoglio di essere italiani, la loro conoscenza su 159 punti di vista diversi da cui analizzare il rapporto tra Italia e Stati Uniti. Sono fortunato, e grato a tutti.

Pensavo che per l'intervista numero 160 io dovessi cercare un personaggio … particolare. Qualcuno eccezionale in più di un modo. E così sono andato a nord di Manhattan, attraversando colline coperte di neve, e ho incontrato l'ospite di questa nuova intervista: qualcuno davvero incredibile, così al tempo stesso italiano ma anche americano, la cui vita potrebbe benissimo essere il soggetto di un film. Signore e signori, We the Italians dà il benvenuto a Rocco Commisso.

Mr. Commisso, la sua è una splendida storia di successo, che unisce l'eccellenza del DNA italiano con le grandi opportunità dell'America. Può spiegarci come un giovane immigrato italiano è diventato una persona di così grande successo in America?

Sono nato e cresciuto a Marina di Gioiosa Ionica, nella provincia di Reggio Calabria, una bellissima comunità di mare ma economicamente devastata dagli shock della seconda guerra mondiale. In quel momento e probabilmente ancora oggi non avrei potuto trovare in Italia le enormi opportunità di successo che mi sono state rese disponibili in America, soprattutto se si è disposti a lavorare duramente. Sono arrivato all'età di 12 anni e anche se stavo facendo bene a scuola e non volevo lasciare l'Italia, ho cominciato ad amare l'America dopo appena qualche settimana.

Il primo avvenimento fondamentale che mi è accaduto è stato quando sono arrivato negli Stati Uniti, dove ci siamo trasferiti appena fuori Pittsburgh, in Pennsylvania. Ero in 6th grade (la prima media italiana) quando abbiamo lasciato l'Italia e, per tradizione, quando si emigra in America e si è a quel livello, ci si sposta in 5th grade. Ma dopo solo 3 giorni in questo paese, il 1 aprile del 1962, mio padre ha convinto la preside della scuola ad ammettermi in 7th grade, e in meno di 3 mesi mi hanno promosso al 8th grade. Dal mio punto di vista, ho guadagnato 3 anni di istruzione in 3 mesi, anche se potevo parlare solo qualche frase in lingua inglese.

Poi nel luglio del 1963 ci siamo trasferiti a New York, nel Bronx. Nella prima settimana a New York, camminavo sotto la sopraelevata della metropolitana e ho visto un cartello che diceva che il Wakefield Theatre stava organizzando un talent show. Mi sono iscritto e ho vinto il concorso suonando la mia fisarmonica. Così, ogni mercoledì, andavo al Wakefield per suonare la fisarmonica in pubblico.

Se vuoi entrare nelle migliori scuole superiori cattoliche a New York, devi fare il test di ammissione in autunno o in primavera mentre sei in 8th grade. Ma ero troppo tardi per me, perché arrivammo a New York a luglio e la scuola cominciava a settembre. Questo è stato l'inizio della mia "hustling career", e con "hustling" mi riferisco alla creazione di opportunità in base alla propria forte determinazione. Il direttore del Wakefield Theatre mi offrì di finanziare la mia educazione musicale mandandomi al Conservatorio di Berkeley a Boston. Io rifiutai la sua offerta, ma gli chiesi un favore. Gli dissi "perché non mandi una lettera al preside della Mount Saint Michael Academy, che non mi ha accettato perché non ho potuto fare l'esame d'ingresso?" Così lui inviò la lettera e io fui accettato, tutto a causa della mia fisarmonica.

Durante i miei anni di liceo, mio fratello aveva una tavola calda che poi diventò una pizzeria. Io ci lavoravo 40 ore a settimana, facendo la pizza, occupandomi del ghiaccio, servendo le persone. Andavo a scuola anche durante l'estate, non perché dovevo ripetere qualche corso, ma perché volevo portarmi avanti con lo studio.

A parte la pallamano, non avevo praticato alcuno sport durante la scuola superiore perché la Mount Saint Michael Academy non aveva una squadra di calcio. Questo non mi impedì di usare la mia determinazione anche per frequentare una ottima università privata, senza dover pagare nulla. Chiesi al mio insegnante di ginnastica di aiutarmi ad entrare in contatto connettermi con l'allenatore di calcio a NYU, il quale mi inserì nella squadra americana cecoslovacca. Giocai cinque o sei partite e gli piacqui abbastanza da offrirmi una borsa di studio. Il problema è che era una borsa di studio al 50%. Quindi, appena ammesso alla NYU, tornai dall'insegnante di ginnastica e gli dissi: "Perché non chiami l'allenatore di calcio alla Columbia University?" È interessante notare che l'allenatore della Columbia non mi aveva mai visto giocare prima. Ma pensò che se ero abbastanza bravo da giocare a NYU, potevo farlo facilmente anche nella squadra di Columbia University. Alla fine mi ammisero a Columbia con una borsa di studio completa, del valore di 75.000 dollari all'anno, in valuta odierna.

Andare a Columbia si è rivelata il più grande colpo della mia vita.

Ma non delusi il coach di Columbia. Nel mio primo anno, facemmo tutta la stagione senza perdere una partita. Nei successivi 3 anni fui nominato nella squadra della All-Ivy League. Nel mio ultimo anno, fui onorato di essere il Co-Capitano della squadra, portandola ai primi NCAA Playoff nella storia di Columbia e fui invitato a fare un provino per la squadra olimpica degli Stati Uniti del 1972.

Probabilmente a la mia esperienza calcistica alla Columbia è il motivo per cui oggi sono coinvolto con i New York Cosmos.

La Columbia mi ha aperto le porte ad una carriera di successo nel mondo degli affari. In America, devi andare alla scuola giusta per ottenere i giusti posti di lavoro. La Columbia è tra le prime cinque università al mondo e mi ha dato l'opportunità di trovare rapidamente un lavoro, con Pfizer Pharmaceutical.

Pochi anni dopo che ho iniziato a lavorare a Pfizer, nel 1971, decisi di tornare alla Columbia. Chiesi al mio capo di mettermi nel turno di notte dalle 4 alle 12 a Brooklyn, in modo da poter andare durante il giorno a Columbia per ottenere il mio MBA. Ero l'unico allievo della Columbia Graduate Business School che lavorava a tempo pieno mentre frequentava i suoi corsi a tempo pieno. Vivevo nel Bronx, andavo a scuola a Manhattan e lavoravo a Brooklyn. Facevo i miei compiti mentre ero in metropolitana. E trovai anche il tempo per diventare Presidente degli studenti delle Business Schools.

Ti viene data l'opportunità, qui in America, ma devi anche lavorare duramente. Non puoi prendere le cose per scontate. Ma la bellezza di questo paese è che c'è una grande meritocrazia, a mio parere. Si lavora sodo, mostri ai tuoi capi che ce la puoi fare, e con un po' di fortuna lungo la strada, il resto arriverà nella maniera giusta. Devi rischiare, non hai mai un lavoro sicuro, possono licenziarti in tronco, ma una volta che dimostrerai che tu lavori duro, come nella nostra azienda ... puoi diventare un vincente.

Siamo felici di constatare che lei è molto orgoglioso di essere italiano. C'è un aspetto delle sue origini che la ha aiutata a diventare un uomo d'affari di successo?

In primo luogo, direi che non è perché sono italiano che ho avuto successo in America. Le opportunità nel nostro Paese vengono fornite a tutti i tipi di gruppi di immigrati. Ma ho sempre cercato di affermare chi sono, ovvero il mio essere italiano, in tutto quello che ho fatto. Quando sono entrato nel mondo degli affari, gli italiani non erano tra i gruppi etnici che potevano facilmente ottenere un lavoro aziendale di alto livello. Io ho rotto questo schema. Alla fine sono arrivato in Chase Manhattan Bank nel 1976 - la Banca Rockefeller - nel cuore di Wall Street.

Nel 1975, avevo aperto la prima discoteca italoamericana in tutti gli USA. Era un anno incredibilmente pieno per me – andavo e venivo da Toronto per vedere la mia fidanzata, stavo laureandomi alla Columbia Business School, avevo un lavoro alla Pfizer e misi in piedi una discoteca. Aprimmo nel giugno del 1975, si chiamava ACT III, nel Bronx. Sei mesi dopo, la trasformai in un discoteca per gli emigrati italiani. A quel tempo la scena delle discoteche era in grande crescita, erano i tempi dello Studio 54: arrivavi alle 9 di sera e andavi a casa alle 5 del mattino, ed era tutta musica veloce. Ma gli italiani sono romantici, preferivano ballare stringendo il o la loro partner. Così, ogni ora noi facevamo 40 minuti di musica americana veloce da discoteca e 20 minuti di musica lenta italiana. Gli italiani lo adoravano. Si spegnevano le luci e loro si mettevano a ballare la musica lenta e romantica. Fu un grande successo, e ho "sposato" tante persone, lì. Per i giovani italiani, diventò il luogo di incontro dove si poteva sperare di incontrare e di innamorarsi del proprio futuro coniuge. Portammo ogni genere di cantanti provenienti dall'Italia: Little Tony, i Camaleonti, gli Homo Sapiens, i Cugini di Campagna, Gianni Nazzaro.

Quando entrai alla Chase Manhattan Bank nel gennaio 1976, trovai forti pregiudizi da parte di alcuni americani, tra cui il mio manager, verso questo immigrato dalla Calabria. Ero andato a lavorare in uno dei gruppi più importanti della banca, la divisione dedicata al comparto del trasporto via terra. Ero l'unico italoamericano in tutto il settore del prestito del principale ufficio di New York della Chase Manhattan Bank. Gli unici altri italiani erano i figli di ricche famiglie italiane che sarebbero poi tornati in Italia dopo il loro tirocinio.

Nella divisione del trasporto via terra, avevamo a che fare con grandi multinazionali come General Motors, Ford e Chrysler, oltre all'industria ferroviaria, all'industria dei trasporti e così via. Ora, non dimenticherò mai quando questo mio capo mi disse "Rocco, non possiamo permetterti di avere a che fare con General Motors", il cliente più importante della banca. Chiesi "Perché no?", e lui rispose: "Perché non hai il giusto background". Così chiesi ancora "Cosa c'è di sbagliato nel mio background?" E lui rispose "Sei troppo appariscente, hai questo nome che suona così divertente, indossi gli abiti sbagliati ... ". E io risposi:" Anche se mi sono laureato a pieni voti alla Columbia e sono l'unico in tutta la divisione con un MBA da un'università della Ivy League" "Sì, esatto". Così mi spostarono a coprire il settore autotrasporti, in base al loro assunto discriminatorio per cui sembravo e parlavo come un mafioso, visto che secondo il mio capo nel settore dell'autotrasporto c'erano tutti i tipi di mafiosi. Era un caos, e questo rifletteva il tipo di pregiudizi che avevo affrontato nei miei primi giorni nel settore bancario.

Tuttavia, e questo è interessante, un'altra persona di origine tedesca mi salvò chiedendomi di passare alla sua divisione, che si occupava di intrattenimento e comunicazione. Fu quella la prima volta che ebbi a che fare con la televisione via cavo, nel 1978, iniziando a prestare denaro alle società di telefonia.

Più tardi, entrai a far parte della Royal Bank of Canada dove ebbi molto successo nel campo dei prestiti a società nel campo dei media e della comunicazione. Nel 1986 lasciai il settore bancario per andare a lavorare come Chief Financial Officer alla Cablevision Industries, una società che si occupava di contenuti via cavo con sede a Liberty, New York, nelle Catskill Mountains. Era un grande cambiamento per la mia carriera e un deciso cambio di stile di vita per me e per la mia famiglia, poiché ci spostammo dai sobborghi residenziali della città di New York alle parti più rurali dello Stato a nord di Manhattan. Ma tutto andò bene in entrambi i campi. In meno di 9 anni, fui parte importante della crescita del fatturato annuo di Cablevision, che passò da 100 milioni a 550 milioni di dollari, facendola diventare l'ottava più grande azienda americana.

Nel 1995, il mio capo decise di vendere l'azienda a Time Warner per 2,8 miliardi di dollari, aprendo la strada al successivo capitolo della mia vita, quando fondai Mediacom Communications nel seminterrato della mia casa. La storia di Mediacom è lunga ma di grande successo. Siamo una televisione via cavo che opera nei mercati più piccoli degli Stati Uniti: Iowa, Illinois, Missouri, Minnesota, Georgia e Florida sono gli Stati in cui abbiamo la maggior parte dei clienti, ma operiamo anche in altri 16 stati. Abbiamo 1,4 milioni di clienti, abbiamo 4.600 dipendenti e lo scorso anno abbiamo fatturato 1.8 miliardi di dollari, oltre 3 volte il fatturato di Cablevision nel 1995. Mediacom è 100% di proprietà mia e della mia famiglia.

Lo scorso gennaio lei ha comprato la squadra di calcio dei New York Cosmos. Come ha giustamente detto, "I Cosmos sono la squadra americana di calcio più famosa in tutto il mondo". Ricordiamo ai più giovani perché questa squadra è un marchio storico e perché è stato importante per lei salvarla…

Negli anni '70, il calcio in America stava evolvendo e i Cosmos, sotto la guida di Steve Ross e dei fratelli Ertegun, erano la squadra più importante. Steve Ross era stato il CEO di Warner Communication, che poi divenne Time Warner, e decise di investire per portare le più grandi stelle del calcio a New York. Ricordo quando Pelé venne a giocare qui, fu Henry Kissinger che arrivò qui dalla Casa Bianca per concludere il contratto. Pelé era un nome di una grandezza mai vista prima in America. Aveva vinto tre Coppe del Mondo con il Brasile, purtroppo anche battendo l'Italia 4-1 in Messico nel 1970. Successivamente arrivaronoa Chinaglia, Beckenbauer, Carlos Alberto, Neeskens e altri giocatori di livello mondiale. I Cosmos divennero la squadra che rivoluzionò il calcio professionista americano. A quel tempo, ci si poteva permettere di portare queste superstar negli Stati Uniti. Oggi non possiamo, perché i grandi affari molto costosi sono all'estero. Sono i cinesi o i club europei che ora hanno i soldi per poter ingaggiare le superstar, non i club americani.

In quei giorni di Pelé e Chinaglia, io andavo a vedere giocare i Cosmos. Era un'atmosfera elettrica e divenni un loro grande tifoso. Niente era paragonabile a questa squadra di icone del calcio. Il problema fu che i proprietari delle squadre americane presero uno sport globale come il calcio, e decisero di trasformarlo in un gioco americano come il football e il baseball. Pensavano che siccome l'America è l'America ed è sempre la migliore in ogni cosa, lo stesso sarebbe accaduto per il calcio. Quell'ostinato atteggiamento ha continuato a perseguitare enormemente il calcio americano fino ad oggi. Più di 25 milioni di americani, giovani e vecchi, hanno giocato e giocano a calcio ma oggi, dopo 40 anni, non abbiamo ancora prodotto un giocatore americano di livello mondiale come Baggio, Rivera, Mazzola, Del Piero, Totti, o Buffon in Italia. Questo è parte del motivo per cui mi sto impegnando con i Cosmos: 1) salvare la squadra, che era quasi in bancarotta; e 2) lasciare la mia impronta sul futuro del calcio americano.

Ha un ricordo personale del più famoso giocatore italiano che ha giocato per i Cosmos negli anni '80, ossia Chinaglia?

Chinaglia era un giocatore fondamentale. Era una stella, e allora io ero solo un tifoso sugli spalti. Ma anni dopo venne a trovarmi nel mio ufficio, e mi lasciò una foto con la sua firma. Era venuto da me quando stava cercando di dare vita ad un canale televisivo via cavo di contenuti italiani insieme ad un'altra persona, e aveva bisogno del mio aiuto. Gli dissi: "Giorgio, lascia stare, perché non sono così sicuro che sia un buon modello di business". Avevo ragione, il canale italiano non riuscì a decollare. Quando possiedi un solo canale in America, e conosco bene questo business, è davvero difficile riuscire. Questo era due o tre anni prima che lui morisse. Direi otto o forse dieci anni fa. Grande personalità, grande individuo.

Quale sarà il futuro dei New York Cosmos sotto la sua guida?

Torniamo indietro un attimo e parliamo di quello che ho trovato. Il 15 dicembre mi chiama Jack Gaeta, un mio amico anche lui laureato alla Columbia e che lavora per i Cosmos, e mi dice che c'è questa possibilità. "Rocco, stanno vendendo i Cosmos. Ora è il momento. Se sei interessato, fatti avanti". La direzione del club mi aveva contattato quattro anni prima ma non ero interessato ad essere un socio di minoranza. Se voglio investire, se è in gioco la mia reputazione, voglio avere il comando delle operazioni. Quindi, declinai l'offerta.

Ora, quattro anni dopo, stavano fallendo, smantellando la squadra e licenziando il personale. Avevano due offerte sul tavolo. Una era per i diritti di proprietà intellettuale della squadra - la maglia, i nomi dei giocatori e il logo - da vendere ad una società di private equity che stava per chiudere la squadra ma monetizzarne le proprietà intellettuali; l'altro era con il proprietario di una squadra di un altro campionato stava per comprare il nome e chiudere i New York Cosmos per sempre. Queste due alternative non mi piacevano. Volevo salvare la squadra, semplicemente. Così, mi sono fatto avanti, abbiamo avviato una trattativa durata quasi 16 ore, alla fine della quale abbiamo firmato un contratto.

La condizione più importante per la chiusura del contratto era che non avrei acquistato la squadra a meno che la USSF (la Federazione di calcio statunitense) non avesse riconosciuto alla NASL lo status di seconda divisione, come la Serie B in Italia. Così, imponendo questa condizione, ho costretto l'USSF a prendere una decisione che ha letteralmente salvato i Cosmos, la NASL e migliaia di posti di lavoro - dai giocatori agli allenatori e a tutto il personale dei Cosmos e di tutte le altre squadre della NASL, e a tutto il resto dell'indotto attorno al campionato e alle squadre. Così, ottenuto lo status di seconda divisione, il 10 gennaio ho chiuso l'affare.

Il giorno della chiusura del contratto non avevo una squadra, nessuna organizzazione, nessuna sponsorizzazione, nessun diritto televisivo, nessun campo di allenamento, nessuna cheerleader, nessun biglietto venduto per la imminente stagione, non avevo nemmeno uno stadio dove giocare: niente. Mettetevi al mio posto, e immaginatevi quello che ho trovato. Avevamo milioni di dollari di debito verso persone che non erano state pagate. La prima priorità era quella di pagare tutti: giocatori, allenatori, personale e fornitori. La seconda cosa che abbiamo fatto è di confermare Giovanni Savarese, il direttore sportivo e allenatore, e dargli la capacità economica di ricostruire la squadra. Lasciatemi dire che ha fatto un lavoro fenomenale. Abbiamo ingaggiato alcuni giocatori di esperienza, ma non posso dare per certo che quest0anno vinceremo il campionato. Però penso che sarà una squadra competitiva. Abbiamo una squadra con giocatori di diversa provenienza, con giocatori dal Sud America, dall'Ucraina, dalla Spagna, dall'America Centrale, principalmente da El Salvador e dai Caraibi. Giochiamo un tipo di calcio molto sudamericano, italiano. È una squadra molto corta, molto compatta, con un gioco fatto di molti passaggi brevi e così via.

Così stavo risistemando la squadra, ma non avevo molto altro. Abbiamo iniziato a rimettere in piedi l'organizzazione societaria, ma era un lavoro che richiedeva la mia attenzione ogni singolo minuto della giornata. Negli ultimi 4 mesi, per me è stato 99% Cosmos e 1% Mediacom. Anche altri dirigenti di Mediacom mi hanno aiutato dando il loro contributo. Ora abbiamo uno stadio a Brooklyn. È l'unico stadio rimasto a New York con la qualità e la dimensione per soddisfare gli standard di una squadra come la nostra. Quindi, ci siamo trasferiti dallo stadio dove giocavano prima i Cosmos a Long Island, che era lo stadio della Hofstra University, a MCU Park, a Brooklyn. Abbiamo chiuso contratti di sponsorizzazione, stiamo vendendo i biglietti e stiamo facendo pubblicità su radio, televisione e stampa. Abbiamo anche le cheerleader. Ma la cosa più importante, al di là dello stadio, è che abbiamo firmato un accordo per trasmettere le partite in tutta la zona di New York. I diritti nazionali sono stati venduti a BEIN, che trasmette negli Stati Uniti anche la Serie A italiana, la Liga spagnola e la Ligue1 francese. Trasmette via cavo e via satellite e ha un ampio pubblico nazionale.

Quindi, se torno alle mie giornate di Columbia, come ho già detto, fu fondamentale per me avere l'aiuto finanziario che mi permise di frequentare la Columbia University. Molto ha avuto a che fare con il calcio. Se non fosse stato per il calcio, probabilmente non sarei stato ammesso a Columbia. E se non fosse stato per Columbia, probabilmente non avrei avuto una carriera d'affari di successo. Quindi questo è il mio modo di restituire qualcosa al gioco del calcio. Posso permettermelo, ho avuto grande successo nel mio business e ora a 67 anni è il momento di impegnarmi per far sì che anche i Cosmos e il calcio americano abbiano successo.

Già altri italoamericani hanno comprato alcune squadre di calcio italiane: Roma, Palermo, Venezia, Reggiana. Anche il proprietario del Bologna è un italocanadese. Ha mai pensato di acquistare una squadra di calcio italiana?

Sono stato vicino a farlo diverse volte. Il mediatore recentemente coinvolto nella vendita del Milan ai cinesi è un mio amico, Sal Galatioto. Abbiamo lavorato insieme molti anni fa alla Royal Bank of Canada. Nelle fasi iniziali, mi ha chiesto se volevo essere coinvolto, perché sa che ho le risorse finanziarie e mi interessa il calcio italiano.

Circa 17 anni fa mi fu chiesto di acquistare la Sampdoria. In seguito De Benedetto e Pallotta mi hanno invitato a investire insieme a loro per comprare la Roma. Ho ricevuto telefonate con offerte relative al Pescara, al Palermo, al Catania, alla Reggina. Sapete perché ho sempre detto di no? Perché sono un fedele tifoso della Juventus fin da quando giocavo a calcio da piccolo nelle spiagge sabbiose della Calabria.

Ho incontrato gli Agnelli, i proprietari della Juventus, ma francamente loro non hanno bisogno del mio denaro. La mia proposta alla Juventus non era quella di comprare la squadra. Volevo fare qualcosa di simile a quando Gheddafi comprò un pezzo di Juventus 20-30 anni fa. Mi piacerebbe veramente, prima di ritirarmi, poter dire di essere il maggiore socio di minoranza della Juventus: non guidarla, perché penso che gli Agnelli siano persone fenomenali che hanno fatto un ottimo lavoro portando la Juventus ad essere uno dei migliori club del mondo.

Molti credono che il calcio stia diventando sempre più importante negli USA, ed è destinato a crescere sempre più. Lei cosa ne pensa?

Voglio essere molto diretto. Nonostante quello che ha appena detto, il calcio maschile professionista è stato finora un fallimento in America, per quanto mi riguarda. Permettetemi di citare alcuni fatti.

Numero uno: Gli Stati Uniti hanno aderito alla FIFA nel 1913, nello stesso periodo in cui lo fecero l'Italia, la Germania, il Brasile e l'Argentina. Mentre questi quattro paesi hanno vinto 15 Coppe del Mondo e hanno partecipato a molte altre finali e semifinali mondiali, gli Stati Uniti hanno raggiunto il loro picco nel 1930, quando siamo andati in Uruguay e per la prima ed unica volta simo arrivati fino alla semifinale di Coppa del Mondo. Dal 1930, l'America ha vinto un totale di sole 6 partite nelle fasi finali dei Campionati mondiali: 6 partite. Ciò significa che ne abbiamo vinta una ogni quindici anni.

Numero due: mi dica il nome di un calciatore americano riconosciuto come un giocatore di classe mondiale. Abbiamo prodotto zero in 50 anni.

Numero tre: non ha idea di quante persone stanno facendo soldi con il calcio. Tutti quei ragazzi che giocano a calcio devono pagare non poco per far parte delle squadre migliori. Alcuni giocano senza pagare nulla, a livello locale. Ma ora ci sono tutte queste accademie, che stanno facendo molti soldi a destra e a sinistra. Ma stanno producendo i migliori giocatori del mondo? Io non la penso così.

Infine, lasciatemi condividere questo pensiero con voi. A mio parere, l'Italia ha un sistema politico impossibile, gli Stati Uniti ne hanno uno molto migliore. Ma nel calcio professionistico l'Italia ha una grande organizzazione, mentre qui le cose vanno molto male. Questa idea che puoi essere un team di MLS (praticamente la Serie A) solo se paghi 150 milioni di dollari è antiamericana. Credo fermamente che il calcio sia un gioco nel quale debba essere possibile farsi strada e migliorarsi fino a salire di categoria competendo sul campo, non nelle stanze della MLS e della USSF.

Ovunque il calcio ha avuto successo, come in tutti i paesi che hanno vinto i mondiali negli ultimi 85 anni, c'è qualcosa che si chiama promozione e retrocessione nelle leghe professionali: ad esempio nella Serie A italiana le ultime tre squadre scendono in Serie B e le prime 6 squadre si qualificano per giocare la Champions League o la Europa League. Qui non abbiamo niente di tutto ciò. Se giochi bene o male, sarai sempre nella MLS. Per me, questo è uno dei motivi più importanti per cui non abbiamo prodotto una lega professionale di livello mondiale, che dovrebbe essere lì dove in primis si formano i giocatori americani, di modo che poi possano essere convocati in nazionale.

A mio parere, sì, in America 25 milioni di bambini e adulti hanno giocato a calcio negli ultimi 40 anni. Ma no, non siamo riusciti a crescere grandi giocatori americani o ad attirare giovani stelle del calcio globale per giocare nelle nostre squadre professionali. E se non ci saranno presto cambiamenti, gli USA potrebbero aspettare decenni prima di poterci definire una potenza del calcio mondiale.

In un'intervista alla gazzetta di un annetto fa disse che non entrò bel gruppo che ha rilevato la Roma per due motivi:
La sua lealtà alla Juve
Non avrebbe avuto potere decisionale
 

ps18ps

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In un'intervista alla gazzetta di un annetto fa disse che non entrò bel gruppo che ha rilevato la Roma per due motivi:
La sua lealtà alla Juve
Non avrebbe avuto potere decisionale

Bhe diciamo che comunque se investe tutti quei soldi lo fa per guadagnare e vincere quindi il suo essere gobbo non lo influenzerà. Poi anche sb voleva prendere l'Inter, ma dovette accontentarsi di noi se non sbaglio :)
 

MaschioAlfa

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Madre santissima.... Questo è gobbo. Dio ce ne liberi.. Siamo ufficialmente foxxuti. Commisso un gobbo e i Ricketts con il progetto a medio lungo periodo. Ho voglia, tanta voglia di piangere..... E deve ancora arrivare la sentenza uefa. :fuck:
 

Konrad

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Ma i Cosmos non erano la squadra di Andrea Margheritoni prima del suo passaggio alla Marchigiana?
:ghign::ghign:
 
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Ragazzi, sara' pure gobbo ma secondo voi se compra il Milan, butta all'aria un investimento del genere per sabotarci e farci far schifo, giusto perche' da quando e' ragazzo simpatizza juve? Eddai su.
 

Casnop

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Self made man di origini calabresi, formazione con MBA alla Columbia, una carriera imprenditoriale consistente, una discreta conoscenza della realtà calcistica americana, ma pare anche italiana. Le facili illazioni sul suo cognome, e la sua rilevanza in talune aree della nostra amata Calabria, peccano, more solito, di prove. Dovrebbe avere la percezione di che cosa sia il Milan, che non è il Bologna, e neanche la Roma. Senza pregiudizi, valuteremo il suo piano industriale e di investimenti. Il Milan chiede stabilità economica e finanziaria, una patrimonializzazione che lo conduca all'autonomia ed all'autofinanziamento, a medio, lungo termine. Poche cose, ma vere. Le attendiamo. :)
 

7vinte

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Ragazzi, sara' pure gobbo ma secondo voi se compra il Milan, butta all'aria un investimento del genere per sabotarci e farci far schifo, giusto perche' da quando e' ragazzo simpatizza juve? Eddai su.

Infatti... ma lui deve mettere i soldi e basta... ci pensa la dirigenza. Sono finiti i tempi da presidenti-tifosi che prendevano le decisioni come Berlusconi e Moratti
 
Stato
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