Quanto avrebbe desiderato Berlusconi che, tra l'aprile ed il maggio scorsi, il signor Lee gli portasse buone notizie sulla disponibilità delle sue superstars a consorziarsi per finanziare l'acquisto, sino alla quota del 75%, del capitale sociale del Milan... Imprenditori veri e solidissimi, ciascuno dei quali con disponibilità economiche e capacità finanziarie tali da poter, ciascuno da solo, presentare una offerta credibile a Fininvest, con veduta su un piano finanziario che affrontasse punto per punto e risolvesse i nodi cruciali dello sviluppo futuro del club, squadra, stadio, borsa, branding. Lo immaginiamo, la notte del 3 maggio, pochi minuti dopo il congedo da Milano di Mr. Bee, con promessa di un nuovo appuntamento sotto la pressione della stampa e dei tifosi, chiamare ansiosamente i suoi interlocutori cinesi per aggiornarli dell'incontro con Taechaubol e sollecitarli a fare presto l'offerta per respingere sul nascere il corteggiamento, aggressivo e smodato, di questo giovane thailandese, con fare affettato e milioni del mistero come se piovessero a pretendere il 100 per cento del capitale. Fossero arrivati dalla mano giusta, quei soldi, Berlusconi, col senno del poi, li avrebbe accettati, iniziando il percorso verso la via d'uscita da trent'anni di storia irripetibile. Ma l'offerta, modulata sulla domanda esagerata di 1 miliardo di euro per il cento per cento del capitale prima dei debiti, e sollecitata dall'avidità di Fininvest e dalla miope analisi degli uffici finanziari di via Paleocapa, è arrivata da un broker, privo di mezzi propri, che presenta garanzie bancarie solo su una parte della somma necessaria, che affida l'operazione a banche d'affari con verosimile capitale di debito ma non indica soci industriali bensì società finanziarie dal tipico profilo mordi-e-fuggi del Far East. Ed il piano industriale? Nuovo stadio, sua commercializzazione, conquista dei nuovi mercati televisivi, preparazione del collocamento in borsa? Luci che si spengono, discorsi che si affievoliscono, progetti che saltano. Il tutto, per giocarsi il biglietto di "qualcuno" che metta 480 milioni di euro per non avere il controllo di una società che probabilmente non vale più di 800 milioni. Ma la domanda è: perché ostinarsi a puntare su un qualcuno che, a fatica, riuscirà a portare 480 milioni di euro, ma su cui non sarà possibile contare se e quando dovrà parlarsi di uno stadio nuovo o ristrutturazione del vecchio, che nella migliore delle ipotesi richiederanno almeno altri 400 milioni, quello stadio che solo può garantire una leva finanziaria appropriata sulle azioni dopo il collocamento in borsa? "Solo", ci sia concesso, per quei 480 milioni di euro, sufficienti a pagare i creditori e concedersi una annualità di gestione del mercato per il potenziamento della squadra e nulla più? E la domanda di ritorno, la sua nemesi: come pensare di poter trovare investitori credibili che investano per non contare in un club che non ha i mezzi (stadio, diritti televisivi a cessione individuale) necessari e sufficienti per potenziare il proprio fatturato e rendere redditizio quell'investimento? Una coperta corta che cela forse l'intento nascosto di Fininvest: sistemare la propria posizione economico-finanziaria rispetto al Milan, prendere il residuo e scappare via, e muoia poi Sansone con tutti i filistei. Una buona notizia in fondo al tunnel, si direbbe, ma a che prezzo, allora?