Il reverse listing è, è stato sino a qualche tempo fa, uno strumento molto efficace di raccolta di capitale sul mercato borsistico da parte di società depatrimonializzate, come possono esserlo molte fiduciarie costituite su piazze offshore per convogliare capitali nella costituzione di nuovi soggetti. Lo scopo era appunto quello di aggirare i divieti posti da alcune autorità di borsa all’utilizzo illimitato di capitali, ovvero all’impiego di capitali provenienti da paesi posti sulle liste nere. Una società patrimonializzata, operativa, produttiva di beni e servizi, che aveva necessità di raccogliere capitale per un aumento di capitale o per un nuovo sviluppo, ma in quanto quotata aveva limiti oggettivi all’aumento del proprio capitale senza soggiacere agli obblighi di OPA o OPS, costituiva una società non quotata, priva di patrimonio, fair value o rating, non operativa, con cui concludeva un contratto per la cessione totalitaria del proprio capitale a quest’ultima. Il prezzo di tale cessione non era tuttavia denaro, ma uno stock di azioni di nuova emissione, cedute agli azionisti della società patrimonializzata, in misura tale da determinare il controllo da questi ultimi, personalmente, della società non quotata. Quest’ultima, dunque, proprietaria della società quotata, era dunque a propria volta controllata dagli azionisti di quella, sì da crearsi tra entrambe una holding cosiddetta operativa, per effetto della quale la società originariamente non quotata poteva ora collocarsi sul mercato e rastrellare capitale di investimento sul fair value generato dalla società operativa, senza limiti di raccolta per la relativa dimensione di questa e la originaria non concentrazione di capitale dai controllanti. Invece di continuare a quotarsi a parte, la vecchia società girava (reverse listing, appunto) il valore di quotazione attraverso la quotazione della nuova società, pur mantenendo il controllo di quest’ultima attraverso le partecipazioni dei vecchi azionisti di quella. Da quanto riferisce Forchielli, la borsa di Shangai, in linea con provvedimenti adottati da altre autorità borsistiche di Paesi che accettano capitali da paradisi fiscali, come ad esempio il Giappone, avrebbe modificato i requisiti per la quotazione di società attraverso le reverse listings, prevedendo che le nuove società, i cosiddetti cash shells, i ‘gusci di cassa’, debbano soggiacere ai medesimi requisiti di patrimonializzazione, fair value e rating di quelle ordinarie prima di sottoporsi ad un processo di quotazione inversa, il che aumenta i costi ed i rischi e le rende meno convenienti. Ciò nell’ottica di trasparenza in favore di un mercato meno drogato da capitale finanziario di tipo derivato, in assenza di solide base patrimoniali, che potrebbe creare turbative speculative. Il capitale finanziario proveniente dai paradisi fiscali, in questo contesto, risulterebbe certamente penalizzato.