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Renegade
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Carlo Ancelotti è stato intervistato nel programma di Condò su Gazzetta TV, questi i suoi racconti, specie sul Milan: ''La prima grande vittoria è stata la finale di Champions League a Manchester del 2003. Prima di allora ero riuscito a vincere il campionato a Reggio in B, a raggiungere un secondo posto col Parma e i due con la Juvetus. Ma quel trionfo contro la Juventus è stato il precursore a quello che sono riuscito a conquistare dopo. A livello personale, dovevo togliermi l'etichetta di eterno secondo. Sono ancora molto legato al Milan. Che ci fosse la Juve, in quella finale, è un dettaglio. Istanbul? A Istanbul avrei rifatto comunque le stesse cose. La cosa principale è che ho detto ai ragazzi che gli dovevamo dare il colpo di grazia, di finirli, che erano inglesi e per questo non si arrendevano mai, quindi non c'era da fidarsi. Che i primi 15 minuti sarebbero stati importantissimi e che loro ci credevano ancora. Penso di aver detto le cose giuste. Atene? Speravo fortemente che ci ricapitasse il Liverpool. Li volevamo, a tutti i costi. Avevamo visto la partita in ritiro e vedevo che tutti volevano questa rivincita. Perché, alla fine, credo che ci sia un destino. Non si può perdere una finale come l’abbiamo persa, e quella volta dovevamo vincerla. Un po’ come col Boca Juniors. Gerrard? Ho avuto Alonso in squadra e ci abbiamo scherzato. Nutro un’ammirazione per Gerrard infinta, abbiamo provato a prenderlo al Milan, ma è stato impossibile. Il 4-3-2-1? Il Milan mi mise a disposizione una marea di trequartisti in rosa. Dovevamo giocare un calcio offensivo, come è nel DNA del Milan. Il primo alberello è quello di La Coruna, con Pirlo e Seedorf in mezzo e Rui Costa e Rivaldo dietro a Inzaghi. Ci fu un grande sacrificio di Seedorf in quel modulo, perché doveva arretrare a giocare sul centrosinistra, come mezzala. Il Deportivo giocava con due mediani schierati in campo e pensai di mandare i due trequartisti. Nella finale di Manchester contro la Juventus non usammo questo sistema, abbiamo giocato col rombo di centrocampo. I miei test atletici da giocatore? Sacchi mi raccontava un sacco di storielle per non farmi demoralizzare sulla mia lentezza, causa infortuni alle ginocchia. Fargli da assistente ai Mondiali del 1994 fu una grande esperienza per me. Era un grande tecnico, si faceva capire subito da tutti. Berlusconi? La relazione principale, secondo me, è quella con la tua squadra. Se va male con i giocatori, sei un uomo morto. Quello che io dico, e parlo in generale, un allenatore deve sentirsi tutelato dalla società. Allenare l'Italia? Per ora non saprei, in quanto mi piace allenare tutti i giorni. Poi se nel 2018 non ne avrò più voglia, chissà...''